Andrea Loreni, torinese, 48 anni, è l’unico funambolo italiano specializzato in traversate a grandi altezze. Negli ultimi dieci anni ha camminato sopra l’acqua o immerso nel verde delle montagne, per il cinema e la televisione, in piano e in pendenza, in silenzio o accompagnato da suoni che hanno vibrato insieme alla corda. Ha percorso chilometri su un cavo teso nei cieli di numerose città italiane, tra cui Torino, Bologna, Roma, Venezia, Firenze, Genova, Brescia, Trieste, e all’estero camminando nei cieli
«Sono salito sul cavo in cerca della libertà», racconta. «Lassù ho iniziato a frequentare la paura di morire, un sentimento che distrae dalla vita e da cui volevo liberarmi. Ho immaginato che grazie al cavo e allo zen, che ho cominciato a praticare insieme al funambolismo, sarei potuto arrivare all’ultimo momento della vita senza paura, sereno di fronte alla morte. Invece il cavo e lo zen mi hanno sorpreso, insegnandomi un’altra via alla libertà: mi hanno fatto vedere che si può essere sereni nonostante la paura, che si può essere pronti a fare il primo passo e poi il successivo e infine l’ultimo anche se si ha paura».
Loreni, cosa significa, per lei, fare il funambolo?
Farsi carico del rischio, rendersi disponibile alla fragilità, all’incertezza, ricercare la libertà più importante, quella di essere ciò che siamo in ogni momento. Significa esplorare con curiosità territori nuovi fuori e dentro di me.
Lei lavora sia senza che con la corda di sicurezza. Non le chiedo se ha paura. Le domando piuttosto come gestisce la paura.
Cerco di accogliere anche il mio essere spaventato, la mia paura, anch’essa è un sentimento, un momento della vita, e quando sono spaventato cerco di prendermi cura di me, di essere gentile. Su cavo non si può scappare via nel momento di crisi, sarebbe peggio, per cui cerco di rallentare i miei passi e il mio respiro e muovermi con grazia, ossia con corrispondenza alla situazione che mi si para di fronte, che sto vivendo.
Una volta ha detto: «Quando familiarizzi con il limite, lo hai già spostato». Ci potrebbe spiegare?
Durante i miei laboratori di equilibrio ( e disequilibrio ) propongo una camminata ad occhi chiusi, ossia propongo ai partecipanti di entrare in una zona al di là della zona di comfort. L’invito che faccio a tutti è quello di non aprire mai gli occhi: possono fermarsi, richiede un mio aiuto, sedersi per terra, tuttavia non devono aprire gli occhi, altrimenti escono dalla zona da esplorare e non si danno il tempo di famigliarizzare con il buio, con i nuovi sensi attivati, con lo spazio conosciuto non con gli occhi. Di solito nella condivisione finale viene sempre fuori che all’inizio la situazione è un po’ strana, scomoda, a volte fastidiosa, mano a mano però che si sosta in questa zona, l’esperienza si trasforma fino a diventare qualcosa di piacevole. Si tratta di stare sul bordo, di rendere “nostro” e confortevole ciò che prima non lo era, e per farlo bisogna frequentare quello spazio liminale.
L’intuizione dell’assoluto avuta sui cavi alti lo ha avvicinato alla pratica della meditazione Zen che ha approfondito al monastero Sogen-Ji a Okayama in Giappone, sotto la guida di Shodo Harada Roshi. Cosa c’entrano le camminate sul cavo e la meditazione, che pure studia e pratica?
Entrambe le discipline richiedono di stare nel presente, sul cavo se non sono nel qui e ora, aperto a ogni piccolo accadimento, pronto ad armonizzarmi con esso, il rischio è molto alto, mentre seduto sul cuscino posso distrarmi, pensare al passato o al futuro. Dalla presenza che sperimento sul cavo cerco di trattare insegnamento per essere presente anche sul cuscino e nella vita di tutti i giorni.
Lei è laureato in filosofia teoretica. Come si arriva al funambolismo?
Io ci sono arrivato in cerca di qualcosa d’altro oltre la conoscenza speculativa, oltre la Verità del pensiero, e ho trovato l’Autenticità dell’essere, la Verità fattuale; si tratta sempre di ricerca e di domande sul nostro essere, su senso, sui temi dell’esistenza quali appunto fragilità, morte, vita. Sul cavo si vive la nostra essenza, con la filosofia teoretica la si studia, la si approccia da lontano, e poi la si cerca di condividere di spiegare.
Nel 2020 pubblicò il libro “Breve corso di funambolismo per chi cammina col vento. Sette passi per attraversare la vita” (edizioni Mondadori). Da allora il mondo è cambiato parecchio. “Lasciamoci liberi di essere quello che siamo, in questo particolare momento anche e forse soprattutto degli esseri spaventati, fragili, esposti. E come tali trattiamoci, come faremo con un figlio che piange, che è appena caduto per la prima volta e si è reso conto che ci si può fare male, prendiamoci cura di noi, con tenerezza e gentilezza”. Cosa aggiungerebbe o modificherebbe di questo testo e di quelle riflessioni?
Non ci vedo molto da cambiare, data la situazione attuale, in cui continuiamo a essere fragili, esposti alle nostre miserie, in conflitto, incapaci di relazionarci in modo sano all’alterità. In questi frangenti difficili trattiamoci bene, riconosciamo il valore intrinseco dentro ognuno di noi, riconosciamo che meritiamo tenerezza e gentilezza. In questo modo potremo vivere il nostro presente con un po’ più di serenità e concederci qualche momento di pace, e soprattutto potremo da qui costruire un futuro al cui centro ci sarà la Cura e la Gentilezza, le cose di cui più abbiamo bisogno, i valori che questo momento di crisi ci può fare riscoprire.
Nel libro scrive: «Il funambolo apre strade che prima non esistevano. Sono strade inutili, ma l’utilità non è l’unico valore». Rivoluzionario. Ci spiega?
Sembra che solo ciò che è utile abbia valore, che tutto sia in funzione id qualcosa d’altro, e alla fine che cosa vale se ogni cosa rimanda ad altro? Fermiamoci a capire che la strada non va giudicata e percorsa solo in cerca dell’obiettivo finale, che poi non spariamo neanche quale sia, piuttosto che possiamo percorrere un cammino in qui ogni passo vale di per sé. Ho appena “fallito” nel tentativo di stabilire un nuovo Guinness World Record, quello di camminata su cavo inclinato, avrei dovuto percorrere almeno 40 metri su un cavo con una inclinazione a terra di 39° e a pochi metri dalla fine sono caduto. L’evento è stato un successo, è stato autentico, vissuto, partecipato, le emozioni, non facili da vivere né da condividere, sono state vissute e condivise liberamente. Per arrivare a realizzare questo tentativo ci sono voluti mesi e mesi di preparazione, in cui ho condiviso con gli sponsor, gli amici, gli ospiti, intuizioni, chiacchiere, dubbi, foto, strette di mano, intesa, sorrisi, incertezza, tutto tempo perso? Sarebbe stato perso, anche a record stabilito, solo se non lo avessi vissuto. Quel tempo ha avuto valore perché è stata vita, non per l’esito del tentativo.
Perché «il controllo è un’illusione?»
Quante cose possiamo controllare realmente nella vita? Io so che non posso controllare il vento, l’umiltà, il volo degli uccelli, l’umore del pubblico, come mi sveglio al mattino, tutti elementi con cui ho a che fare nelle mie performance, che concorrono a creare gli istanti delle mie camminate sul cavo. Posso accoglierli e cercare di armonizzarmi con essi, posso portare il mio essere nel mezzo del contesto e cercare di influenzarlo, di rendermi conto che sono parte del tutto, che il tutto agisce al di là del mio volere e del mio potere di controllo, e che io sono parte di questo tutto.
Lei invita le persone a «stare scomode». Ci spiega?
Assaggia prima di dire che non ti piace, potresti scoprire che ti piace, oppure capire meglio perché non ti pace e in fondo capire qualcosa di più di te e del tuo modo di relazionarti. Non invito al martirio, in nessun senso, per famigliarizzare con il limite il limite va vissuto, poi non per forza superato, almeno conosciuto. Conoscendo i limite conosciamo anche noi e conoscendoci rischiamo di essere liberi.
Ha visto panorami, piazze, persone, paesi, mari, fiumi, montagne da un osservatorio unico e irripetibile. “Per vedere dobbiamo dimenticare il nome di ciò che stiamo guardando” diceva Monet. Com’ è quello che vede da lassù?
Come quello che vedo quaggiù, solo più autentico, immediato, senza i filtri del pensiero, del pregiudizio, della mente. Prima dello zen le montagne erano montagne e i fiumi erano fiumi, poi le montagne non sono state più montagne e i fiumi non sono stati più fiume, infine le montagne sono tornate e essere montagne e i fiumi a essere fiumi. Così è sul cavo, vedi le stesse cose ma senza nominarle, prima della loro elaborazione concettuale che le rende altre da ciò che sono autenticamente. Zen è vedere le cose come sono, nulla di più nulla di meno.
Foto: ufficio stampa Andrea Loreni
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