Elizabeth "Lizz" Ntonjira è una 35enne vulcanica keniota, direttrice globale della comunicazione dell’ong AMREF. Di lei sentiremo ancora parlare molto perché non solo si tratta di una delle giovani più promettenti dell'Africa, ma perché ha doti eccezionali di comunicazione. Oltre ad essere una paladina della lotta contro il Covid nel suo continente, ha seguito sino a pochi giorni fa la COP27 in Egitto e, adesso che è per qualche giorno in Italia, VITA l'ha intervistata.
Lizz, in cosa consiste il tuo lavoro?
Dirigo la comunicazione e l'advocacy che svolgiamo in Europa, Nord America e Africa e sono alla guida di molte delle campagne e iniziative che portiamo avanti e che riguardano la thought leadership e il posizionamento della voce dell'Africa su temi per noi fondamentali e in luoghi come eventi globali – vedi l'Assemblea generale delle Nazioni Unite come la COP 27 che si è appena conclusa, il Vertice mondiale sulla salute, l'Assemblea mondiale della sanità e molti altri.
Dove operate e come?
Abbiamo uffici in otto Paesi africani e operiamo in 35 attraverso partner, progetti e programmi in loco. Parte del mio lavoro consiste nel coordinare molto del lavoro che svolgiamo con le nostre sedi locali, ovvero AMREF Health e l'Università internazionale di AMREF, che è la nostra ultima nata, un'università che si occupa di risorse umane per la salute, una grande sfida. Ma anche AMREF Flying Doctors, l'unità di evacuazione aerea e AMREF Health Innovations, che si occupa delle innovazioni sanitarie e di come farle crescere in modo sostenibile.
Sei appena arrivata dalla COP 27, soddisfatta?
Per me la vittoria più grande è stata l'istituzione del fondo per le perdite e i danni climatici. Si tratta di un'iniziativa di cui si era discusso in diverse riunioni precedenti, ma che non si era mai concretizzata. Tuttavia, una cosa è istituire il fondo per le perdite e i danni, un'altra è decidere il quadro di riferimento per il suo funzionamento e questo aspetto è ancora da definire ed è ancora una zona molto grigia. Inoltre, dobbiamo ancora capire cosa cambia con gli altri fondi che sono stati creati e la mancanza di denari a loro destinati. Molte di queste riunioni delle Nazioni Unite diventano una sorta di cambiali. Questa volta è stata l'istituzione del fondo, ma non c'è stato alcun tipo di impegno da parte dei Paesi. Quanto farà ogni nazione, in particolare quelle che sono responsabili delle emissioni e che hanno un enorme impatto sul cambiamento climatico? Quanto contribuiranno a questo fondo? E poi l'altra domanda è: questo fondo è diverso dagli altri per il clima già creati o è complementare? Credo che questa sia la domanda più importante.
Che cosa ti ha colpita di più in Egitto?
Due cose. La prima è che le conversazioni sulla salute sono state in secondo piano, eppure la salute subisce il maggior peso degli impatti del cambiamento climatico. Pensiamo alle inondazioni, ai focolai di nuove malattie. Abbiamo avuto strutture sanitarie in Malawi, Etiopia e Uganda colpite, un'intera struttura sanitaria spazzata dalle inondazioni, con la gente che non ha più un posto dove ricevere assistenza medica. E lo stesso accade nei casi di siccità. Tutte conseguenze del cambiamento climatico ma di questo non si è parlato alla COP27, se non in modo assai periferico.
L’altra cosa?
Molte volte abbiamo sentito dire: "Piantate più alberi". Sì, ma che tipo di alberi? Mi è piaciuto molto l'esempio dell’Etiopia, che ha intrapreso un'iniziativa di 15 anni che coinvolge dieci ministeri, in cui, oltre a dire alla gente di piantare alberi, si dice quali, Di guava e di mango, ad esempio, perché contribuiscono alla nutrizione. Infine alla COP 27 ho imparato che nei tanti padiglioni che c’erano le decisioni non venivano prese lì ma che è necessario sedersi ai tavoli decisionali, ai tavoli di negoziazione, dove non tutti erano rappresentati in modo equo. Una delle maggiori sfide di questo evento globale è la mancanza di rappresentanza del Sud globale, costituito dai Paesi a basso e medio reddito che stanno sopportando il peso maggiore del cambiamento climatico. Inoltre, un'altra categoria tra le principali parti interessate che manca ai tavoli di negoziazione sono i giovani. I loro discorsi sono davvero straordinari, un movimento di giovani che hanno davvero a cuore il futuro. Infine, un altro aspetto è la comunicazione del cambiamento climatico e del suo impatto, che è molto futuristico. E questo deve cambiare, in modo che le persone percepiscano l'urgenza di reagire e di essere molto proattivi al riguardo, invece di reagire quando le cose sono già successe.
Tu hai creato il Lizz Ntonjira Network, una piattaforma che propone mentoring e coaching proprio per i giovani. Ce ne parli?
Ho avuto la fortuna di trovarmi in ambienti in cui normalmente molti miei coetanei non si sono trovati e una delle cose più importanti che volevo fare era garantire che altri avessero una piattaforma per trovarsi in questi ambienti. Da quando avevo 25 anni ho fatto parte di gruppi dirigenziali di molte organizzazioni regionali internazionali per cui ho lavorato ed è come se l'opinione dei giovani non contasse. Ricordo che a volte nei consigli di amministrazione davo un suggerimento e la gente lo ignorava, mentre pochi minuti dopo qualcuno diceva la stessa cosa e la gente diceva: "Sì, è una buona idea". E io rimanevo scioccata perché pensavo: “Ma se l'ho detto solo 5 minuti fa". Quindi la rete per me è stata ispirata da questo. Volevo davvero che i giovani avessero una piattaforma dove potessero impegnarsi come coetanei e dove potessero essere seguiti da persone più anziane perché credo anche nel passaggio del testimone, cosa che non accade spesso nelle nostre comunità e nei nostri settori. Molte persone anziane, che hanno un'incredibile ricchezza di saggezza, non la trasmettono alle persone che le ammirano. Sulle mie piattaforme di social media ricevevo tanti messaggi diretti di persone che mi chiedevano: "Sto cercando un mentore". Così ho pensato di fornire quella piattaforma per mettere in contatto i giovani con altre persone del settore, organizzando sessioni di coaching, mentorship e formazione. Con le numerose sessioni tenute finora, abbiamo avuto un impatto su oltre 1.500 giovani in Kenya e abbiamo collaborato con altre organizzazioni e aziende private per offrire circa 20 borse di studio. Tuttavia, tutte queste cose le ho fatte con i miei risparmi e non essendo sostenibile ho scritto un libro intitolato #YouthCan, un’antologia di 50 storie di emancipazione provenienti da 22 diversi Paesi africani.
Chi sono i protagonisti del tuo libro?
La più giovane ha solo nove anni ed è un'imprenditrice sociale nigeriana che ha creato una sua linea di orsacchiotti. La più anziana ha 60 anni e attualmente è l'ambasciatore del Kenya in Belgio. Il libro è diviso in 12 capitoli, ognuno dei quali si concentra su settori diversi: la tecnologia, l'agricoltura, il clima, l’ambiente, il settore privato e quello pubblico. Ogni capitolo inizia con una persona più anziana ed esperta del settore che scrive una lettera ad altri giovani per raccontare e insegnare loro ciò che hanno imparato nel corso degli anni, come se stessero passando il testimone. Il resto dei capitoli successivi presenta 3-4 giovani che stanno facendo cose straordinarie in quel settore. Per me è stato un momento molto importante per il lavoro che stiamo svolgendo presso AMREF Health Africa in Italia sull'afrofobia. Si tratta di liberarsi dell'idea che quando si pensa all'Africa si pensi solo a conflitti, malattie, guerre e povertà. L'Africa è molto più di questo, anzi, questo approccio è parte del problema. Tuttavia, ciò che continuiamo a vedere nei media è che perpetuano questa narrazione. Quindi il libro vuole anche offrire alle persone, in particolare ai giovani africani della diaspora e alle persone negli altri Paesi, la possibilità di vedere che l'Africa è un focolaio di potenziale innovazione, di creatività, di innovazione, una fucina di futuri leader.
Hai conosciuto qualche interessante membro africano della diaspora qui da noi in questi giorni?
Sono qui da poco e ci starò per meno di cinque giorni ma ho incontrato giovani davvero straordinari. Per esempio, Adda, che fa parte del progetto Champs, e Sara, che è a capo di un progetto che si chiama Africa United e che mostra la prospettiva dei giovani africani che vivono in Italia, dicendo che se sono nato qui, sono cresciuto qui, so di essere nero, non sono bianco. Ma questo non toglie il fatto che sono italiano. E infine Tyre, che dirige il Festival del Cinema delle ONG, ne è il fondatore, e ha sede qui in Italia, a Roma. Sono privilegiata ad aver incontrato persone così straordinarie che fanno del loro meglio, nonostante le difficoltà che affrontano ogni giorno, per cambiare la narrazione e rendere più facile la vita alle persone che verranno dopo di loro.
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