Nell’estate del 2016 Fondazione Progetto Arca e Mirasole Impresa sociale hanno firmato il contratto con la Fondazione Sviluppo Ca’ Granda per gestire l’Abbazia di Mirasole (vedi news) attraverso un progetto di welfare sociale di comunità. A un anno e mezzo di distanza l’idea di realizzare un luogo accogliente nell’antica Abbazia sorta nel XIII secolo non solo ha mosso i primi passi, ma si sta pian piano consolidando.
«L’idea che abbiamo presentato ha il suo fulcro in un progetto di vita insieme che si declina in una serie di attività che vanno dall’accoglienza al lavoro, dalla spiritualità alla cultura, alla storia e al rapporto con il territorio», spiega Laura Nurzia, vicepresidente di Progetto Arca. «Al momento se si esclude la parte del progetto riguardante le famiglie accoglienti (si occuperanno della vita comunitaria, di bambini in affido e delle famiglie in accoglienza temporanea) che entreranno in Abbazia entro il 2019 gli altri aspetti sono già operativi».
Sulla grande corte dell’Abbazia di Mirasole si affacciano edifici che già oggi ospitanopersone accolte in un momento di difficoltà e che sono in attesa dell’assegnazione di una casa popolare, tre mamme con bambini in co-housing, laboratori a disposizione delle scuole del circondario, mostre, una bottega che vende prodotti di monasteri e abbazie e poi sale e saloni per ospitare banchetti e meeting e che hanno a disposizione una cucina industriale. A guidarci nella visita Selvaggia Tibileti (nella foto intenta in un colloquio con un'ospite), l’operatrice di Progetto Arca che si occupa dell’housing sociale e dell’accoglienza delle mamme con bambino. «Al momento nelle casette (bilocali su due piani) stiamo accogliendo tre nuclei familiari provenienti da Rozzano e Opera che sono qui proprio per quel necessario periodo di stabilità e ripresa», spiega. Le famiglie accolte sono segnalate dai servizi sociali, escono da situazioni di difficoltà abitativa e sono in attesa dell’assegnazione di una casa Aler. Dietro ogni porta verde (ai campanelli non ci sono i cognomi degli ospiti ma i nomi dei santi premostratensi – ultimo ordine monastico a occupare l’abbazia) ci sono storie di difficoltà e il lavoro di ricostruzione di sé grazie alla vita all’Abbazia «Tra loro c’è anche una coppia di anziani, lui ha deciso di dare una mano nell’orto e nel frutteto» continua Tibiletti che sottolinea come nel clima che si viene a creare all’interno della grande corte diventa normale pensare di darsi una mano.
Colori alle pareti per incuriosire i bambini ospitati insieme alle loro mamme
In un’altra ala, al primo piano sono state realizzate sei grandi camere indipendenti dove sono accolte al momento tre mamme con i loro quattro bambini, una grande cucina, lo spazio comune e una stanza per i giochi dei piccoli «Al piano terreno c’è una stanza che viene utilizzata anche dai servizi sociali comunali per i colloqui protetti» illustra Selvaggia. «Quella che si viene a creare è una micro comunità tra le mamme e le donne delle “casette” perché sono le donne le prime a fare casa». Una delle mamme accolte ha iniziato a lavorare nella lavanderia (un locale con un paio di lavatrici domestiche a disposizione sia delle mamme sia degli occupanti delle casette oltre a due macchine industriali assi da stiro e un mangano per stirare lenzuola e tovaglie) al momento ha un contratto di 15 ore settimanali. Quello della lavanderia è uno dei progetti che sarà ampliato, «come la cucina industriale gestita dall’impresa Mirasole che dà lavoro a persone svantaggiate, come disoccupati o altre categorie per le quali cerchiamo di creare delle opportunità perché riescano a rimettersi nel tessuto lavorativo» illustra Nurzia. «Qui trovano anche una formazione, la lavanderia per esempio al momento serve solo l’Abbazia, ma puntiamo a svilupparla e attraverso di essa offrire anche lavoro».
sono le donne le prime a "fare casa"
«Un luogo come l’abbazia», osserva Tibiletti «agevola l’accoglienza: è un posto bello che aiuta a ritrovare la serenità». Le fa eco Nurzia che ricorda come nel progetto che ha guidato Progetto Arca e l’Impresa sociale (di cui la stessa Fondazione fa parte) e che mira a rendere quella di Mirasole un’abbazia della solidarietà «la cultura e la bellezza hanno un ruolo importante: entro un anno sarà attivo anche un centro studi che proporrà attività sul welfare; a Pasqua ci sarà uno spettacolo e abbiamo attivato anche delle convenzioni con le scuole» elenca la vicepresidente di Arca che cita le visite guidate e l’accoglienza di gruppi e associazioni come anche un progetto con InOpera, associazione legata alla vicina casa circondariale di Opera «in uno spazio dell’abbazia aprirà una presenza con due persone in articolo 21 (quello che permette alle persone detenute di lavorare all’esterno del carcere)….».
L’antica Abbazia – fondata dagli Umiliati nel 1200 – brulica di attività e giorno dopo giorno vede sempre più iniziative. «C’è una mostra sull’agricoltura locale e il laboratorio del feltro per i bambini delle elementari e delle medie. È un modo per raccontare le origini dell’abbazia stessa quando gli Umiliati lavoravano la lana», racconta Paola Navotti responsabile del laboratorio che in questi mesi ha accolto gli studenti delle scuole di Milano e Opera, mentre ci mostra gli oggetti realizzati con questa antica tecnica.
Nella bottega solidale è possibile fare volontariato e vivere un'esperienza di solidarietà. «Speriamo vengano tanti volontari», dice Valentina sorridente
Lasciando la grande corte al centro dell’Abbazia, a fianco della chiesa (dove da alcuni mesi è presente un sacerdote, don Stefano Croci, che celebra ogni giorno la messa e anima la parte spirituale) si apre l’antico chiostro dei monaci, un luogo suggestivo sul quale si affacciano sale dedicate ad eventi e una mostra permanente sulla storia dell’abbazia stessa. Ai quattro angoli del chiostro altrettanti alberi simbolici: l’ulivo, la palma, il melograno e il fico. Dietro questa struttura il frutteto e l’orto dove lavorano due giardinieri e si danno da fare anche alcuni ospiti.
A oltre otto secoli dalla sua nascita la cascina-abbazia alle porte di Milano sta pian piano tornando a vivere, a essere fulcro di attività «Quando fu costruita era un luogo di preghiera, convivenza e lavoro dove trovavano casa i consacrati e i sacerdoti, ma anche le famiglie contadine che lavoravano i campi e la lana. E oggi il nostro obiettivo è quello di ricostruire una comunità di vita» conclude Nurzia. «Una comunità sia negli aspetti lavorativi sia in quelli spirituali capace di un’accoglienza vicendevole, in un continuo dialogo tra dentro e fuori l’abbazia».
Un luogo accogliente che vuole crescere e aperto al volontariato per le attività connesse alla vita in Abbazia «chi vuol venire a darci una mano sarà accolto a braccia aperte» è l’appello di Valentina che si occupa della bottega solidale.
Testi di Antonietta Nembri
Immagini di Antonio Mola – In apertura foto di archivio
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