A sud di Milano quella di Lodi è una delle province agricole lombarde che sempre più si connota per essere all’insegna dell’inclusione grazie all’agricoltura sociale. La rete di Agricoltura sociale di Lodi conta quattro cooperative sociali, due associazioni (una delle quali, il Gabbiamo, ha anche una cooperativa sociale agricola in Valtellina) un Istituto di Agraria con azienda agricola e tre fattorie sociali che hanno permesso solo nell’ultimo semestre 28 inserimenti lavorativi e 26 accoglienze sociali. Un mondo in fermento come spiega il coordinatore del territorio di Lodi per Agricoltura sociale Lombardia, Gian Marco Locatelli «la nostra è una rete disomogenea, ma ricca e stimolante. Il nostro è un territorio vivace e da un po’ di tempo si stanno facendo avanti anche i privati oltre alle realtà del Terzo settore. Ora il nostro obiettivo è mettere in circuito tutto questo fermento».
Tra i primi obiettivi ricorda ancora Locatelli vi è «definire una “carta dei valori” da condividere e anche provare a commercializzare i prodotti delle singole realtà appoggiandosi a un progetto unitario». Da non dimenticare poi il valore aggiunto che è rappresentato dal suo essere “sociale” «perché legato sia all’impiego di persone svantaggiate sia a un modo differente e più sano di coltivare e consumare il cibo, di rapportarsi con la natura e l’ambiente. Per il territorio lodigiano», conclude, «è poi un’occasione di conversione dalla monocultura intensiva di mais/frumento».
Paola Vailati Riboni, con il marito Carlo
Un esempio di agricoltura che cambia è quello rappresentato dall’azienda agricola “Le Cascine Riboni”, una realtà storica dove vi hanno lavorato dal 1756 ben otto generazioni della stessa famiglia. Dal 2015 è ufficialmente una fattoria sociale e a spiegarne l’evoluzione è Paola Vailati Riboni agricoltrice da 21 anni e referente dell’azienda caratterizzata dalle sue multifunzioni (è agriturismo con ristorazione, fattoria didattica, centro privato di pesca e fattoria sociale). «La nostra è un’azienda di famiglia e a un certo punto con mio marito abbiamo iniziato a seguire l’idea della multifunzionalità» ricorda Paola Vailati. Il primo passaggio è stato la didattica. «Ci entusiasmava l’idea di essere un mezzo di collegamento con gli studenti, si faceva educazione alimentare e questo aprirci al mondo intorno a noi ha pian piano cambiato il nostro stesso modo di porci rispetto all’esterno oltre che il nostro modo di lavorare», continua.
L’esperienza fatta con gli alunni con disabilità o con Bes (bisogni educativi speciali) è stato per così dire il primo passo, sono stati adattati anche degli spazi agricoli per permettere anche a chi ha un’invalidità fisica di approcciarsi alle attività di questo settore «è stata creata una zona facilmente accessibile con coltivazioni fuori suolo di fragole e zafferano, piante aromatiche, more, lamponi e mirtilli», racconta Vailati Raboni. «Abbiamo realizzato laboratori di trasformazione».
Si è messa in campo quindi una terapia orticulturale «nella quale metto la mia professionalità al servizio degli altri. A un certo punto sulla mia strada ho incontrato un sacerdote e la Caritas che mi hanno chiesto aiuto», continua. Il passaggio all’agricoltura sociale, al suo essere inclusiva per lei non è stato un qualcosa di strano o straordinario. E per dimostrarlo risale alla storia dell’azienda «l’agricoltura è sociale. Lo è nel suo Dna», continua. «Se guardo al nostro archivio storico scopro che un tempo la cascina dava lavoro a tutti, perché tutti potevano lavorare e una volta aperta la finestra sul mondo i cambiamenti sono avvenuti. Abbiamo iniziato con l’inserire un padre di famiglia che per la crisi era rimasto senza lavoro…».
L'agricoltura è sociale. Lo è nel suo stesso Dna
Nelle due immagini a sinistra il laboratorio con le erbe aromatiche; a destra la raccolta dei lamponi
E a questa avventura partecipa anche la famiglia: in particolare il marito e uno dei tre figli di Paola Vailati, Francesco. «Il più piccolo è uno psicologo clinico ed è quello con cui ho iniziato a sperimentare dei servizi innovativi per le persone con Alzheimer». Si tratta di “Le Cascine-lab Demenza e Alzheimer”. Il punto di partenza una mail: «a fine 2015 ho ricevuto una mail di una dottoressa che mi chiedeva se si potevano fare delle terapie assistite con gli animali», ricorda. «Ho risposto e nel parlare con lei è emerso un denominatore comune: l’Alzheimer. In famiglia conosciamo il problema. Io mi sono chiesta che cosa potessi fare come agricoltrice per diventare una risorsa. Abbiamo cominciato così, un progetto sperimentale che strada facendo ha dato dei buoni riscontri e anche mio figlio Francesco che si sta specializzando in Francia proprio in app multimediali applicate alla salute si è coinvolto nell’iniziativa». Il progetto è stato presentato all’Ats di Lodi «ma non ci sono soldi, abbiamo avuto un piccolo finanziamento dalla fondazione del Banco Popolare di Lodi e stiamo facendo attività con una casa di riposo e un centro diurno: 7 pazienti da noi e altrettanti nella struttura. La nostra speranza è che questa attività possa essere modellizzata».
Ma che cosa viene fatto esattamente? «La prima cosa che voglio precisare è che non si tratta di far fare un lavoretto senza scopo, non è una cosa finta, ma una parte del percorso produttivo vero, l’aspetto psicologico è ovviamente seguito da uno specialista e devo dire che i risultati sono incoraggianti», spiega.
Ascoltando la referente delle Cascine Riboni si comprende quanto questa iniziativa le stia a cuore e come questa sia riuscita a creare una rete che coinvolge anche la Federazione Alzheimer Italia. «Operare per il benessere delle persone, aiuta a far star meglio tutti. In Nord Europa ci stanno puntando molto riuscendo anche a diminuire le spese: ma serve un gioco di squadra in cui l’agricoltura sociale è un tassello» continua.
Ma cosa fanno le persone che partecipano a questa iniziativa? «Abbiamo fatto dei giochi sul tablet per vedere ad esempio quali lamponi è giusto raccogliere, abbiamo coltivato le fragole sia fuori suolo che in terra, vengono realizzati degli infusi e degli sciroppi. Le persone anziane in questo modo hanno anche aumento la quantità di liquidi bevuti. Nel corso del progetto pilota dello scorso anno abbiamo potuto sperimentare come queste attività occupazionali e psicosociali aiutino la plasticità cerebrale. In pratica favoriscono il rallentamento del decadimento cognitivo e aumentano il benessere dei partecipanti».
Oggi alla Fattoria sociale i laboratori attivi sono tre: accanto a quello specifico sull’Alzheimer c’è il Lab Attiva-Mente per prevenire i comuni sintomi cognitivi dell’invecchiamento e quelli occupazionali per le persone con disabilità.
In alto la coltivazione dell'insalata fuori terra, in basso un'anziana nel laboratorio delle erbe aromatiche (a sinistra); a destra un momento di socializzazione realizzato grazie ai fagioli
Mi sono chiesta che cosa potessi fare come agricoltrice per diventare una risorsa: così è iniziato tutto
Il lavoro resta al centro con i progetti di inclusione lavorativa, i contratti di garanzia occupazionale e quelli per le attività di raccolta destinati ai richiedenti asilo… «siamo degli imprenditori e il nostro obiettivo in questo momento è riuscire a creare lavoro. La scelta di produrre con metodo biologico e la diversificazione delle produzioni ci ha permesso maggiori inserimenti lavorativi», conclude.
Alle Cascine Riboni sembra proprio che l'agricoltura sociale faccia parte del Dna.
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