Gli albi illustrati costituiscono un potente strumento di crescita: leggere e ascoltare storie, rinarrarle, immaginarne di nuove e di diverse sono attività che permettono al bambino di familiarizzare con chiavi di lettura che gli serviranno poi per comprendere e interpretare il mondo, sé stesso e gli altri. Se ciò si accompagna a immagini di qualità e a un abile narratore capace, con la voce e il corpo, di interagire con bambino, nella cosiddetta interazione narrativa, l’esperienza sarà esplosiva e «quello diventerà non solo uno dei libri preferiti della biblioteca ma anche uno di quei ricordi di scuola che rimangono per tutta la vita nello zainetto degli affetti». Parola di Marco Dallari, già ordinario di pedagogia generale all’Università degli Studi di Trento, dove ha fondato e diretto il Laboratorio di comunicazione e narratività. Dallari è anche attore, disegnatore e autore di numerosi saggi, testi narrativi e libri per l’infanzia. Uno dei più recenti è “Mi racconti? L’interazione narrativa da zero a sei anni“, testo ricco di spunti e sentieri erranti nella selva che inchiodano alla pagina anche il lettore meno preparato.
Perché questa triade, composta da immagini e figure, testo verbale e interpretazione del narratore, esercita grande fascino sui bambini? «Per creature visive come siamo, l’immagine dà l’impressione di una comprensione più immediata rispetto a quella data dal linguaggio, è più accattivante e dà l’illusione di farci entrare in relazione con qualcosa o con qualcuno. L’immagine seduce prima ancora di farsi capire e, se poi mantiene la promessa, è ancora meglio» spiega Marco Dallari.
«Le illustrazioni devono essere di alto livello, più o meno fedeli al testo, ma mai immagini stereotipe altrimenti sono ridondanti. Pensiamo a Cappuccetto Rosso che entra nel bosco, scena di per sé già molto emozionante, ma con una certa immagine in pagina le cose cambiano. Il bosco rappresenta un mistero, l’ulteriorità, e grazie all’immagine il bambino vede anche quello che non c’è nel racconto, in una dilatazione che è anche lessicale». Infatti, «l’immagine contiene molte più parole di quante possono essere scritte, impone processi di interpretazione e svela la dimensione figurata del senso». Così, un albo illustrato impegna di più le facoltà cognitive. «Gli studi confermano che quando le parole si stringono alle immagini, come avviene nell’albo illustrato e nel disegno infantile, l’effetto collaterale inevitabile è l’incremento della qualità del pensiero e l’arricchimento del lessico».
La libertà e l’anarchia del silent book
Tanto che sono in molti a sostenere la superiorità dell’universo delle immagini rispetto a quello delle parole nella creazione di conoscenza e rappresentazioni. La versione più estrema, il silent book (albo illustrato senza il testo scritto), mette in scena una quantità di storie potenzialmente infinita e arricchisce il lessico più di ogni alto albo illustrato dotato di racconto scritto, «perché costringe a cercare parole per quello che si vede e per quello che non si vede. La mediazione narrativa compiuta dall’adulto è un continuo lavoro ermeneutico e maieutico, che stimola la partecipazione attiva del piccolo in una contrattazione continua. Il silenzio delle pagine può essere l’occasione per intavolare commenti e discorsi che la presenza del testo potrebbe inibire. Tutto ciò viene a volte considerato troppo difficile dagli insegnanti e dai maestri che dimenticano che ciò che il piccolo coglie non è il libro ma la sua mediazione, l’interpretazione che l’adulto ne fa». Per capirlo, prova a semplificare le cose Dallari, immaginiamo di essere a teatro e di non conoscere Shakespeare: «Lo giudicherò dalla bravura dell’attore, così come potrò vivere delle enormi esperienze culturali, estetiche ed affettive anche in pièce modeste grazie alle capacità dell’interprete sul palco».
La mediazione narrativa compiuta dall’adulto è un continuo lavoro ermeneutico e maieutico, che stimola la partecipazione attiva del piccolo in una contrattazione continua
Le competenze logico-inferenziali
Un altro aspetto fondamentale allo sviluppo del pensiero è che tramite la narrazione il bambino impara a gestire l’idea di successione temporale tra gli eventi e di rapporto causa-effetto e acquisisce la dimensione temporale e causale. «Questa competenza logica è una competenza inferenziale metacognitiva che dà anche conto di come sia possibile descrivere il mondo come una trama e una sceneggiatura» spiega Dallari «nello stereotipo educativo, invece, la logica e la matematica sono contrapposte all’affettività, mentre la narrazione in realtà è la prima esperienza logica del bambino. Chi in casa ha molti libri e genitori lettori inventa storie con delle trame e che hanno un senso. Venendo a noi adulti, è mettendo in ordine degli eventi in una sceneggiatura o un pezzo di cronaca che diamo un senso agli accadimenti e ne forniamo un’interpretazione e tale orizzonte di senso cambia la nostra visione del mondo e il modo di pensare alla nostra esistenza, quindi anche banalmente i nostri comportamenti».
Saper dare un senso al reale
Non solo. L’interazione narrativa, facendo convivere l’oggetto libro con la sua recitazione, concilia i due aspetti apparentemente opposti della permanenza e dell’impermanenza, della fissità e della flessibilità. Ciò conta per il bambino che deve interiorizzare e rielaborare la realtà ma anche per i più grandi: «L’incompetenza narrativa impedisce di pensare e immaginarsi l’evoluzione di sé stessi e della propria condizione, di creare una sceneggiatura autobiografica e una trama dell’esistenza, e ci fa vivere appiattiti sul tempo presente, incapaci di accettare il cambiamento e finanche di avere relazioni durature, che richiedono la capacità di evolvere» spiega Dallari citando Andrea Smorti, psicologo della cognizione esperto dei rapporti fra interiorizzazione dei modelli narrativi e costruzione delle conoscenze e delle rappresentazioni, e Ian Mc Ewam (“Lo spazio dell’ immaginazione”, Einaudi). Un esempio di come un albo illustrato possa essere anche «occasione e strumento di avviamento alla gioia e alla qualità della vita» sia per bambini sia per adulti è, dice Dallari, “L’anima smarrita” (2018) illustrato da Joanna Consejo e pubblicato da Topipittori, che contiene un racconto di Olga Tokarczuk, premio Nobel per la letteratura nel 2018.
Costruirsi la propria identità
Gli studi mostrano che la letteratura «che fornisce creatività, competenza narrativa e capacità di autolettura del proprio universo emozionale e contribuisce alla costruzione della propria identità» chiarisce Dallari. «Quando leggiamo facciamo un esercizio di empatia e sappiamo bene poi quanto nella realtà sia difficile formulare giudizi sensati sugli stati interiori del nostro interlocutore». Con un libro o al teatro è più facile: «La frequentazione degli universi narrativi incrementa la competenza emozionale, poiché l’immedesimazione nei personaggi e nelle loro vicende affettive allena l’empatia e permette di riconoscere, nominare e imparare a controllare emozioni e sentimenti (anche negativi), conflittualità e ambivalenze, desideri e avversioni».
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Trascuratezza emotiva e dispositivi digitali
I due aspetti detti, l’interazione narrativa e la frequentazione degli universi narrativi, sono entrambi molto attuali perché riguardano il lamentato «indebolimento delle capacità relazionali e delle competenze simboliche dei soggetti nell’età dello sviluppo» spiega il pedagogista. «Che è legato anche alla tendenza di molti genitori a utilizzare i cartoni animati televisivi, i tablet e gli smartphone come strumenti di intrattenimento dei figli fin dalla primissima infanzia in sostituzione di una relazione interpersonale, spesso limitata a funzioni pragmatiche e normative». Dice il pedagogista che la mancanza di stimolazione cognitiva e la deprivazione di una stimolazione affettiva può portare a ipermotricità e disturbi dell’attenzione e, nel lungo periodo, anche all’incapacità di instaurare relazioni significative per via di quella che Alice Miller chiama «incompetenza emozionale». La trascuratezza emotiva è ben rappresentata in un bellissimo albo illustrato di David McKee “Non ora Bernardo“, che è la frase che i genitori molto occupati ripetono costantemente al loro figlio, pur nutrito e accudito, anche quando lui cerca di avvisarli che un mostro è entrato in casa e che loro rivolgono anche al mostro quando si è mangiato il loro figlio, e che finirà per divorarli perché la trascuratezza emotiva fa male a tutti, anche a chi la compie.
Narrare è prendersi cura
«Raccontare, giocare con le parole, con le immagini e con tutte le risorse simboliche che la cultura umana ci mette a disposizione è ciò che rende appetibile e preferibile la relazione interpersonale alla semplificazione accattivante e passivizzante delle fruizioni mediatiche e dei giochi elettronici»
scrive Dallari nel suo “Mi racconti?” «L’esperienza dell’interazione narrativa fra adulti e bambini è dono e pratica di cura, evento di valore affettivo insostituibile per i narratari e per il narratore, portatore di conoscenze, strumenti metacognitivi e repertori dell’immaginario, esperienza capace di indicare la strada, orientamento per il conseguimento di un convincente e soddisfacente stile di vita».
Non è “lettura ad alta voce”
Viene quindi da chiedersi quali siano le regole per una efficace interazione narrativa. Ecco i consigli di Dallari: «Mettersi in gioco totalmente, non pensare che leggere un albo o raccontare una storia sia qualcosa di diverso dall’offrire una fetta di pane spalmata di miele; cercare di non pensare alle parole impiegate ma alla cosa stessa, di “guardarla”, di descriverla come se stessimo vedendola; concentrarsi sulla gestualità, la capacità di alzare lo sguardo dalla pagina e rivolgerlo agli astanti senza perdere il filo del racconto, ma soprattutto pensare alla qualità e all’efficacia espressiva della voce. Una buona interpretazione è quella che non segue le istruzioni d’uso, adagiandosi sulle parole di un testo pret à porter, anzi pronto da leggere, ma che si concentra sull’aspetto fisico, fonetico, espressivo, guardando più alla resa emotiva che alla perfetta esecuzione dei suoni».
Una buona interpretazione è quella che non segue le istruzioni d’uso, adagiandosi sulle parole di un testo pret à porter, ma che si concentra sull’aspetto fisico, fonetico, espressivo
La storia e la morale
Infine, attenzione al grande equivoco che è quello di guardare alle storie come portatrici di una morale veicolata dal loro contenuto. Non esiste la storia “per la gelosia del primogenito”, “per il problema della cacca” e così via: il contenuto non è un un esempio o un modello per il lettore che vi trova la soluzione preconfezionata. «Questa, in fondo, è la differenza tra favola e fiaba: la favola è moralistica e didascalica, ideata e costruita con la funzione di insegnare che cosa è bene e cosa è male, distinguere il giusto dallo sbagliato, come una parabola religiosa o un’opera di La Fontaine; la fiaba, definita anche “racconto di magia”, è catartica e amorale, può essere addirittura immorale, ma in essa il soggetto c’è la fa sempre e ciò fornisce uno strumento in più al lettore». L’equivoco di fermarsi alla “storia” è analogo a quello di chi valuta il livello morale dei giochi dei bambini: «Il gioco è un gioco. Io da bambino giocavo ai cowboy e giravo armato come un brigatista e oggi sono un pacifista» ricorda Dallari. Un esempio molto noto, e ormai da più parti molto contestato, è quello della Cicala e della formica, da confrontare invece con la favola di Leo Lionni “Federico” (Babalibri): il piccolo topo Federico, a differenza dei suoi compagni operosi, osserva il mondo e riflette, intento a raccogliere ben altre provviste: colori, immagini e sensazioni. Giunto il duro inverno, lungi dal rimproverarlo come avrebbe fatto la proverbiale formica con la cicala, i suoi compagni lo ringraziano per le parole e le sue poesie «che ci rallegrano la vita». E Federico risponde «non merito applausi, non voglio l’alloro, ognuno in fondo fa il proprio lavoro».
Foto di copertina: splendida tavola di Joanna Consejo illustratrice dell’albo “L’anima smarrita” (2018), pubblicato dall’editrice Topipittori
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