Federico Anghelé

Advocacy: contro lo stallo italiano, la società civile deve ripartire dall’Europa

di Marco Dotti

Oggi la politica partitica, nel momento più acuto della sua crisi di fiducia, rigioca la carta di un atteggiamento patronizing, cercando di guidare, fagocitare e calare dall'alto delle soluzioni a problemi che finge di ascoltare dal basso. Ma, spiega Federico Anghelé, «nel rapporto società civile-politica la spinta dovrebbe venire dal basso. Il sociale italiano è vivo, ma si disperde in mille rivoli proprio per questa ragione: la fine della mediazione è lo stallo dell'advocacy»

Quali sono le istanze, quali sono le esigenze? Qual è la visione delle cose, alternativa, dei movimenti che riempiono le piazze e che si autodefiniscono “società civile”? La loro effervescenza rischia di essere fin troppo afferrabile e non passare mai dalla fase della protesta a quella del progetto. Ma è un tema che va oltre le piazze e tocca tutti: organizzazioni, associazioni, enti più o meno strutturati e cittadini. Una politica partitica che non sembra rappresentare più nessuno, può solo avvantaggiarsi di questo stallo. Per questo il tema dell’advocacy, dell’azione efficace per dar concretezza e non solo voce alle famose “istanze dal basso” è sempre più cruciale. Cruciale ma in crisi. Eppure, osserva Federico Anghelé, che di advocacy si occupa con The Good Lobby, oggi siamo davanti una nuova possibilità di influenzare i processi decisionali.
Come? Partendo dall’Europa, a patto di unire competenza e causa, vocazione e attenzione alla costruzione di reti.

Partiamo da un'espressione, “società civile”, che è tornata in auge con il movimento delle sardine. Che cosa ne pensa?
Le sardine vanno interpretate come un fenomeno duplice. Da un lato, il fatto che le persone tornino a scendere in piazza e si mobilitino è un dato nuovo, positivo o, comunque, da osservare con attenzione. Dall'altro, va rilevata l'immediata contiguità di queste piazze con la politica . Il rischio è tutto in questo secondo punto: che la società civile venga ridotta a uno strumento retorico per rimarcare la differenza fra il “noi” – i buoni – e “loro” – i cattivi, i politici – e, ancora una volta, venga usata per salutare l'arrivo dell'uomo nuovo o della figura salvifica che va contro il corrotto mondo della politica. Mentre il mondo – vero – della società civile è ben altro dall'essere una stampella per una politica che non è più in grado né di rappresentare, né di rappresentarsi.

Potremmo recuperare una vecchia, ma importante distinzione tra politica prima e politica seconda. La politica prima, oggi, dovrebbe giocarsi nei luoghi veri della rappresentanza: nel sociale. La politica seconda è quella iper rappresentata – quindi: o sottovalutata o sopravvalutata, mai davvero valutata – nei talk show e nei media, ma incapace come diceva lei, di rappresentare e persino di rappresentarsi nel concreto…
Il rischio è che questi movimenti, da cassa di risonanza di istanze reali, diventino filtro e finiscano per bloccare anziché attivare. Ma se rovesciamo la questione e dai problemi andiamo alle possibilità, allora le cose cambiano. Partirei da alcuni dati, quelli presentati a dicembre nella XXII indagine dedicata a “Gli italiani e lo Stato” condotta da Demos. Sono dati interessanti per tutti noi che ci occupiamo di sociale, società civile, reti…

Oggi la politica partitica, nel momento più acuto della sua crisi di fiducia, rigioca la carta di un atteggiamento patronizing, cerca di guidare, fagocitare e calare dall'alto delle soluzioni a problemi che finge di ascoltare dal basso. Nel rapporto società civile-politica la spinta dovrebbe venire dal basso, qui invece viene dall'alto. Il sociale è vivo, ma si disperde in mille rivoli proprio per questa ragione: la fine della mediazione è lo stallo dell'advocacy

Federico Anghelé

Sfiducia nello Stato, fiducia nel sociale

Partiamo dai dati, allora, e proviamo a darne una lettura con una lente “sociale” …
Assistiamo a una progressiva e significativa erosione di fiducia nei confronti delle istituzioni tradizionali: nel 2019, in quattro anni, lo Stato nel senso complessivo del termine ha perso l'11% di fiducia. Il dato da osservare con maggior attenzione è quello sul Parlamento. I partiti godono del 9% di fiducia, mentre il Parlamento è al 15%. Ma se il dato sul partito va interpretato come una presa d'atto che il modello novecentesco di partito non è più in grado di svolgere il proprio compito di rappresentanza degli interessi allargati, il dato sul Parlamento è allarmante. Sul partito verrebbe da dire che non abbiamo ancora trovato una nuova forma, adeguata ai nostri tempi, in grado di dare rappresentanza ai cittadini, ma è inimmaginabile pensare di recuperare queste strutture ormai consegnate al passato. Per quanto riguarda il Parlamento, come luogo della mediazione degli interessi e delle istanze che arrivano dalla società… la sua crisi in termini di fiducia ci pone davanti a sfide inedite e a un rischio davvero grande. Da una parte abbiamo dunque la crisi dei corpi primari e dei corpi intermedi tradizionali, dall'altro abbiamo invece un'effervescenza di quella società civile che non si sente rappresentata e sta cercando forme nuove di partecipazione che vadano oltre la protesta.

Anche su questo i dati dell'istituto Demos sono interessanti…
L'impegno in attività culturali, sportiva o ricreativa è arrivato al 50% da parte degli intervistati e dal 2016 è in costante aumento. Mentre l'attività nell'ambito del volontariato è al 46%. I temi dell'ambiente (42%) si confermano come i più rilevanti. Ma un dato su tutti dovrebbe farci riflettere: il 23% degli intervistati da Demos rivendica di aver partecipato a manifestazioni non organizzate da partiti, mentre le manifestazioni di partito sono al 20%. Altri due dati: l'aumento continuo delle discussioni politiche on-line e la crescita delle petizioni on-line. Questi dati ci mostrano che quanto si racconta generalmente, che assistiamo a un ripiego nel privato e al contrarsi della partecipazione sociale, non è così aderente ai fatti.

C'è una volontà di partecipare e una volontà di esprimersi che spesso non trova i canali per farlo…
O che si esprime attraverso rivoli diversi che non riescono a fare massa critica. Ma il fatto che il 37% degli italiani abbia firmato petizioni è interessante, soprattutto perché è un dato in crescita (nel 2018 era il 33%).

Troppo spesso i soggetti “tradizionali” della società civile organizzata sembra non riescano a fare massa, non riescano a creare un reale dibattito né a dettare un'agenda culturale, ancor prima che politica, organica e complessiva. Da molti il sociale, oggi, viene interpretato solo come punti di PIL, posti di lavoro creati…

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