In una società in cui i corpi diventano sempre più virtuali, dove la fisicità delle persone — se non è perfetta o rispondente a precisi canoni estetici o di moda — sembra quasi scomparire c’è un luogo in cui uomini e donne, bambini e anziani sono non solo accettati, ma accolti nel loro essere di carne e ossa, spesso carne e ossa sofferenti. Quel luogo è Lourdes. Un santuario cattolico, ma anche un centro che attira fin dalle sue origini folle di pellegrini e soprattutto migliaia, milioni di malati. Una cittadina sviluppatasi a misura di chi è sofferente, di chi ha problemi di deambulazione. Un’impressione? No, almeno a sentire Alessandro De Franciscis, attuale responsabile del Bureau des Constatations Médicales, il primo non francese a ricoprire questo incarico dalla fondazione dell’ufficio oltre 100 anni fa.
«Certo Lourdes è un’esperienza di Chiesa, ma è anche molto di più. Qui la fisicità è molto presente. Nella mia esperienza, sono un sessantenne che ha girato un po’ il mondo, non ho mai trovato un luogo di pellegrinaggio e preghiera a cui si accompagni una presenza così forte e marcante della fisicità».
Qual è la ragione di questo unicum?
Lourdes fin da subito si è caratterizzata per la presenza di persone malate e sofferenti, attirate qui dalle prime guarigioni ed è per questo che si è specializzata nell’accoglienza e nel servizio a disabili e ammalati fin dagli anni sessanta del XIX secolo.
Questa esperienza della concretezza dei corpi malati, quando l’ha fatta?
Nel mio primo pellegrinaggio, ero ancora un liceale, mi è esploso davanti agli occhi il mondo della malattia, proprio per la presenza concreta delle persone sofferenti. È lì che ho deciso di fare il medico, perché volevo essere utile. Per anni ho pensato che questa fosse una mia esperienza personale. Ora che abito stabilmente a Lourdes mi è chiaro che è un’esperienza di migliaia e migliaia di persone….
La modalità di rapportarsi con i malati e i disabili a Lourdes è tutt’altro che disincarnata; è un rapporto fatto di carezze, di sorrisi, di abbracci, di contatti fisici. Non è un eccesso
Il fatto è che noi in occidente non ci tocchiamo più. Per esempio se io la abbraccio rischio di essere denunciato per molestie. Questa è la vera depravazione del nostro occidente. A Lourdes ho imparato qualcosa di concreto nel rapporto con il malato che non ti insegnano alla facoltà di Medicina: se parli con una persona immobilizzata devi essere all’altezza dei suoi occhi. Con un non vedente devi metterti nella condizione di farti toccare… A Lourdes è naturale accarezzare, abbracciare. Come si fa a dire a un malato “ti voglio bene”, “mi sto occupando di te”, evitando il contatto con lui? Per questo l’esperienza delle piscine o dei diversi Accueil ha un valore rivoluzionario.
Nel bollettino dell’Amil (l’associazione internazionale dei medici di Lourdes) vengono pubblicati articoli su ricerche scientifiche in corso sul fenomeno Lourdes. Anche legate alla formazione del personale infermieristico…
C’è la ricerca di Ann Solari, docente alla School of Nursing alla Loyola University di Chicago. Da sette anni porta un gruppo di studenti di scienze infermieristiche a fare servizio alle piscine per una settimana, dai primi dati sulla loro esperienza è emerso che questo ha cambiato anche la loro vita professionale.
Ci sono esempi di strutture pensate per rispondere alle necessità dei corpi malati?
Le stesse piscine sono nate per rispondere ai bisogni dei corpi malati. Nel messaggio della Vergine a Bernardette non viene chiesto di immergersi nella fonte. La Madonna ha detto di bere e lavarsi. Ma come potevano farlo persone stese sulle barelle, immobili? Ecco che grazie alle piscine anche le persone gravemente disabili, morenti o barellate hanno l’opportunità di bagnarsi.
Per tutti quelli che non guariscono, Lourdes non rischia di essere una delusione?
Dalla mia esperienza risulta che le persone si riconciliano con il proprio corpo, con la storia della propria malattia. Questo è il vero grande miracolo: vedere una persona con disabilità, accettare se stessa e i limiti del proprio corpo, ritrovare il sorriso. Scoprono di essere accettati, accarezzati, trovano chi sorride loro, chi li accoglie. Non sono dei pazzi in crisi mistica. Penso anche ai tanti giovani che vengono da tutto il mondo come volontari per servire gli altri, magari non parlano la stessa lingua, ma quando accolgono una persona con il sorriso, con una carezza, cambiano tutto.
Motore di moltissime attività sono i volontari che arrivano da tutto il mondo. Chi sono?
Ci sono tantissimi giovani, nonostante la crisi e la riduzione dei pellegrinaggi, loro non mancano mai. Si mettono al servizio dei malati e non sto parlando solo di cattolici, anzi. Qui a Lourdes capiscono di poter essere utili nel concreto agli altri e questo li intriga. Tra questi giovani e i corpi dei malati si instaura una relazione spontanea. Questo poi forse li interrogherà sulla propria fede, ma non è il nostro tema.
I giovani sono attirati dalla concretezza?
Assolutamente sì. E Lourdes è concreta, perché la sua caratteristica è proprio la fisicità di chi aiuta e di chi è aiutato. Ma la vera sfida, anche per i miei colleghi medici, è che il metodo Lourdes, questa accoglienza concreta della persona malata o disabile, lo possiamo portare in tutti i luoghi di cura.
In apertura foto by Pascal Parrot/Getty Images
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