Agbonkhianmeghe E. Orobator S.J.

«Abbiamo bisogno di nuove leadership civili e spirituali»

di Marco Dotti

«Esiste un detto nelle lingue bantu dell'Africa: "io sono perché noi siamo". L'idea di una fraternità universale nasce da questa idea di interrelazione tra tutte le creature», spiega il teologo africano, responsabile della Compagnia di Gesù per tutto il Continente. «Una nuova leadership potrà nascere solo se avremo imparato questa lezione dalla pandemia: tutto è connesso perché tutti siamo connessi»

«Non abbiamo bisogno di un altro eroe», scrive padre Agbonkhianmeghe Orobator nel suo ultimo, recentissimo libro The Pope and the pandemic. Abbiamo, però, «bisogno di nuove leadership civili e spirituali». Leadership fondate su un concetto caro alla tradizione filosofica africana: «Umuntu ngumuntu ngabantu». Questo detto, spiega padre Orabator – del quale il numero di aprile di Vita, interamente dedicato alle voci dell'Africa, ha ospitato un interventoesiste in varie forme nelle lingue bantu dell’Africa meridionale e può essere tradotto così: «Una persona è una persona attraverso le altre persone» oppure «Io sono perché noi siamo».

Responsabile della Compagnia di Gesù per tutta l’Africa, già rettore dell’Hekima University College di Nairobi, padre Orabator è considerato uno dei teologi più brillanti a livello internazionale ed è membro del Boards of Directors della Georgetown University di Washington.

Fede è una parola che viene pronunciata con imbarazzo in Europa. In Africa, qual è la situazione? Come vivono gli africani il loro rapporto con la fede?
È molto importante capire che la “fede” non è un'invenzione europea. Uno dei più grandi errori che i primi missionari hanno fatto è stato supporre che gli africani non avessero fede che a loro (gli europei) spettasse il compito di portarla in Africa. La fede, inoltre, non è nemmeno un monopolio del Cristianesimo. Molto prima che i missionari arrivassero nel Continente, gli africani avevano una coscienza religiosa sviluppata e profonda. Possedevano modelli di credenze, riti e culto.

Ciò che i missionari hanno portato è stata la fede cristiana. Oggi, la situazione si è capovolta. In Europa c’è una certa riluttanza e persino imbarazzo a pronunciare la parola fede. In Africa la situazione è diversa: la dimensione spirituale continua ad essere fondamentale e costitutiva della coscienza africana. Essere è credere, vivere è avere fede. È un fatto basilare e centrale. Come africani, per noi la fede non è motivo di imbarazzo più di quanto lo sia il fatto di esistere.

Gli africani sono abbastanza a loro agio nell'esprimere la loro fede, ma questo non significa che non mettano in discussione certi aspetti di come questa fede viene praticata nelle varie tradizioni religiose. Lo fanno. Discutono, parlano, criticano. Esiste infatti una distinzione – che propongo nel mio libro Confessioni di un animista – tra “performance patologica” e “pratica profetica”. La prima è una distorsione della fede e della religione, la seconda è una manifestazione positiva della fede e della religione nell'interesse del bene comune, che ha come fine la fioritura della persona umana. Entrambe le dimensioni sono presenti nel Cristianesimo africano e in altre religioni.

L'Africa come occasione di rinnovamento

Più volte lei ha insistito su un fatto: l'Africa è un dono di spiritualità e rinnovamento. Come si sta sviluppando questo rinnovamento?
Le tradizioni africane sono un dono spirituale per l’umanità. Riconoscerlo significa fare passi avanti in un processo costante e continuo di riscoperta dell’essenza dell'umanità e del valore della comunità. Anziché fissarsi su dottrine e dogmi, leggi e precetti, come a volte facciamo nel cattolicesimo, le tradizioni africane di spiritualità enfatizzano la persona umana e la comunità umana come ambiente per esprimere la fede. In questo ambiente di fede possiamo lottare per la fioritura umana, l'armonia e la dignità. Il mondo intero ha bisogno dell’Africa, perché ha bisogno di questo tipo di approccio alla vita di fede e alla vita in generale.

Questo vale a maggior ragione per la fede cristiana. Il progresso della fede cristiana non è faccenda di chi vince o chi perde. Anche quando la fede prospera nel Sud globale e diminuisce nel Nord globale, questo fenomeno accresce solo la responsabilità del primo per la sopravvivenza e la continuità della fede cristiana nel secondo. Viviamo in un ecosistema relazionale: l’Africa ci insegna questo.

La Chiesa, con Papa Francesco, sta assumendo una dimensione sempre più globale. Come si inserisce l'Africa in questo scenario? L'Europa sta perdendo la sua centralità?
Proprio come l'Europa ha diffuso il Vangelo fino alle estremità della terra, così l’Africa è chiamata e sfidata a diventare portatrice del Vangelo fino alle estremità della terra. La Chiesa, d’altronde, è sempre stata intesa come una comunità globale, diversa e inclusiva.

Gli evangelisti erano molto chiari sul fatto che la Buona Novella di Gesù Cristo non doveva essere contenuta o confinata nelle pianure della Palestina. Il mandato del Vangelo è animato da una visione globale. E vediamo molti esempi di questa visione nel Vangelo – dalla proclamazione inaugurale del regno di Dio da parte di Gesù di Nazareth (Marco 1,15) alla Grande Commissione (Matteo 28,19-20); dalla Natività (Matteo 2,1-12) alla Pentecoste (Atti 2,1-12). Sottolineando e promuovendo il profilo globale della Chiesa, Papa Francesco non sta facendo qualcosa di nuovo. Il Papa sta semplicemente adempiendo al mandato evangelico che prevede la Chiesa come una comunità globale, diversa e inclusiva o una Chiesa mondiale. Nella nostra epoca, la comunità dei credenti non è più solo una realtà monolitica con un centro che diminuisce o si riduce. È una comunità di comunità. In altre parole, ci sono molti centri della Chiesa mondiale. La Chiesa è una comunità della Pentecoste dove lo Spirito Santo abilita la fede, la parola e l'azione in tante lingue, contesti e situazioni quanti sono i credenti. L'aberrazione è che per molti secoli la Chiesa ha ristretto la sua attenzione e localizzato la sua visione in un piccolo centro.

Un leader è colui che può riconoscere e celebrare la bontà insita nelle persone; che può raggiungere il serbatoio profondo della fede, della speranza e dell'amore, e creare mezzi per sostenere l'umanità in un momento di crisi

Agbonkhianmeghe Orobator S.J.

Questo è ciò che chiamerei un'ecclesiologia eurocentrica. Uscire da questa visione ristretta è proprio quello che sta facendo Papa Francesco. Vediamo esempi della visione ecclesiale globale, diversa e inclusiva del Papa nelle sue destinazioni di viaggio, la sua nomina di funzionari ecclesiastici provenienti dalle frontiere esistenziali e dai margini geografici e i suoi insegnamenti sulla Chiesa come comunità che va a servire l'umanità come un ospedale da campo. L'Europa non perde, tutti guadagnano.

Lei ha scritto che c'è una profonda affinità tra l'enciclica Fratelli tutti e la filosofia Ubuntu. Può spiegare di cosa si tratta e perché questo legame con una filosofia africana come Ubuntu è così importante?
Ubuntu è il senso profondo dell'essere umani solo attraverso l'umanità degli altri. Se realizzeremo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione con gli altri, grazie alla cooperazione fraterna. Ubuntu, infatti, è un sinonimo di fraternità.

Così, quando Papa Francesco dice in Fratelli tutti che «ognuno di noi è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è vero popolo senza rispetto per il volto di ogni persona. Popolo e persona sono termini correlativi. Tuttavia, oggi si pretende di ridurre le persone a individui, facilmente dominabili da poteri che mirano a interessi illeciti. La buona politica cerca vie di costruzione di comunità nei diversi livelli della vita sociale, in ordine a riequilibrare e riorientare la globalizzazione per evitare i suoi effetti disgreganti» (n. 182) che cosa sta esprimendo? Sta esprimendo il principio centrale della filosofia dell'Ubuntu, cioè che «Una persona è una persona attraverso altre persone» o che «io sono perché noi siamo». In altre parole, siamo «fratelli e sorelle tutti» (n. 8) e siamo vicini senza confini. In realtà, sia Fratelli tutti che l'ubuntu confermano lo scopo originale della creazione, cioè che siamo tutti creati a immagine e somiglianza di Dio. Pertanto, siamo dotati di una dignità inalienabile che riconosciamo e celebriamo reciprocamente gli uni negli altri come «fratelli e sorelle» (n. 8).

Il messaggio di fraternità è al centro di una rinnovata visione di leadership spirituale. Una leadership improntata alla fede.

Verso un nuovo modello di leadership

Il suo ultimo libro tratta della pandemia e di come Papa Francesco stia promuovendo una nuova forma di leadership. Può dirci cosa significa questo e, in particolare, cosa può rappresentare questa nuova cultura della leadership per l'Africa e dall'Africa?
L’Africa, con la sua dimensione di fede, è modello anche in questo. La leadership conta, specialmente in tempi critici come i nostri. Questa pandemia ha rivelato una profonda e preoccupante crisi di leadership in tutto il mondo. Con pochissime eccezioni, abbiamo visto come molti leader sono venuti meno alle loro responsabilità. Nel mezzo di questo fallimento di massa della leadership,

Papa Francesco mostra un modello diverso. Il modello di leadership del Papa dimostra che il ruolo primario di un leader è quello di essere vicino alla gente, specialmente a coloro che sono deboli, vulnerabili, poveri ed emarginati, e di portare loro consolazione.

Ma chi è un leader?
Un leader è colui che può riconoscere e celebrare la bontà insita nelle persone; che può raggiungere il profondo serbatoio della fede, della speranza e dell'amore, e creare mezzi per sostenere l'umanità in un momento di crisi. Durante una crisi, un leader si sforza di costruire ponti e riunire le persone e di creare un ambiente favorevole all'innovazione, al cambiamento e alla conversione. Un leader dà la priorità alla solidarietà e alla compassione rispetto alla ricerca egoistica dell'interesse personale e al populismo a buon mercato. Ecco perché quando i leader sono all'altezza delle loro solenni responsabilità e dei loro impegni, possono fare la differenza tra luce e tenebre, speranza e disperazione, vita e morte per le persone che hanno il privilegio di servire e proteggere. Papa Francesco incarna questa cultura e questo modello di leadership.

La fede è il sostrato del mondo che verrà e l’Africa, in questa fede che si rinnova nell’esistere fraterno e si declina in una leadership spirituale inclusiva, ha davvero molto da insegnare a tutti quanti.

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