«Nothing about us without us», «Niente su di noi senza di noi». È questo lo slogan che gli attivisti nel campo della disabilità utilizzano in tutto il mondo per esprimere il loro diritto a partecipare al dibattito sociale e politico che li riguarda. Ed è anche uno dei principi a cui può essere ricondotto il collettivo Mai ultimə, nato nel 2022 dall’iniziativa di alcuni studenti dell’università di Torino, con lo scopo di contrastare le dinamiche abiliste ancora presenti nell’ateneo. Nel gruppo, che ora conta una sessantina di membri, ci sono in larghissima maggioranza persone disabili – sensoriali, motorie o cognitive – e neurodivergenti, autistiche, con disturbo da deficit di attenzione/iperattività – Adhd, con disturbi specifici dell’apprendimento – Dsa e con diagnosi psichiatriche. Tra i fondatori del collettivo c’è Elisa Costantino, studentessa ventitreenne che già da tre anni fa attivismo online e offline sul tema della disabilità.
Innanzitutto, qual è la storia del collettivo Mai ultimə?
Il collettivo è nato nel giugno del 2022, dopo tantissimi confronti con altri studenti e studentesse disabili dell’università di Torino. Noi chiacchieravamo e ci dicevamo: «Questo docente è abilista», «Mi ha chiamato diversamente abile», «Mi ha chiesto la diagnosi durante l’esame», «Gli ascensori non funzionano». Parlavamo di disservizi e di trattamenti diversificati all’interno della nostra esperienza accademica. Un altro ragazzo, in carrozzina come me, mi ha fatto una battuta: «Perché non fondiamo un collettivo di persone disabili?»; così è partito il collettivo, su cui io all’inizio non nutrivo moltissima fiducia, non pensavo raggiungesse una tale visibilità.
Come mai?
Pensavo che mettere in piedi un collettivo e soprattutto reperire i partecipanti non fosse così facile. Anche perché tuttora non vedo moltissime persone con disabilità motoria all’università; questo significa che non hanno abbastanza ore di assistenza e quindi non riescono a frequentare l’ateneo. Andarle a cercare a casa è effettivamente complicato. Poi, devo dire, ho poca fiducia nela realtà accademica, perché trovo che sia ancora molto abilista. Per questo non credevo molto al progetto, che poi invece è andato molto bene.
Tuttora non vedo moltissime persone con disabilità motoria all’università; questo significa che non hanno abbastanza ore di assistenza e quindi non riescono a frequentare l’ateneo.
Elisa Costantino
In cosa l’università è abilista?
Non viene garantita un’assistenza adeguata. Fino alla quinta superiore a scuola ti garantiscono l’insegnante di sostegno e l’Oss; questo non avviene all’università, dove sei completamente abbandonato. Se hai l’assistente personale che ti ci porti, ti faccia rimanere lì, ti aiuti a mangiare, bere e andare in bagno riesci a frequentare, altrimenti no. I docenti sono anziani, per la maggior parte non sanno nulla di disabilità e se sanno qualcosa è sempre da una prospettiva medicalizzata. È difficile far cambiare approccio. Le strutture in generale non sono accessibilissime. Le due principali a Torino sono il campus Einaudi e il Palazzo nuovo. Il primo è stato finito nel 2016, però ha puntualmente diversi ascensori rotti: se devi salire ai piani di sopra ti tocca sperare che uno su dieci funzioni. Hanno anche fatto un’aula magna con delle scale per scendere alla cattedra, che quindi non è accessibile. Palazzo nuovo, invece, è un edificio storico e quindi è al 90% non accessibile.
Fino alla quinta superiore a scuola ti garantiscono l’insegnante di sostegno e l’Oss; questo non avviene all’università, dove sei completamente abbandonato. Se hai l’assistente personale che ti ci porti, ti faccia rimanere lì, ti aiuti a mangiare, bere e andare in bagno riesci a frequentare, altrimenti no.
Elisa Costantino
Quali sono le attività che il collettivo svolge?
Quest’anno abbiamo istituito un ciclo di seminari per parlare delle nostre esperienze di discriminazione sia fuori che dentro l’ateneo, come persone disabili e neurodivergenti. È stato molto bello, anche se è stato impegnativo organizzarlo, ha avuto molto seguito. Adesso facciamo anche parte del tavolo di lavoro per l’inclusione di studenti disabili e con Dsa dell’ateneo e quindi veniamo consultati per le politiche relative alle nostre persone. In generale, quando ci chiedono di collaborare per progetti su disabilità e neurodivergenze solitamente noi ci siamo.
C’è molta sensibilità tra gli studenti?
Io trovo che studenti e studentesse siano avanti anni luce rispetto ai docenti. Magari non ci sarà una formazione accademica sui disability studies, ma quando abbiamo fatto i seminari ho citato i nomi degli attivisti e delle attiviste disabili e neurodivergenti e non c’era una persona che non conoscesse nessuno.
Su questo hanno fatto molto i social, che anche lei ha utilizzato per la sua attività di divulgazione. Ce ne parla?
La mia attività è cominciata nel 2021. Quando mi sono laureata, ho messo come immagine del profilo una foto e, come descrizione, ho scritto l’ultima parte della mia tesi sulla vita indipendente. Ho notato che era piaciuto molto e che è servito ad altre persone disabili, che ne volevano sapere di più anche riguardo all’assistenza. Quindi mi sono detta: «Cavolo, quello che dico e faccio interessa, perché non continuare?». Grazie all’attivismo ho fatto un sacco di networking, che mi ha permesso di conoscere tantissime persone disabili e neurodivergenti su cui so di poter contare, anche se non ci vediamo di persona.
Il collettivo è quasi interamente composto da persone disabili e neurodivergenti. Quant’è importante che siano loro stesse a parlare dei propri bisogni?
Tantissimo. Noi contrastiamo l’ideologia per cui sono le persone non disabili a parlare per noi; è questo il motivo per cui siamo stati coinvolti nel tavolo per l’inclusione dell’ateneo.
C’è apertura, quindi, da parte dell’università.
Penso di si. Non trovo invece tanta apertura in alcuni docenti, perché trovo non funzioni bene il tramite ateneo – docenti – studenti, c’è qualcosa che si blocca. È un sistema da migliorare, perché altrimenti le buone intenzioni ci sono tutte.
Vi piacerebbe che ci fossero altre realtà come la vostra in altri atenei italiani?
Si, vorremmo espandere questo modello in tante altre università italiane, perché è una realtà utilissima.
Le foto nell’articolo sono state concesse da Elisa Costantino
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