Qui Finlandia

A scuola di fact-checking nel Paese più felice al mondo

di Daria Capitani

La fiducia nelle notizie è al 69% in Finlandia, esattamente il doppio della percentuale rilevata dal Reuters Digital News Report 2024 in Italia. Un dato che ha a che fare con l'alfabetizzazione mediatica di tutta la popolazione, da 0 a 100 anni: un modello pionieristico di lotta alla disinformazione a cui tutto il mondo guarda

«Se Dio esistesse, sarebbe una biblioteca». C’è un luogo in grado di restituire le parole di Umberto Eco e io l’ho visto. È a Helsinki, al numero 4 di strada Töölönlahden. 10mila metri quadri di cui è quasi impossibile non innamorarsi, proprio di fronte alla sede del quotidiano più venduto in Finlandia, Helsingin Sanomat, lo stesso che la maggior parte della popolazione legge con il primo caffè del mattino. Qui, se sei abbonato, il giornale ti viene recapitato a casa all’alba e la fiducia nelle notizie è al 69%, esattamente il doppio della percentuale rilevata dal Reuters Digital News Report 2024 in Italia. Che cosa c’entra una biblioteca da 98 milioni di investimento pubblico con la percezione del ruolo del giornalismo nella società? Il legame esiste, ed è figlio di un investimento che sì, è in denaro, ma ha a che fare con le persone, con la scuola e con quei piccoli e grandi dispositivi che catalizzano le attenzioni di chiunque sappia scrollare uno schermo. Media literacy, alfabetizzazione mediatica: qualcosa di cui oggi in Europa parlano tutti ma che il governo finlandese ha iniziato a concretizzare molto tempo fa, nei primi anni Duemila. Un sistema pionieristico a cui tutto il mondo guarda. Attenzione, non è rivolto soltanto alle nuove generazioni, è per tutti: da 0 a 100 anni.

La biblioteca Oodi e, a destra, il palazzo dove ha sede il quotidiano più venduto in Finlandia.
[Fotografia di Maarit Hohteri, press kit Oodi library]

Storia di un modello pionieristico

Un documento pubblicato dal National Audiovisual Institute ricostruisce le origini di una storia lunga almeno sessant’anni. Nel dibattito pubblico e accademico finlandese, si discuteva di comunicazione di massa e degli effetti dei film sugli individui e sulla società già negli anni ‘50, distinguendo tra propaganda e “good art”. Nel 1972 l’interpretazione e la riflessione critica sui contenuti audiovisivi entra per la prima volta nel curriculum di studi, ma è con il nuovo millennio che l’alfabetizzazione mediatica viene riconosciuta dal governo finlandese come una disciplina imprescindibile per le nuove generazioni da introdurre sin dalla scuola dell’infanzia. Nel 2005 nasce l’ong Finnish Society on Media Education con l’obiettivo di sviluppare il settore.

Silja Hakulinen, senior advisor del Ministero dell’Istruzione e della Cultura finlandese.

Dal 2010, la media literacy entra in diverse politiche governative. Oggi è parte del Dipartimento Politiche culturali e artistiche del Ministero dell’Istruzione e della Cultura come fiore all’occhiello di un modo di intendere l’educazione civica di tutta la popolazione. Silja Hakulinen, senior advisor del Ministero, spiega che «l’alfabetizzazione mediatica è cruciale nella costruzione di una società democratica e resiliente, in grado di confrontarsi con un mondo in continua evoluzione. La disinformazione cresce, ma se i cittadini sono preparati, di fronte a una fake news rispondono in modo consapevole».

Si inizia molto presto

«I bambini ricevono i primi rudimenti di media literacy molto presto, direi intorno al primo anno di vita, quando entrano all’asilo nido», racconta Hakulinen. «Le singole scuole e gli insegnanti hanno grande libertà decisionale, dalla scelta dei libri al programma didattico. Non si tratta di una disciplina a sè, è connessa a tutte le materie in un approccio di contaminazione in grado di incentivare lo sviluppo di competenze trasversali».

Salla Nazarenko, la referente della Union of Finnish Journalists specializzata in affari internazionali.

A stabilire quali siano queste skills, sono i programmi nazionali seguiti dalle scuole. Ci lavorano in modo permanente due agenzie statali, The national Audiovisual Institute (Kavi) e The Finnish National Agency for Education, con un budget da destinare alle realtà del Terzo settore che si occupano di alfabetizzazione mediatica. Il tema è così centrale che a occuparsene non è soltanto il Ministero dell’Istruzione e della Cultura, molte politiche sono condivise con i Ministeri di Giustizia, Trasporti e Comunicazione, Interno e Affari esteri: «I tre macro obiettivi sono l’accessibilità, l’alto livello della formazione e la sua sistematizzazione. Le linee guida sono contenute nella National Media Education Policy del 2019, attualmente in fase di valutazione e sviluppo: entro il 2025 verrà approvata la nuova strategia», continua Hakulinen.

Fake news? Un gioco da ragazzi

Nel 2022 l’Unione europea ha introdotto gli Orientamenti per gli insegnanti e gli educatori volti a contrastare la disinformazione e a promuovere l’alfabetizzazione digitale attraverso l’istruzione e la formazione, un documento annunciato nel 2020 nell’ambito del piano d’azione per l’istruzione digitale (2021-2027).

Lettori di ogni età alla Oodi library.

La Finlandia si è fatta trovare pronta. Sono moltissime le delegazioni in visita per carpire i segreti di un approccio che funziona: «Lo dicono i dati sulla fiducia nelle autorità e nei media, l’alto tasso di alfabetizzazione, il ridotto gap salariale nella società e l’argine che siamo riusciti a porre alla diffusione della disinformazione. Qui i bambini riconoscono una fake news e la spiegano ai nonni», conclude la senior advisor. «C’è una connessione tra l’alfabetizzazione mediatica e l’alfabetizzazione in generale, così come sappiamo che l’isolamento e la polarizzazione del discorso pubblico possono essere contrastati mettendo a disposizione più servizi per la salute mentale. Allo stesso modo, stiamo lavorando per ridurre la barriera linguistica che è ancora un ostacolo per gli immigrati: per il 25% della popolazione il finlandese non è la lingua madre, è qualcosa che dobbiamo sempre tenere a mente».

Succede qui perché

La Finlandia confina per 1300 chilometri con la Russia, qui le parole disinformazione e propaganda hanno un peso specifico e l’avvento di Internet con il suo potenziale infinito di accesso a notizie anche non verificate ha messo in moto un intero sistema di apprendimento collettivo.

Le testimonianze di questo processo (almeno) ventennale sono disseminate ovunque, a partire dalla possibilità di scegliere tra più di 200 testate in un Paese che conta 5,5 milioni di abitanti. Nella sede del Council of Mass Media, dove si riuniscono i 13 delegati chiamati a decidere del futuro professionale dei giornalisti accusati di non aver rispettato le regole deontologiche, c’è una trilogia di piccoli manifesti appesi. Le immagini cambiano, la scritta è sempre la stessa: «Hai il diritto di costruirti un’opinione grazie a un’informazione affidabile». In stampatello maiuscolo, il concetto cardine: responsabilità giornalistica.

Mona Haapsaari, managing editor di Mtv.

Negli studi di Mtv, una delle prime tv commerciali nate in Europa, per anni leader di audience nel Paese, la giornalista Mona Haapsaari mostra l’inchiesta realizzata nelle scuole intervistando bambini tra i 6 e e i 12 anni che, proprio come in Italia, hanno un profilo Social anche se non hanno l’età minima richiesta. «Che cosa vi piace guardare? Quali video vi fanno paura?». I ragazzi rispondono, parlano di algoritmo, di quella «bubble» che ti fa vedere soltanto ciò che è «allineato alla tua ideologia». Haapsaari, che è managing editor del canale, fino a pochi minuti prima raccontava di notizie di esteri, cronaca e politica, eppure ammette: «Abbiamo raccolto risposte sincere, oneste. Credo che sia uno dei servizi tv più importanti che abbiamo fatto lo scorso anno».

È un bel momento per fare la giornalista in Finlandia, ma è anche molto complicato. Abbiamo il compito di semplificare contesti che non sono semplici, dobbiamo essere equidistanti e raccontare tutta la storia, non soltanto una parte

Mona Haapsaari, managing editor Mtv

Mettere tutti nella condizione di riconoscere una fake news e assicurarsi che lo siano davvero. Il canale Mtv ha creato il profilo, credibile ma finto, di un’insegnante e l’ha candidato a occupare la cattedra in diversi istituti sparsi lungo il territorio nazionale. «35 scuole hanno accettato il cv di una donna che non esiste», ricostruisce Haapsaari. «Un’indagine che ha avuto un impatto pressoché immediato: è cambiato il metodo di selezione per l’assunzione dei docenti. Abbiamo spiegato alle persone quanto sia facile creare una fake news». Fa una pausa di qualche secondo, poi aggiunge: «È un bel momento per fare la giornalista in Finlandia, ma è anche molto complicato. Abbiamo il compito di semplificare contesti che non sono semplici, dobbiamo essere equidistanti e raccontare tutta la storia, non soltanto una parte».

Giornalismo bene comune

In un cortile interno poco distante dalla piazza centrale di Helsinki, c’è la sede di FaktaBaari, pluripremiata ong nata nel 2014 «per un confronto pubblico verificato», di cui fanno parte giornalisti professionisti, ricercatori, esperti Ue, insegnanti e tecnici che si occupano di analisi e metodi di fact-checking anche per l’aggiornamento dei docenti sulla media literacy. Pipsa Havula è caporedattrice: «Nel nord Europa l’approccio all’informazione è molto diverso rispetto a un Paese come l’Italia. Per questo è fondamentale studiare come si diffondono le informazioni digitali e fornire linee guida a chi ha il compito di formare le nuove generazioni: l’educazione ai media è qualcosa di cui prendersi cura continuamente, abbiamo bisogno che ogni cittadino sia in grado e senta la responsabilità di verificare autonomamente le notizie a cui ha accesso».

L’ingresso della università Haaga-Helia.

Una delle ricerche più recenti di FaktaBaari ha a che fare con le elezioni presidenziali del 2024: «Attraverso dieci pc posizionati in punti diversi della Finlandia, abbiamo monitorato 100 parole chiave. Abbiamo chiesto ai titolari di ognuno di questi dispositivi di visitare ogni giorno sette piattaforme per comprendere come si comportavano le interazioni. Sono emerse differenze nella diffusione dei video delle diverse parti politiche: alcuni avevano un’audience molto più ampia». La ragione? «Non possiamo individuarne una esatta, ma di certo l’emozione generata in chi li guarda conta».

A proposito di emozione, Laura Kettunen, docente all’Haaga-Helia, importante università finlandese dove si formano i giornalisti di domani, avverte: «Ai miei allievi consiglio di tenere sempre a mente la loro sicurezza, anche nell’uso privato dei social media». Il compito di tutelarli è affidato alla Union of Finnish Journalists, a cui sono iscritti 14mila tra giornalisti, studenti di giornalismo e insegnanti. Per Salla Nazarenko, la referente del sindacato specializzata in affari internazionali, «difendere la libertà di parola e il giornalismo è un lavoro quotidiano».

La grande sala refettorio all’ingresso del liceo Vuosaari.

Riguarda tutti, a ogni età, e sotto molteplici punti di vista: «Protezione, partecipazione culturale, inclusione, democrazia, sicurezza nazionale, cittadinanza globale e competenze tecniche», spiega Johannes Repo, esperto in media education e comunicazione della Finnish Society on Media Education. «La nostra speranza è che bambini e giovani acquisiscano le competenze per contribuire a supportare il benessere digitale. È qualcosa di cui non ci si occupa abbastanza: significa sapere come usare la tecnologia e come bilanciare la nostra vita nel mondo digitale».

Media literacy in concreto

«È molto importante distinguere ciò che è vero da ciò che è falso». Un 16enne castano risponde sicuro di fronte ai microfoni della Cna in un video pubblicato su YouTube. Come tutti i suoi coetanei, ha ricevuto a casa The Abc book of Media literacy, un libro realizzato da News Media Finland, l’associazione nazionale di editori. «Iniziative come questa sono un vaccino contro la disinformazione», spiega la project manager Susanna Ahonen. «Non significa dire alle persone cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, il nostro obiettivo è rendere il ruolo del giornalista riconosciuto e insegnare a chiunque ad accorgersi quando si trova di fronte a un’informazione scivolosa. La cosa a cui teniamo di più? Che sia chiara la differenza tra social media e media giornalistico».

Media literacy non significa dire alle persone cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, il nostro obiettivo è rendere il ruolo del giornalista riconosciuto e insegnare a chiunque ad accorgersi quando si trova di fronte a un’informazione scivolosa

Susanna Ahonen, project manager News Media Finland

Al liceo Vuosaari, in uno tra i quartieri più multietnici di Helsinki, quattro ragazze del coordinamento studentesco hanno le idee chiarissime: «Discutiamo di politica, ricerca e fonti ogni giorno in classe», spiegano. «Sono gli stessi insegnanti a chiedercelo, guardiamo insieme i sondaggi e incrociamo più fonti per essere certi che le notizie che stiamo leggendo siano corrette». Il principale strumento per informarsi è TikTok, dicono, «ma la differenza rispetto ai miei nonni», dice una di loro, «è che loro seguono soltanto il servizio pubblico e si fidano a prescindere, io verifico tutto». Interviene il professor Antti Kajas, insegna Filosofia ma, precisa, «con un approccio di metodo, non storico. La mia materia è un modo di pensare, un allenamento per sviluppare e consolidare lo spirito critico. Lo dico sempre ai miei allievi: andate sempre alla fonte, anche l’insegnante sbaglia».

Ode alla biblioteca (e alla felicità)

I bambini corrono scalzi su quella che somiglia alla prua di una barca. C’è una lunga fila ordinata, almeno 15 metri: decine di persone attendono il proprio turno ai seggi per votare. Fuori dal portone, Helsinki è tappezzata dei manifesti con i volti di chi si candida ad amministrare la Municipalità. In una settimana fredda e luminosa sono entrata e ritornata ancora e ancora in una biblioteca a cui i cittadini hanno dato un nome bellissimo: Oodi, che in italiano significa Ode. Bastano tre lettere a raccontare un mondo in cui tutto sembra possibile: studiare, leggere, lavorare, cucire, fare a maglia, stirare, registrare un disco o costruire whatever you want con le stampanti 3D. Nel grande atrio all’ingresso si gioca a scacchi.

Alla biblioteca Oodi si può anche stirare,

Mi sono chiesta ogni giorno che cosa la rendesse speciale. Non è così diversa da una casa di quartiere, pensavo. La risposta me l’ha data Giulia Cavicchi, laureanda in Giurisprudenza di Trento, è a Helsinki per il suo Erasmus: «È una questione di libero accesso (gratuito dal lunedì alla domenica), ma soprattutto di rispetto». Mi guardo intorno: stiamo parlando mentre qualcuno presenta un libro, dietro di noi c’è chi studia e i bambini continuano a giocare. Meno di un mese fa il World Happiness Report delle Nazioni Unite ha incoronato la Finlandia per l’ottavo anno consecutivo. Non conosco gli indicatori, ma so che in questa biblioteca, inaugurata nel 2018 come regalo ai finlandesi per l’anniversario dell’indipendenza, mi sono sentita felice.

L’autrice dell’articolo ha partecipato al progetto di formazione professionale in ambito europeo finanziato dal programma Erasmus, coordinato dall’Ordine dei Giornalisti della Liguria.

In apertura, l’ingresso alla biblioteca Oodi (la fotografia è di Kuvio, dal press kit Oodi library). Le immagini nel testo in cui non sono indicati i crediti sono dell’autrice o della pagina Fb Ordine dei Giornalisti della Liguria

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