La domenica mattina della periferia ovest di Milano racconta di un gran bel sole, alti palazzi in costruzione – ma oggi ruspe e gru sono nel silenzio del giorno di festa – persone che corrono, passeggiano, cani al guinzaglio e bambini che giocano nelle ampie aree verdi. Siamo in via Calchi Taeggi, e dando le spalle alla nuova Milano che avanza, vediamo una porta a doppio battente aperta che dà su una struttura rossastra, decisamente più bassa: il carcere minorile Beccaria. Che oggi ospita una sessantina di giovanissimi detenuti, con pene di varia entità, e che negli ultimi tempi è finito in tutti i telegiornali per avere inanellato risse, incendi, evasioni, proteste ma anche comportamenti violenti da parte di chi dovrebbe fare rispettare l’ordine (13 agenti arrestati per maltrattamenti lo scorso 22 aprile).
Ma noi stamattina siamo qui per qualcosa di diverso: raccontare il ‘bello’ anche in un luogo marchiato come ‘brutto’. Possibile? Sì, se a smuovere le acque è don Gino Rigoldi, classe 1939, cappellano del Beccaria dal 1972 fino al marzo di quest’anno – ben 52 anni – quando ha lasciato il passo a don Claudio Burgio che, già da 19 anni lo affiancava nel servizio con i detenuti.
Una sfida di don Gino
Don Rigoldi, infatti, con il beneplacito della direzione carceraria, ha lanciato la sfida: dire messa, ogni domenica alle 10.30 a partire dal 2 giugno Festa della Repubblica, aprendo la Chiesa del Beccaria alla cittadinanza. Ed è così che, qualche minuto prima dell’orario prescelto, è iniziato un viavai di persone proprio da quella porta aperta, adiacente alla Chiesa, che non più di due anni fa era ancora un muro: «È la porta che dà accesso al teatro Puntozero Beccaria, dopo 30 anni di attività siamo riusciti a ottenere l’accesso diretto», spiega la referente della compagnia teatrale, presente a questo momento a suo modo storico, assieme a tre collaboratori, tra cui un ragazzo 18enne detenuto. È lui l’unico recluso presente, “ma è una messa ‘pilota’, dalla prossima domenica saranno presenti diversi ragazzi del carcere, che parteciperanno attivamente e in modo volontario», ci dice lo stesso don Rigoldi.
Una scommessa: unire il fuori al dentro
La scommessa sta tutta qui: permettere l’incontro tra chi sta fuori e chi sta dentro, abbattendo muri e stereotipi per quanto possibile, creando nuovi orizzonti. L’esempio lo danno le stesse persone che alla spicciolata – saranno una settantina in tutto, per questa ‘prima’- iniziano a popolare la Chiesa, fermandosi qualche minuto all’ingresso, quasi incredule di potere entrare nella struttura penitenziaria. «Siamo qui perché vogliamo metterci in ascolto. Siamo da poco in pensione, vorremmo potere essere utili incontrando i ragazzi detenuti, parlando con loro», ci spiega una coppia di signori che abitano dalla parte opposta dalla città.
Abita qua vicino invece una donna che oggi fa la volontaria nel carcere di San Vittore con l’associazione Incontro e Presenza: “passavo davanti al Beccaria tutte le mattine per andare al lavoro e mi sono detta che potevo fare qualcosa anch’io. Ci sto riuscendo ed è un’esperienza fondamentale, per questo oggi sono qua a ‘ringraziare’ dove tutto è iniziato».
Da Reggio per capire come fare
Raccogliamo anche la motivazione di un frate cappuccino giunto fin da Reggio Emilia, che vuole vedere da vicino l’opera di don Rigoldi e don Burgio, e di tre giovani sorridenti all’ingresso, arrivati come il frate in largo anticipo: «Chiederemo di potere dare una mano nell’officiare la messa, animandola. Facciamo parte del movimento Gloriosa Trinità», raccontano.
Nel frattempo, puntuale, la funzione ha inizio. I due religiosi si alternano e sia nell’omelia che nelle preghiere i riferimenti sono per tutti: giovani detenuti, guardie carcerarie, cittadini. «Toccare con mano l’umanità» che c’è dietro le sbarre e «fare comunità attorno a questo luogo», sono i due punti di partenza per questa novità che, come spera don Rigoldi, porterà sempre più gente a partecipare all’appuntamento domenicale. La funzione è breve, alla comunione partecipano quasi tutti.
Sulle panche molti genitori coi figli
Sulle panche si vedono, oltre a numerose coppie, diversi genitori con figli: tra di loro riconosciamo un assessore della precedente giunta milanese, Gabriele Rabaiotti, e il figlio 19enne, che incrociamo all’uscita. «Sono qui per ritrovare persone con cui ho collaborato per tanto tempo, e perché questa iniziativa è piena di senso», dice l’ex assessore, a cui si aggiunge il ragazzo con una motivazione del tutto personale: «Volevo conoscere da vicino don Burgio, mi ha colpito molto che abbia composto una canzone rap per Baby Gang», (il rapper nato a Lecco nel 2001 di origine marocchina che entra ed esce dal carcere da anni, con cui il religioso ha instaurato una forte relazione: la canzone si chiama Spavaldo e fragile).
Ancora, c’è un’altra coppia di neopensionati venuta «per esprimere solidarietà in prima persona», un signore «legato a don Gino da un rapporto personale di tanto tempo fa, quando diceva messa nella parrocchia dove abitavo, per questo ora sono qui a supportarlo». C’è anche una signora con enorme forza di volontà nella gestione del Parkinson e il marito a fianco: «Stimiamo profondamente don Rigoldi, perché è una persona che scuote sia religiosi che laici. A volte possiamo essere in disaccordo con alcune sue dichiarazioni, ma rimane una grande guida morale».
Stare vicini ai ragazzi
All’uscita è evidente la volontà di conoscersi, confrontarsi, tessere relazioni. Osserviamo don Rigoldi prendersi una pausa su una panca e don Burgio conversare con il ragazzo detenuto. Salutiamo, con la promessa di tornare a vedere come si evolve l’esperienza: «C’è bisogno di tanta gente», rimarca lo storico cappellano, «stiamo vicini a questi ragazzi».
L’ultimo scambio di vedute è con don Burgio: «In questi ultimi tre giorni sono entrati nel carcere alcuni volontari che hanno imbiancato le pareti assieme ai detenuti. Hanno realizzato anche alcuni murales con panorami molto belli che ricordano la necessità di cercare bellezza nonostante tutto».
Aprirsi per ripartire
Un carcere minorile che cerca linfa vitale dal territorio circostante, anche per superare le recenti, traumatiche difficoltà. «Ora c’è un nuovo direttore, dopo anni di facenti funzioni, e verrà aumentato il personale ma soprattutto formato in modo più consistente», aggiunge. Una delle urgenze quasi “croniche” è trovare posto fuori dalle sbarre per chi ha concluso il percorso detentivo: i luoghi mancano lo stigma è spesso invalicabile. Ma, ribadiscono i religiosi, con l’amministrazione penitenziaria si è in una fase molto collaborativa e l’apertura all’esterno della Chiesa ne è un esempio. Le cose miglioreranno realmente? «Abbiamo molta speranza. Ma, da solo, il Beccaria non ce la fa: ha bisogno della società civile, che va interpellata e sensibilizzata, oggi come non mai».
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