19 dicembre 2024. Da quando è scoppiata la guerra, è la seconda volta che vado in Ucraina. Sono a Leopoli, in macchina con padre Michele, vicerettore del seminario di questa bella città situata a un centinaio di chilometri dal confine con la Polonia. Padre Michele è un sacerdote di rito greco-cattolico che conosce bene l’italiano, perché ha studiato teologia a Roma, alla Gregoriana.
La città è viva. Automobili vanno e vengono e c’è tanta gente per strada. Un camion effettua una manovra un po’ azzardata, ci costringe a rallentare. Un aereo militare si alza da un aeroporto vicino per dirigersi chissà dove. Lo spazio aereo, come si sa, è interdetto ai voli civili.
L’equipaggio
Padre Michele controlla lo specchietto retrovisore. Nel grande viale illuminato dal sole, l’ambulanza è ancora dietro di noi. Alla guida c’è Carlo Assi (presidente dell’Associazione Amicizia Italia Ucraina, vice presidente Avis di Cernusco sul Naviglio e consigliere comunale): è l’organizzatore e il capodelegazione della spedizione (qui l’articolo dedicato alla partenza).
Al suo fianco c’è l’altro compagno di viaggio con cui mi sono imbarcato in questa avventura, Luca Puleo (socio Aaiu, docente di master post universitario, consulente aziendale, soccorritore volontario del 118, vice presidente dell’Avis di Cologno Monzese). Stiamo andando verso la stazione centrale di Leopoli.
Là dobbiamo incontrarci con tre amici ucraini che hanno viaggiato tutta la notte in treno. Vengono da Kharkiv, grande città a 1.200 km di distanza verso est, vicina al fronte e al confine con la Russia. A loro dobbiamo consegnare l’ambulanza che, con Carlo e Luca, abbiamo guidato dall’Italia fin qui, fermandoci una notte a Vienna e una notte, accolti da padre Michele, nel seminario di Leopoli.
Così è nata la partecipazione al Convoglio Bonacina
L’ambulanza, usata ma in buono stato, è un dono della Croce Bianca di Milano a Svit ta Ukrayina, una associazione di volontari di Kharkiv che recupera persone fragili nelle zone di guerra (malati, feriti, anziani, donne, bambini) e le porta in salvo.
Alla spedizione, in partenza da Cernusco sul Naviglio il 17 dicembre alle 6 e 30, mancava un terzo autista e così mi sono aggregato anch’io, per il piacere di farlo e anche in qualità di rappresentante del Movimento Europeo di Azione Nonviolenta – Mean, co-fondato da Riccardo Bonacina, che è anche il fondatore di Vita, la rivista che ospita questo piccolo diario.
Riccardo Bonacina – che mi piace ricordare come un grande, inesauribile tessitore di bene comune, e che è stato tra i primi, dopo l’invasione russa, a entrare in Ucraina per portare iniziative concrete di solidarietà – è mancato, per una grave malattia che lo insidiava da tempo, nei giorni a ridosso della partenza. Proprio a lui, su idea di Carlo Assi, è stato dedicato il convoglio che, oltre all’ambulanza, portava aiuti di vario genere, stipati sia nell’ambulanza sia nel furgone dei ragazzi di Ukraine Rescue Mission, un collettivo di Cassina de’ Pecchi che riunisce diverse associazioni e che ha viaggiato con noi.
Dettagli ulteriori – per chi volesse approfondire – si trovano in diversi articoli (eccone un paio: Linkiesta e AAIU) e nei video e nelle fotografie a corredo di quanto state leggendo.
Accolti al seminario di Leopoli
Mentre viaggiamo verso la stazione, ho ancora nelle orecchie i canti dei 150 seminaristi alla messa mattutina. Sotto il regime sovietico, il seminario era chiuso. Dopo la caduta del muro di Berlino – e con la conquista, nel 1991, di una indipendenza agognata da almeno duecento anni – in Ucraina non solo è rifiorito il sentimento religioso, ma sono riprese, a grande ritmo e con grande vitalità, le attività culturali.
L’amore per la patria, e il desiderio di liberazione dall’oppressore russo, sono molto presenti, ma il sentimento che domina le generazioni non è ottusamente sovranista. C’è un grande desiderio di scambio e di crescita. Al Politecnico di Leopoli si studia persino Dante, e si favorisce la parità di genere (leggi qui). Non molto lontano da dove ci troviamo c’è l’università cattolica, un complesso moderno e attrezzato, che attira giovani studenti da tutto il Paese, anche dalle zone occupate.
Se volete farvi un’idea non preconcetta del popolo ucraino, se volete conoscere la sua storia e la sua dignità, e capire quanto gli ideali di indipendenza e di sviluppo democratico siano radicati in tutti gli strati sociali, venite qui, parlate con le persone; non fidatevi dei commenti di giornalisti e politologi che, pur di confermare la loro visione della realtà, sono disposti a giustificare l’imperialismo di Putin.
Lungo i boulevard di Leopoli
Guardo i palazzi che costeggiano il grande boulevard che ci porta verso la stazione. Ci sono dei grandi casermoni di epoca sovietica, un po’ malandati. Ma ovunque anche costruzioni nuove, strutture sportive, bancarelle di frutta e verdura, giardini, parchi, supermercati, scuole, cinema, teatri, chiese… voglia di vivere ed essere liberi. Non posso fare a meno di pensare che questa città sia profondamente europea, al pari di Berlino, o Praga.
Padre Michele mi chiede se è vero che in Italia c’è chi pensa che la colpa della guerra sia degli ucraini. Faccio un po’ fatica a rispondergli. Cerco di indorare a pillola. Gli dico che per tanti italiani una resa immediata sarebbe stata la scelta più giusta. Così non avremmo avuto il rincaro del riscaldamento…
Padre Michele mi dice che lui, alle ultime elezioni, aveva votato Poroshenko. Zelensky non gli piaceva. Però ora gli dà atto di avere fatto la scelta giusta. Se fosse fuggito negli Stati Uniti, come gli era stato offerto all’inizio della guerra, il popolo si sarebbe scoraggiato, e non ci sarebbe stata quella resistenza che ha impedito a Putin di prendere Kiev e, con essa, tutta l’Ucraina.
Perché quello era il progetto. Forse vale la pena ricordarlo a chi parla, con toni esaltati e un po’ deliranti, di vittoria di Putin, nel caso che si giunga, come tutti speriamo, alla firma di un trattato di pace nel 2025.
L’incontro con i volontari di Svit ta Ukrayina
Quando, arrivati alla stazione, incontriamo i tre amici provenienti da Kharkiv, siamo travolti dal loro entusiasmo. Vyacheslav Alexandrovic Pidgorny, un ragazzo giovane, è il presidente dell’associazione di volontari Svit ta Ukrayina. È accompagnato da suo padre, Alexander Ivanovic Pidgorny (Sasha), e da Arthur Kovalev. Hanno viaggiato tutta la notte, ma non si lamentano. Dopo una giornata passata con loro, sarà impossibile non volergli bene.
Mentre ci dirigiamo verso gli uffici della motorizzazione, per immatricolare l’ambulanza, Sasha ci racconta che di mestiere fa il cuoco, e che insieme a sua moglie e al figlio ha avviato una società di catering che, prima della guerra, lavorava tantissimo. Ora che Kharkiv è liberata, il lavoro è un po’ ripreso, ma a ritmi ancora blandi.
L’attività di recupero di persone fragili in pericolo, per la quale Sasha e gli altri useranno l’ambulanza che abbiamo portato dall’Italia, coprirà tutta l’area che da Kharkiv va fino al confine con la Russia, a nord, e fino alla linea del fronte, a est.
Dopo le pratiche alla motorizzazione, raggiungiamo il centro storico di Leopoli. C’è il sole, il clima è mite. La città è bella e la guerra è lontana. Al centro del grande viale alberato campeggia la statua di Taras Hryhorovyč Ševčenko. No, non è l’ex calciatore del Milan, mi spiega padre Michele. È un poeta, un padre della lingua e della patria, il nostro Dante.
Non posso fare a meno di notare che Sasha, Vyacheslav e Arthur, sono allegri, spensierati. Questo è un giorno speciale. Per noi, perché diamo concretezza a un ideale, quello di essere vicini al popolo ucraino. Per loro perché, almeno per un giorno, possono permettersi di alleggerire i cuori.
Pranziamo insieme in un self-service. Parliamo, con padre Michele che fa da interprete. Ridiamo, anche. Al gruppo si aggregano anche due giovani carabinieri di stanza presso la sede del consolato italiano a Leopoli. Sasha ci invita a Kharkiv. Venite a vedere com’è realmente, ci dice. E il suo viso si fa serio.
Abbiamo tempo per una passeggiata. Entriamo in un locale dove fanno dei caffè buonissimi. A Leopoli c’è il culto del caffè e – non me lo sarei mai aspettato – sono anche bravi a farlo.
A metà pomeriggio veniamo ricevuti dal vice sindaco di Leopoli, che plaude a questa bella iniziativa di solidarietà e di amicizia tra Italia e Ucraina. Poi la consegna delle chiavi dell’ambulanza. Un momento breve, semplice, ma molto toccante. I tre amici ripartono per Kharkiv, e il nostro cuore è là, con loro.
Prima di tornare in Italia…
Padre Michele ci riporta in seminario, a recuperare i bagagli. Tra qualche ora prenderemo un FlixBus che da Leopoli ci condurrà a Cracovia, dove poi saliremo su un volo per l’Italia. Prima però, una deviazione. Voglio farvi vedere una cosa, dice padre Michele. Solo così capirete davvero cosa stiamo vivendo. Carlo, Luca e io ci guardiamo incuriositi.
Sono solo le sei del pomeriggio, ma fuori è già notte. Raggiungiamo il cimitero monumentale di Leopoli Di fianco c’è il campo di Marte. Un grande prato dove una volta giocavano i bambini del quartiere. Ora è un cimitero di guerra. Padre Michele dice che ogni giorno, solo a Leopoli si celebrano 4 o 5 funerali di cittadini che tornano dal fronte dentro una bara. La scena è surreale. Un vento forte e gelido ci sferza il viso e muove centinaia di bandiere che, come corolle di fiore, adornano ogni tomba.
Le candele al cimitero, come una parata di stelle
Il vento sembra nascere lì, direttamente da quella terra smossa e ricomposta in tumuli disposti in lunghe file ordinate. Quasi volesse segnalarci la presenza di qualcosa di vitale, in quel campo così sovraccarico di morte. Migliaia di candele votive trasformano il prato in una parata di stelle. Ci avviciniamo, in silenzio. Tutto ciò che non è calpestabile, che non è viale o vialetto tra le tombe, è ricoperto di fiori, di immagini sacre, di corone del rosario, di messaggi di affetto.
C’è tanta gente in visita ai propri cari, anche se fa freddo ed è buio. Le fotografie restituiscono volti giovani e giovanissimi. Vediamo un ragazzo del 2002. Anche delle ragazze. Non tutti sono militari. C’è chi è andato al fronte per curare i feriti, dare una mano.
Siamo sconvolti. Pensiamo anche ai ragazzi russi che hanno seguito lo stesso destino. Ragazzi e ragazze giovani, come questi, che sorridono all’obiettivo della macchina fotografica inconsapevoli di quanto breve sarà la loro vita. Proviamo pietà per loro. Proviamo pietà per tutti.
Sentiamo un senso di impotenza e oppressione. E di ingiustizia. Costruiamo la pace. Una pace giusta, perché se no non dura. Cos’altro possiamo fare?
Tutte le immagini e i video sono dell’autore
Vuoi accedere all'archivio di VITA?
Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.