L'arte che cura
Storie di welfare culturale
Dalle visite ai musei, alle opere artistiche che alleviano le persone affette da Alzheimer e i loro familiari: il viaggio di VITA attraverso le esperienze più rilevanti in cui un ambiente culturale è utilizzato per il benessere di chi soffre una patologia
di Alessio Nisi
Un modello multidisciplinare che studia e valorizza il rapporto tra cultura e salute, con l’obiettivo di promuovere l’effetto positivo della cultura e dell’arte sul benessere individuale e collettivo in una prospettiva di equità sociale e sviluppo sostenibile. Si chiama welfare culturale ed è un modello a cui nel 2019 l’Organizzazione mondiale della Sanità – Oms aveva riconosciuto un valore complementare dei percorsi terapeutici tradizionali, di supporto alla relazione medico-paziente, alla relazione di cura, anche e soprattutto per i carer non professionali: un modello capace di mitigare e ritardare alcune condizioni degenerative, come demenze e morbo di Parkinson. Già però nel 2018 con la Nuova Agenda Europea della Cultura, la Commissione Europea aveva introdotto un principio fortemente innovativo, indicando come pilastri delle politiche delle prossime decadi i cosiddetti crossover culturali, ovvero la necessità di creare o rafforzare relazioni di sistema tra la cultura e altri ambiti, tra cui la salute, per affrontare le nuove sfide sociali.
Promozione della salute e benessere soggettivo
Inizia da questi due pilastri, il viaggio di VITA alla scoperta del welfare culturale e di quelle specifiche attività culturali, artistiche e creative italiane (con uno sguardo rivolto anche alle esperienze europee) che si pongono come fattore di promozione della salute, di benessere soggettivo e di soddisfazione per la vita (in forza dei loro aspetti relazionali, di potenziamento delle risorse e della capacità di apprendimento).
La cultura come cura, si legge dossier ufficiale di Bergamo-Brescia Capitale italiana della cultura 2023 (se n’è parlato a fine settembre in “Welfare è Cultura”, incontro promosso a Brescia dal Consiglio Regionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia-Croas, dal Consiglio dell’Ordine nazionale-Cnoas e dalla Fondazione Nazionale degli Assistenti Sociali) richiama certamente la costruzione di politiche e interventi che hanno a che fare con la disponibilità di servizi sanitari, ma più in generale riguarda il benessere delle persone, la vivibilità delle città, la costruzione di dispositivi che favoriscano processi di inclusione e accoglienza, la possibilità di essere e sentirsi parte di una collettività, i temi della cittadinanza attiva e della partecipazione, il “diritto alla città” e la messa a disposizione di luoghi, fuori e dentro lo spazio pubblico, che favoriscano occasioni di incontro, relazione e vita di comunità.
Un welfare differente, di comunità, trasformativo
Non si tratta, è emerso dal convegno, solo di introdurre l’arte come strumento di “terapia” ma di mettere a tema un’ottica di welfare differente, di comunità, trasformativo e non solo riparativo, in cui la cultura si fa strumento di cura della collettività e degli individui, facendo leva sulla loro capacità di uscire dalla propria condizione di fragilità, se adeguatamente sostenuti, stimolati e supportati.
Il ruolo degli assistenti sociali
Ma quale ruolo possono giocare gli assistenti sociali su questo terreno? Il racconto di buone pratiche e la riflessione di professionisti, emersi nello stesso appuntamento, ha fornito alla comunità degli assistenti sociali gli spunti per un cambiamento culturale e concettuale, per aprirsi con più convinzione a sperimentare progettualità e metodologie di lavoro comunitarie, immaginando interventi che mettano in campo leve strategiche diverse da quelle tradizionali.
Manca un progetto nazionale
In questo quadro, lo scenario italiano non presenta, a oggi, politiche nazionali dedicate al welfare culturale, ma realtà territoriali e reti locali sì. «Manca un sistema. Bisogna tenere presente che cultura e salute in Italia fanno riferimento a 20 “repubbliche” diverse», ha spiegato Annalisa Cicerchia, vicepresidente del Cultural Welfare Center, realtà, «nata per iniziativa di Catterina Seia», che «cerca di promuovere l’emersione di questo mondo e di formare il maggior numero possibile di operatori della sanità del sociale e della cultura per incontrarsi e dialogare, di far circolare idee, esperienze, opportunità di finanziamento e di diffondere gli strumenti più adatti».
Le esperienze più rilevanti
Dal Piemonte alla Toscana passando per il Lazio sono tante le esperienze che hanno avviato progetti di welfare culturale.
Uniti per crescere
A Torino la Fondazione uniti per crescere insieme usa il circo sociale come motore di benessere. «Le nostre non sono esibizioni, ma attività che aprono spazi di leggerezza e spesso fanno scoprire risorse residuali», hanno raccontato Sara Sibona e Giovanna Sfriso.
Circo sociale. Casa Circostanza, uno dei progetti della fondazione, nasce nel 2012 nel quartiere Barriera di Milano. È l’unico centro d’Italia interamente dedicato al circo sociale dove ogni giorno si realizzano percorsi socio-educativi rivolti a persone di tutte le età. Attraverso il circo promuove il benessere, l’inclusione e la partecipazione di persone in situazioni di fragilità. «Casa Circostanza», ha sottolineato Giovanna Sfriso, operatrice di circo sociale della Fondazione uniti per crescere insieme, «è il nostro centro aggregativo». È il luogo «in cui ospitiamo scuole, gruppi di ragazzi, persone con disabilità e adolescenti per i laboratori di circo sociale». Poi «andiamo sul territorio: nei giardini, nelle strade, nelle scuole, negli ospedali, nelle comunità per minori, nei centri diurni per disabili».
L’associazione Tedacà
Simone Schinocca è un assistente sociale teatrante. Nel 2005 ha lasciato il suo lavoro nel welfare pubblico e ha fondato Tedacà, una compagnia teatrale. «Abbiamo fatto lavori sulla migrazione, la povertà, la discriminazione di genere, i diritti, il carcere, la scuola». Una scelta che è diventata un elemento distintivo della compagnia ha raccontato Schinocca. «A Torino abbiamo anche aperto un teatro nel quartiere Parella, una zona periferica e siamo diventati un punto di riferimento nel territorio». Tra le ultime produzioni di Tedacà c’è Fine pena ora. «Si occupa di carcere e racconta dell’incontro tra un magistrato e un ergastolano».
Il Consiglio Regionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia-Croas, il Consiglio dell’Ordine nazionale-Cnoas e la Fondazione Nazionale degli Assistenti Sociali, che a fine settembre 2023 hanno organizzato a Brescia il convegno dedicato al welfare culturale, dal titolo “Welfare è cultura” (di cui scrivevamo poco sopra) hanno voluto che a chiudere la giornata ci fosse questo spettacolo: la prova provata che i due mondi, artistico e sociale, hanno davvero in comune e la possibilità di toccare con mano potenza dell’arte per entrare in empatia, per immedesimarsi in una storia che non è la tua. Dal punto di vista narrativo, lo spettacolo, di cui Simone ha curato l’adattamento, è una pièce teatrale: la storia eccezionale di un ergastolano e di un magistrato, «che dopo 28 anni di scrittura di lettere diventano uno il riferimento dell’altro».
Lo sciroppo di teatro
Se la cultura ha una valenza terapeutica, perché non fare in modo che i medici, e in particolar modo i pediatri, possano prescriverla? Su questa idea di alleanza e di collaborazione tra soggetti molto diversi tra loro (donne e uomini di teatro, istituzioni e pediatri), l’Ater fondazione (ente che ha per soci fondatori la Regione Emilia-Romagna e 38 comuni, di cui sei capoluogo di provincia) ha costruito un progetto di welfare culturale, definendone i contenuti, gli obiettivi, le relazioni con i partner e le modalità di realizzazione. Il progetto si chiama Sciroppo di Teatro.
A teatro con la ricetta
L’ideatore e anima del progetto è Silvano Antonelli, 68 anni, fondatore della compagnia Stilema, da 50 anni uno dei protagonisti del teatro per ragazzi in Italia. Sciroppo di teatro è partito con una sperimentazione nel 2021 ed è oggi alla sua terza edizione, con 11mila bambini coinvolti. Funziona in questo modo: i bambini e le bambine dai 3 agli 11 anni, assieme ai loro accompagnatori, possono andare a teatro con un voucher prescritto dai pediatri, per tre euro a spettacolo. Quest’anno è stata ampliata la rete dei pediatri che hanno aderito all’iniziativa: sono 253. L’anno scorso erano 167. Sono entrati nel progetto anche i centri per le famiglie. Ben 73 le rappresentazioni in programma fino ad aprile.
I Musei Toscani per l’Alzheimer
Il sistema dei Musei Toscani per l’Alzheimer si presenta come un’esperienza variegata (nella definizione di patrimonio museale rientrano circa 60 realtà, tra musei d’arte, spazi espositivi, musei di storia naturale, orti botanici, musei archeologici, etnografici e scientifici, biblioteche) che contribuisce a restituire la certezza di essere parte attiva della vita culturale e sociale della comunità. Il progetto è stato sviluppato con una premessa precisa: la demenza e l’Alzheimer sono condizioni che coinvolgono la persona e la sua famiglia, nelle quali l’ambiente fisico e relazionale sono determinanti per la possibilità di mantenere una buona qualità di vita. «La Regione Toscana ha emanato nel giugno 2019 un decreto in cui riconosce le proposte museali fra le prestazioni previste per la cura e il sostegno familiare nei confronti delle persone con demenza. Questo passaggio normativo – ma soprattutto politico e civico – è il riconoscimento che noi stiamo sperimentando in Toscana la prescrizione sociale. È una validazione normativa» ha spiegato a VITA Chiara Lachi, educatrice museale del sistema dei Musei Toscani per l’Alzheimer.
Il Paese Ritrovato a Monza
Tra le esperienze, a Monza c’è Il Paese Ritrovato, il primo villaggio in Italia per persone con demenza. Arte e cultura in questa cittadella gestita dalla cooperativa sociale La Meridiana sono parte di una nuova modalità di cura e vanno sottobraccio a medicina e tecnologia per cercare di contrastare il progressivo declino delle capacità e delle relazioni. Qui anche i colori delle stanze e degli edifici sono pensati in questa chiave, per rendere la bellezza una cura implicita. La Meridiana collabora inoltre con la Fondazione Luigi Rovati per il progetto “Stare Bene Insieme”.
L’obiettivo è ridefinire il concetto di accesso museale per le persone con demenza: il progetto propone infatti un percorso di visita museale pensato per le persone con demenza e i loro accompagnatori. In questo momento è in corso la fase di ricerca che durerà sino a marzo 2024.
In apertura Firenze, Palazzo Strozzi, foto di Simone Mastrelli
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