Welfare

Storie di ordinaria sopravvivenza. Abdul, venditore di giornali

Mio amico semaforo. Anche se il rosso è durato otto anni

di Barbara Fabiani

Nel dizionario dell’italiano metropolitano, alla voce “attimo fuggente” si legge: l’istante che intercorre tra lo scatto del semaforo verde e lo squillo del clacson dell’automobilista dietro di te. Se poi qualcuno ti sta pulendo il vetro o ti sta vendendo un giornale, allora è possibile avere anche un’anticipazione sull’esperienza delle “fanfare del giudizio”. Abdul è un uomo gentile, disponibile, con una gran voglia di comunicare con questo paese nel quale vive da undici anni. È nato in Marocco da una famiglia benestante, suo padre è ragioniere; come molti figli delle classe media di quel Paese anche lui decise di venire in Europa per mettere a frutto gli anni di studio. Aveva ventiquattro anni ed emigrare è stato un modo per dimostrare alla famiglia e a se stesso di essere un uomo adulto. Oggi che un uomo adulto lo è davvero, ha 36 anni, ammette che qui non ha trovato le opportunità che credeva. Da poco fa il cameriere, e non rinnega nessuno degli altri mestieri che ha fatto, anzi , vorrebbe raccontarli agli italiani, ignari di tante cose che li circondano, come quegli otto anni in cui ha venduto quotidiani ai semafori di Roma. Vita:Come si diventa venditore di giornali? Abdul: Ero in Italia già da un anno ma non trovavo lavoro, anche a causa della lingua che ancora non parlavo bene. Un mio amico mi ha presentato a un ragazzo iraniano sposato con un’italiana che aveva cominciato vendendo i giornali e poi è passato a reclutare gli altri. Prima del 1991 i venditori erano tutti afgani o iraniani, ma restavano poco perché la loro destinazione era il Canada e gli Stati Uniti; poi sono arrivati i marocchini come me, dopo gli etiopi e oggi ai semafori si trovano soprattutto immigrati dal Bangladesh. Vita: Come funziona la vendita dei giornali? Abdul: Ti svegli alle cinque. Alle 5,30 devi essere al magazzino a prendere i giornali e entro 6,30 devi raggiungere il semaforo. Era l’iraniano a scegliere i semafori giusti perché i nuovi arrivati non conoscevano la città. Ci sono delle regole: è vietatissimo vendere a meno di cento metri di distanza da un’edicola e non si può più stare dopo le dieci di mattina. Vita: Quali quotidiani vendeva? Abdul: Il primo è stato Il Corriere della sera, pagavano 400 lire a copia, ma non è molto letto a Roma, vendevo quindici, venti copie al giorno. Poi l’iraniano è passato a lavorare per La Repubblica e anche noi siamo stati contenti perché ci davano le pettorine, la borsa per tenere i giornali e il tesserino, così i vigili non ti mandano via. Il pulmino portava direttamente i giornali ai semafori. Allora bisogna essere lì prima altrimenti la gente si prende il giornale gratis e poi lo devi pagare tu. Nei primi mesi ho guadagnato molto bene: 40mila lire fisse al giorno più 251 lire a copia; e si vendeva anche bene: 200, 250 copie. Poi hanno abbassato il fisso a 12mila lire al giorno, lo stesso prezzo lo faceva Il Messaggero. Per i primi due anni è stato un buon lavoro, considerando anche che ti occupa tre ore, guadagnavi anche 350/400mila lire a settimana, perché il pagamento è settimanale con ritenuta d’acconto del 20%. Poi si è cominciato a vendere sempre di meno. Oggi si vendono solo venti o trenta copie al giorno. Per questo molti hanno cercato un altro lavoro. Sono rimasti sono gli stranieri del Bangladesh ai semafori. Vita: Perché sono rimasti loro? Abdul: Hanno meno esigenza di guadagnare anche perché vivono anche in tredici in una casa. Vita: E lei dove vive? Abdul: Divido con un mio amico un monolocale di 33 mq; paghiamo 900mila lire al mese, bollette comprese. Vita: Si lavora anche la domenica? Abdul: Sì, ma la domenica cambiano anche i posti di vendita. Per esempio, davanti agli ospedali o davanti alle pasticcerie famose dove la gente va a prendere le “pastarelle”, i dolci. Alcuni andavano a vendere il Corriere delle Sport allo stadio. Vita: E d’estate? Abdul: Quando chiudono le scuole si vende la metà perché molti prendono la macchina per accompagnare i figli a scuola, e d’estate cambiano strada. La domenica si va a vendere agli incroci delle strade che portano al mare. Vita: Cosa ha provato il primo giorno che ha lavorato ai semafori? Abdul: Mi vergognavo, per mesi ho dato il giornale con la faccia china. Pensavo a che cosa avrebbe detto mio padre vedendomi lì. In Marocco non potrei neanche fare il cameriere, tutti direbbero «ma che è successo alla famiglia del ragioniere?». C’è una certa mentalità nella quale ora non mi riconosco più. Ma all’inizio è stato difficile, poi ho vinto la vergogna ed è diventato un mestiere che facevo volentieri. Vita: Ci racconti qualche “trucco”. Abdul: Un sorriso e due parole con i clienti aiutano a vendere, ma niente chiacchiere tra le 7,30 e le 8,30. È la mia regola personale. Tutta la giornata è concentrata in quell’ora, se non sei veloce perdi molti soldi. La velocità è la prima cosa, e anche l’organizzazione. Io avevo dei clienti fissi : infili il giornale nel finestrino e corri via, guadagni tempo, e poi mi pagavano al venerdì. Il venerdì è il giorno in cui si vende meglio. Vita: Quali sono i giorni peggiori? Abdul: Quando piove perché devi tenere all’asciutto i giornali e si perde più tempo anche a cercare il resto nelle tasche. La velocità è importante. Vita: Quante copie si vendono a ogni scatto di semaforo. Abdul: Io avevo un orologio con il cronometro e misuravo sempre i tempi. Diciamo che uno scatto di semaforo dura 45 secondi e in quel tempo in potevo vendere 3 o 4 copie, di più se c’erano dei clienti fissi e se non c’era da cambiare i soldi. Quando cambi i soldi c’è sempre qualcuno che si mette a suonare il clacson. Vita: Mai avuto problemi con gli italiani? Abdul: All’inizio qualcuno mi ha dato delle diecimila lire o delle cinquantamila lire false, dei soldi fotocopiati che io non sapevo ancora distinguere dai soldi italiani veri. In un anno ho collezionato mezzo milione di soldi finti. Poi non ho cambiato più banconote superiori alle cinquemila lire. Vita: Scortesie o aggressività da parte degli automobilisti? Abdul: Che vuole, qualcuno mentre gli dai il giornale neanche ti guarda in faccia e c’è anche chi ti fa cenno di avvicinarti e poi quando gli porgi la copia dice che ti sei sbagliato, che stava cercando le sigarette sul cruscotto. Cose così, ma sono pochi e io non ci faccio caso. Io dico sempre : tutto il mondo è paese, ci sono i buoni e ci sono i meno buoni. Vita: Qual è stata la più bella mattina che si ricorda passata al semaforo? Abdul: Quella del mio record di vendite. Era una giornata bellissima, piena di sole ma fresca. Avevo telefonato ai miei familiari perché sentivo nostalgia. Stavano tutti bene. Sono andato al lavoro già contento e poi ho venduto 304 copie. Vita: Cosa le hanno lasciato questi anni di lavoro ai semafori e che cosa desidera per il suo futuro? Abdul: Mi hanno insegnato che il lavoro non è mai umiliate anche se è un lavoro umile. Le dicevo che in Marocco questi lavori sono disprezzati, tutti vogliono fare il medico o il funzionario statale. Ma adesso io non mi vergogno a dire che faccio il cameriere. Non è che sottovaluto i problemi. In Italia lavorare è molto difficile. Nessuno ti offre il lavoro per il quale hai la qualifica: perché sei straniero, nessuno ti affitta la casa, e ti fanno lavorare solo in nero così che per fare la dichiarazione dei redditi mi devo pagare personalmente i contributi altrimenti non mi rinnovano il permesso di soggiorno. Quasi 9 milioni ho pagato l’anno scorso all’Inps. A Ravenna, due anni fa, ho fatto un corso per panificatore pasticciere e vorrei lavorare in quel settore. Di questi anni ai semafori conservo anche molti amici che prima era miei clienti fissi. È vero che rispetto a quando sono arrivato gli italiani sono diventati più nervosi e meno disponibili con noi stranieri. Però quando ti conoscono, quando sanno che sei laureato in economia e commercio, cambiano atteggiamento, anche se non proprio tutti. Ma io dico sempre: tutto il mondo è paese.


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