Una tromba d’oro ha risuonato nel carcere di Lucca questa mattina dopo 52 anni. Ad ascoltarla una quarantina di studenti che hanno varcato le alte mura del penitenziario, trovandosi davanti a decine di carcerati. Insieme a loro, in silenzio, hanno seguito l’audio documentario “La tromba d’oro” del giornalista olandese Angelo van Schaik.Van Schaik ha raccolto e raccontato una storia che non andava perduta.
Inizia nel 1960, in un caldissimo agosto. A Lucca, in un bagno pubblico, c’è un uomo che si muove come un fantasma. Si sta iniettando eroina. La sua prolungata sosta nel gabinetto getta sospetto. Viene sorpreso dalla forza pubblica davanti ad un lavandino sporco di sangue. Nessuno ricorda la sua espressione di quel giorno, ma gli amici sapevano che sarebbe finita così per la sua dipendenza dalla droga.
L’uomo dentro al bagno è Chet Baker, trombettista americano, uno dei più grandi jazzisti di tutti i tempi che in quel periodo gravita in Toscana. Qualche giorno dopo i flash delle macchine fotografiche regalano ai posteri le immagini di un imputato alla sbarra: è il processo a Chet. Oggi lo chiameremmo clandestino, drogato, extracomunitario o semplicemente delinquente. Disadattato, marginale. Fate voi. Gli verrebbe dato un foglio di via, o andrebbe recluso in qualche CIE.
Il processo si svolge davanti ad uno sparuto pubblico di amici, in una città borghese e distratta che fatica a digerire queste cose.
La legge è severa e Chet Baker viene portato in carcere: occorre una punizione esemplare, sono i primi casi di droga. Poi la musica, si sa, è veicolo di deviazioni.
Dovrà scontare un anno, dieci mesi e sette giorni di reclusione. E’ il 22 agosto 1960.
Viene accompagnato in carcere, ma la sua tromba non può entrare. Non si suona in un posto così grigio. Ma dividere Chet dalla sua tromba è un crimine. Nel giro dei musicisti e appassionati di musica amici di Chet c’è il figlio del direttore del carcere. Convince il padre a lasciare al neo-recluso la libertà di suonare e studiare. Perché la musica non doveva privarsi di un grande talento che veniva privato della libertà.
La tromba di Chet può entrare con lui. Ecco che la suona, da carcerato, nei momenti d’aria ai piedi delle antiche mura che racchiudono il carcere. O nei locali dell’istituto allora non così affollati come oggi, che hanno mantenuto nei decenni la memoria del grande musicista.
In quei due anni la gente si ferma volentieri, passeggiando sulle mura, a sentire la sua musica. Gratuitamente, dettaglio non trascurabile quando si parla di Lucca e dei lucchesi. Dopo l’uscita dalla galera Chet incide un disco. “Chet is back“, uno dei suoi migliori. Figlio del carcere e di uno strappo alla regola.
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