Giovani e violenza

Storia di Sara, che a 18 anni è stata accolta a Casa Antigone, il rifugio per donne maltrattate

Sara è la più piccola delle ospiti accolte a Casa Rifugio Antigone, che a Milano accoglie gratuitamente le ragazze e le donne che fuggono da situazioni di violenza domestica e sfruttamento sessuale e che hanno bisogno di protezione immediata. «Con noi sei al sicuro», le ripete la coordinatrice. «Qui offriamo un letto, un pasto, abiti puliti; supporto psicologico e consulenza legale». Soprattutto rispetto. «E la voglia di tornare a credere in un futuro»

di Sabina Pignataro

Sara ha da poco compiuto i 18 anni quando bussa alle porte di Casa Rifugio Antigone, ma sembra che di vite ne abbia vissute almeno il doppio.

«Non potevo vedere i suoi occhi perché li teneva bassi sulle mani che si stringeva, incrociando le dita e sfregandosi il palmo arrosato», racconta Martina Ziglioli, la responsabile della casa rifugio gestita da Fondazione Somaschi Onlus.

La ragazza era arrivata in questo luogo dove vengono accolte gratuitamente le donne che fuggono da situazioni di violenza domestica e sfruttamento sessuale e che hanno bisogno di protezione immediata, dopo aver chiamato il 1522, il numero verde per il sostegno alle vittime di violenza e stalking. Dove sia questo posto non si può dire: l’indirizzo di Casa Antigone deve rimanere segreto per tutelare le ospiti.

Dice «prima non pensavo che esistessero delle cose brutte, le sentivo alla televisione ma non pensavo potessero capitare a me. Non posso crede di essere qui». Sara non è il suo vero nome. Lo abbiamo modificato per non renderla riconoscibile.

Prima non pensavo che esistessero delle cose brutte, le sentivo alla televisione ma non pensavo potessero capitare a me. Non posso crede di essere qui

Sara, 18 anni. Accolta a Casa Rifugio Antigone

«Ad un certo punto ho avuto paura di tutto, ho avuto paura di una porta che sbatteva, di camminare da sola per strada, di conoscere nuove persone. Ho cominciato a pensare che quelle ombre mi seguissero e che quando meno me lo sarei aspettata mi avrebbero avvolta a strozzata. La dottoressa mi ha detto che erano “normali attacchi di panico” che molti giovani ragazzi e ragazze le avevano.  Io mi sentivo morire, mi sentivo come se qualcuno avesse preso il mio cuore e lo avesse strizzato tanto che non potevo più respirare».

Ziglioli ricorda così quel primo incontro: «Ascoltarla è come vedere scorrere un fiume in piena, cadono gli argini e spezza ciò che incontra nella sua strada, un flusso continuo di pensieri e parole che si accavallano. Non scende una lacrima, piangere non è facile, vuol dire lasciare andare, ma non puoi lasciare andare se prima non digerisci. “Fermiamoci qui”, le dico, “non è necessario dirci tutto subito, prendiamoci del tempo per riposarci, respirare”».

 Ci sono delle ombre enormi che le oscurano la vista ma che a volte diventano così nitide da accecarla.

Insieme a lei, in questa struttura di Fondazione Somaschi, sono ospitate altre quindici ragazze e donne. Hanno deciso di sottrarsi alle violenze compiute in famiglia, dal padre, dal marito o dal convivente. Spesso sono poco più che maggiorenni. Una buona parte proviene da Milano, altre da fuori città. «Qui offriamo loro un letto, un pasto, abiti puliti; garantiamo supporto psicologico e consulenza legale; con il tempo anche un aiuto nella ricerca del lavoro e della casa».

«Qui sei al sicuro», ripete la coordinatrice alla giovane ragazza. E lei racconta di quanto le piacesse andare a scuola e studiare, il suo sogno era fare la cuoca in un ristorante, la pasticciera sarebbe stato meglio, ma non si sente così precisa e forse meglio evitare di fare “danni”, lo dice ridendo.  Poi diventa seria perché non tutti quegli anni sono stati felici

«Adesso Sara piange, capita sempre così, quando ti fermi da una corsa impazzita e senti di avere una porta che puoi chiudere, senti di poter lasciare tutto quel rumore all’esterno, allora cadi, ti abbandoni», racconta ancora Ziglioli. La prima notte dorme più di 10 ore di fila, è più il corpo a richiederlo, la mente vorrebbe rimanere sveglia, ancora non si fida di abbandonarsi completamente.

Adesso Sara piange, capita sempre così, quando ti fermi da una corsa impazzita e senti di avere una porta che puoi chiudere, senti di poter lasciare tutto quel rumore all’esterno, allora cadi, ti abbandoni

Martina Ziglioli, responsabile di Casa Rifugio Antigone

«Ripartiamo dalle necessità primarie, recuperare il sonno, il cibo, gli orari regolari è fondamentale per muoversi, per riprendere le energie necessarie ad andare avanti». Le operatrici lavorano tutto il giorno nelle case rifugio, perché allontanarsi da una situazione di violenza non è solo una scelta fisica ma è un percorso mentale a più riprese.

E’ il terzo giorno quando Sara bussa alla porta e dice “Io non so se posso andare avanti, cosa sto facendo qui?”. 

«Comprendere di avere diritto a un futuro, a una vita senza violenza non è facile. Rendersi conto di meritarsi di essere felice non è il punto di partenza, molte volte è quello di arrivo», chiarisce la coordinatrice.

«Facciamo un passo alla volta, un giorno alla volta, glielo ripetiamo spesso e la ascoltiamo per ore lasciando che i pensieri fluiscano e cercando di accompagnarla a dare loro un ordine e un senso.

E’ giovedì e Sara viene svegliata presto. perché l’ insegnante di teatro è arrivata e propone ogni settimana un laboratorio di drammaterapia. La ragazza non è molto convinta di partecipare ma ci prova. Il venerdì poi partecipa al corso di arte e scopre che la fa stare bene usare quei colori, che quel foglio bianco da riempire è così liberatorio.

Passano le prime settimane e Sara tra alti e bassi comincia ogni tanto a sorridere, soprattutto il giorno in cui faceva talmente caldo in casa rifugio che le operatrici hanno preso le macchine e con la musica a tutto volume sono andate tutte assieme in piscina.

«Sara  prende il sole, chiacchiera e mangia un gelato e per un attimo si sente come tutte le altre ragazze che vede lì attorno, per un momento comincia a pensare che forse può essere una di loro» Quando torna dalla piscina è stanca ma felice, accaldata e vuole fare una doccia e andare a dormire. Ha appena varcato la porta della casa quando l’operatrice la chiama in ufficio, “mi spiace dovertelo dire ora, ma hanno appena chiamato i carabinieri, domani vogliono parlarti, vogliono farti altre domande rispetto a quello che è successo”.

Gli occhi si abbassano e della giornata di sole rimane solo un po’ di rosso sulle guance. «Il solo pensiero di tornare davanti a degli estranei e raccontare tutto la distrugge, sembra far crollare ogni piccolo tentativo di non pensarci e andare avanti. I giorni passano e iniziano anche i primi incontri con la psicologa, molte volte sono faticosi, non ha abbastanza energie per sostenerli».

Il solo pensiero di tornare davanti a degli estranei e raccontare tutto la distrugge, sembra far crollare ogni piccolo tentativo di non pensarci e andare avanti. I giorni passano e iniziano anche i primi incontri con la psicologa, molte volte sono faticosi, non ha abbastanza energie per sostenerli

Martina Ziglioli, responsabile di Casa Rifugio Antigone

Una mattina di fine estate, Ziglioli arriva in Casa Rifugio presto, Sara esce dalla sua stanza sorridendo e le dice di volerle parlare. Ha deciso di tornare a scuola, vuole finire l’ultimo anno e prendere il diploma. «È importante averlo, non posso buttare via tutti e 4 gli anni» sottolinea.

«Non posso non essere contenta di sentire questa decisione, ma la preoccupazione è altrettanta e gliene parlo. Le case rifugio sono luoghi temporanei, sono pensate per “donne adulte” e quindi con l’obiettivo nel più breve tempo possibile, di rendersi autonome economicamente. Non è facile, non è facile per nessuno, non lo è per chi deve ripartire da zero, per chi può contare solo sulle sue forze. I progetti di sostegno ci sono, ma non sono mai abbastanza per quelle che sono le necessità delle centinaia di donne che vedo ogni anno, accolte presso le nostre case. E molte altre ancora.

“Sono disposta a studiare e lavorare, ci voglio provare”, ripete Sara.

«E finalmente dopo mesi la vedo, quell’energia di quando hai 18 anni e pensi che il mondo, se vuoi, te lo puoi mangiare e la vita è ancora li tutta davanti. Comunque sia finita questa storia, un obiettivo è stato raggiunto: tornare a credere in un futuro», conclude la responsabile.

Per chiedere aiuto

Dal 1999  ad oggi sono più di 1300 le donne accolte  a Casa Antigone.
Chi avesse bisogno più contattare il numero 3331529132 o scrivere a accoglienzadonne@fondazionesomaschi.it

Fondazione Somaschi Onlus ha strutturato un sistema di filiera di accoglienza articolato e strutturato che ha lo scopo di garantire case rifugio per donne e donne con figli e offrire un supporto proattivo nel percorso di fuoriuscita dalla violenza.
Tale sistema accompagna la donna e i suoi bambini in tutto il percorso, dalla fase di accoglienza in emergenza fino ad appartamenti di semi o totale autonomia.

La foto di apertura è di Fondazione Somaschi


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