Famiglia
Sto nellArci. Mi salvò Cl
Maurizio Maggiani, scrittore, uomo di sinistra, nato da una famiglia contadina, militante di quelli che non ci sono più, racconta ventanni di una vita daltri tempi.
Per cinque anni ha lavorato a un romanzo ambientato negli anni 90, anni di guerra, ma un?ora dopo l?attacco alle Torri Gemelle ha preso le duecento pagine scritte fino a quel momento e le ha buttate: «Perché non avevo la forza di continuare a scrivere una storia di guerra mentre ci sono altre guerre in atto, e allora ho scritto una storia d?amore. Una risposta banale, primitiva, la mia risposta». Maggiani è uno di quegli ormai rari esempi di ?intellettuali impegnati?, coinvolti nei problemi della società in cui vivono, e che non si vergogna di intervenire in pubblico a parlare di temi sociali, attività che altri suoi colleghi gli rinfacciano. D?altronde non poteva che essere così per chi è cresciuto nell?associazionismo. Vent?anni di partecipazione all?Arci, di cui dieci come dirigente. Vent?anni vissuti a sinistra, con entusiasmo, passione e senza rancori.
La prima domanda è d?obbligo. Ha ragione Moretti o no?
Diciamo subito che io sono uno che sul giornale della sua città, il Secolo XIX, ha iniziato più di un editoriale contro queste zucche dure delle dirigenza di sinistra con la frase «Sparite!». E lo faccio perché il mio compito di intellettuale è quello di dire ciò che penso. Moretti è salito da una folla di gente di sinistra stanca, demoralizzata, a dire al posto loro «zucche dure che non siete altro». D?altronde, perché mai dovrebbero lavorare tanto i poveri operai per mantenere la classe degli intellettuali se non perché questi devono produrre idee, proposte e forza creatrice? E poi Rutelli dica pure quella frase madida di saggezza: «Moretti è un bravo intellettuale ma non è un bravo politico». Sì, è vero, ma gli intellettuali in Italia devono finalmente imparare a fare politica, oltre al loro compito di tirare fuori idee.
Non sembra un?ipotesi inverosimile, legata a un modello tramontato?
Macché! Berlusconi ha molti intellettuali che lavorano per lui, che diffondono idee confacenti al suo progetto. Il fatto è che gli intellettuali di sinistra devono imparare a collocarsi nella società, rinunciando a quel loro senso di superiorità e distacco. Devono non solo dire quello che pensano, ma andare nelle riunioni di quartiere a discutere sulle barriere architettoniche. Il tipo di cose che io stesso non faccio, ma che uno come Stephen King, che è miliardario, anglosassone e protestante, fa normalmente.
La sinistra deve cambiare. È il ritornello del dopo 13 maggio. Anche l?associazionismo ha qualcosa da rimproverarsi?
Ma perché? Io sono una persona che crede nel valore e nel principio del ricambio, e infatti dopo dieci anni di dirigenza ho lasciato il posto a uno che ha vent?anni meno di me. Ma non credo che bisogna stravolgere questa associazione che è un?associazione davvero speciale: riesce a tenere insieme anziani e giovani. L?Arci non ha avuto l?illusione dei partiti di essere buona per tutte le battaglie. Rassegnarsi a se stessi in senso positivo e fecondo significa capire quali sono i limiti della propria esistenza e della propria ragione di essere. C?è una base che ti chiede delle cose che sono estremamente legate alla tradizione.
Che cosa vuol dire con questo?
Ricordiamoci della storia di questa associazione, nata da uomini e donne di sinistra che nel dopoguerra volevano un luogo dove aggregarsi, parlare del futuro che volevano costruire e soprattutto passare il tempo libero. E per questo, i circoli sono stati costruiti da questa gente, letteralmente con le loro mani, passando le domeniche a tirare su muri e imbiancare pareti. Perché rinunciare a questa eredità? Al circolo Arci la gente va per ricrearsi. Che cosa c?è di più importante della parola ?ri-crearsi?? In molte periferie cittadine, nei piccoli centri, dove magari ha chiuso anche la farmacia, però è rimasto aperto il circolo di bocce dell?Arci. Sono dei veri e propri ?presìdi sociali? e di questo non dobbiamo mai dimenticarci anche quando si fanno progetti per il futuro.
La sinistra riesce ancora ad aggregare intorno ai ?grandi principi? od oggi questa ?spinta ideale? trova sfogo solo nei meeting del mondo cattolico?
Lo sa, lei sta parlando a un anarchico salvato da Comunione e liberazione. Mi ricordo che quando avevo 12 anni, la mia famiglia si trasferì in città. Mio padre era un contadino e io ho subito un?urbanizzazione dolorosissima. Ricordo la mia prima giovinezza come un periodo orribile, un?esperienza tragica. Mi salvò Comunione e liberazione, che allora si chiamava Gioventù studentesca. Li frequentai per un paio d?anni. Essere riconosciuto come individuo e amato per la mia individualità, apprezzato per quello che potevo dare e ascoltato per quello che potevo sognare, mi ha salvato la vita. Poi a sedici anni ne uscii e sono andato a tirare molotov, ma questo non cambia ciò che ha significato per me quell?esperienza.
Questo non è mai cessato nelle strutture di base cattolica, cioè la cooptazione delle coscienze di ciascuno, l?amorevolezza delle relazioni individuali, cose che nelle organizzazioni laiche oggi non emergono. La sinistra è cominciata con frasi come «Futura umanità», parlando di un progetto universale in cui ognuno era parte, una vera ?fratellanza?. Ma sono almeno dieci anni che non sento più un uomo della sinistra storica che abbia il coraggio di parlare in termini di ideali universali. L?ultimo è stato Enrico Berlinguer. Temo che oggi la sinistra istituzionale abbia semplicemente rinunciato ad avere un ruolo di cooptazione etica e di amorevolezza per le coscienze che aveva sempre avuto per cent?anni.
E perché si è tirata indietro?
Per l?incapacità del partito comunista di mettere insieme la legittima lotta per il potere con la doverosa lotta per la vita. Si è pensato che per la conquista legittima del potere, che è la struttura, la sovrastruttura (cioè i valori, le emozioni, i sogni) potesse essere lasciata da parte.
E lei come ha vissuto questo fallimento?
Io sono di una generazione che ha fallito in parte il proprio progetto e non solo perché non è riuscita a realizzarlo ma anche perché non ha preparato la generazione successiva a farlo. Penso che il compito di ogni generazione sia quello di dare strumenti alla successiva. Credo che sia un compito onorevole. Ma non lo abbiamo svolto. Cosa ha fatto la generazione di spagnoli sotto il franchismo? Si lamentava, sì. Ma poi ha smesso di lamentarsi e ha lavorato vent?anni in silenzio per preparare quella generazione che, quando tutto è saltato in aria, il giorno dopo era già pronta con le idee e gli strumenti per rivoltare la Spagna, e infatti l?ha rivoltata. Oggi la Spagna si permette di avere un governo di destra infinitamente più autorevole del governo di sinistra che ha avuto fino a ieri. Però, credo che i giovani tra una decina d?anni ci stupiranno tutti e non saranno più né l?Arci né i ?papa boys? di oggi, ma avranno inventato nuovi modi e nuovi strumenti.
Cosa glielo fa pensare?
Il fatto che questi nuovi movimenti siano così difficili da capire usando i vecchi parametri di appartenenza. Sono un movimento a forma di onda che compare e scompare quando lo decide lui. Sociologi e psicologi non facevano che ripetere quanto fossero egoisti e apatici questi ragazzi, e poi sono spuntati all?improvviso, in massa, a Genova come ad Assisi. Sono un movimento plastico, somiglia a una coltura batterica. Inventano modi che noi oggi non riusciamo a immaginare. Sono veri protagonisti perché nulla gli può fregare di meno che una identità selettiva di se stessi. Non vogliono specificarsi rispetto alla storia, si riconoscono aggregandosi e poi si spalmano sulla realtà. È da loro che tra dieci, vent?anni verranno i nuovi veri intellettuali che cambieranno la realtà. Noi che siamo rimasti siamo vecchi, e oggi abbiamo fretta di fare quello che non possiamo più fare.
Maurizio Maggiani è nato a Castelnuovo Magra nel 1951, da una famiglia semplice: lui si vanta di essere stato il primo e l’unico in famiglia a diplomarsi in terza media. Ha fatto mille mestieri: il giornalista di viaggi, di cucina, ha insegnato come maestro in carcere e per non vedenti, il venditore e il funzionario pubblico…
La sua prima tessera Arci è del 1968. La carriera letteraria inizia con una lunga lettera scritta ad una ragazza di cui era innamorato.
Da allora i libri sono diventati cinque: Maurì, Maurì (1989), Vi ho già tutti sognati una volta (1990), Felice alla guerra (1991), Il coraggio del pettirosso (Premio Viareggio e Campiello, Feltrinelli, 1995), La Regina disadorna (Feltrinelli, 1998).
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