Cultura

Stiamoli a vedere

Come sarà la nuova trasmissione del Molleggiato? Quale sorprese riserverà?

di Giuseppe Frangi

Dicono che a 67 anni le sue ginocchia siano ancora come una molla, che si sciolgano d?incanto alla prima nota di un rock and roll o di un tip tap. Dicono (parole di Roberto Benigni) che il suo corpo sia ancora «una cosa circense, come vedere uno sul trapezio». Quella del trapezio è davvero un?immagine azzeccata, perché ci stai sopra senza troppi patemi, se ci sai stare; ma chi ti guarda resta senza fiato. La tv di Celentano è un po? come un trapezio: lui ci sta da padreterno. Chi lo guarda invece deve mettere nel conto di passare qualche ora (quante? Giustamente, per l?esattezza, non si sa) sulle spine. Celentano torna: su RaiUno, alle ore 20,45 di giovedì 20 ottobre. Mancava dalla tv da quattro anni, dalle quattro puntate di 125 milioni di caz?ate. Lo vedremo spuntar fuori da un palcoscenico immenso, di una cupezza ispirata da Blade Runner, dove tutte le civiltà si mescolano in una babele di architetture. Per muoversi lì dentro dovrà prendere per forza l?aria del guerriero, anche se del tutto pacifico, armato solo delle proprie convinzioni. La corazza potrebbe essere un impermeabile, proprio come quello che gli ha immaginato addosso il mago dei videoclip, quel Gaetano Morbioli regista dei magnifici e immaginifici promo. Spunterà come l?ultima lettera, la più importante ovviamente, del titolo che lui stesso ha escogitato per la trasmissione. È un titolo che ha dentro il ritmo delle sue canzoni più scatenate, con quel proliferare di ?k?, lettere di un alfabeto anarchico e danzante. Si chiamerà Rockpolitik e non ci vuole davvero molto a intuire dove Celentano voglia andare a parare: la politica è stanca, è prona al potere, e senza una scossa ci porterà alla catastrofe. Ecco allora che ci vuole lo scatto bruciante di una nota. E le ginocchia che come una molla le vadano dietro. Celentano non è un dialettico e quelle ?k? messe in campo confermano che non ha intenzione di scendere a patti: il tempo dei bizantinismi è scaduto, e la politica ci sta sfilando la vita dalle dita. Rockpolitik arriva duro come un ?no?, che non ammette un ?ma? e neppure un ?se?. Il suo amico Benigni si è affidato alla poesia per scappar via dalle catene di questo potere appiattente, umiliante, omologante. Lui si affida invece alle note schizzate e imprevedibili della libertà. Non ammette intrusioni, così ha creato una terra sua, un regno dove lui è re. Un?isola nel cuore del palcoscenico, dalla quale lui guarderà dritto nelle telecamere. Un?isola che è il regno libero di Celentanoland: forse è proprio una metafora di quel trapezio su cui lo immagina da sempre Benigni, nelle sue fantasie di eterno bambino. È l?isola antidoto dove chi arriva si libera dall?incantesimo omologante di cui è fatta oggi quasi tutta la tv. Celentano lo sa. E lo dice. E così si trasforma in un incubo per molti, come ha sottolineato, scoprendo un?inedita simpatia per l?ex qualunquista molleggiato, anche l?Unità. E sono incubi per tutti, come hanno compreso gli avvelenatissimi gazzettieri di Libero. Naturalmente Celentano sa che la sua guerra non può rinunciare a un?arma: quella dei numeri. Senza pubblico, senza grande pubblico, senza audience, senza la sensazione di aver tutti davanti ad ascoltare, il gioco non funziona. E la sfida s?affloscia. Così per evocare, per chiamare l?evento, ha riempito le gradinate quasi da stadio dell?immenso capannone di Brugherio. Il rischio è il catastrofismo? Il rischio è di rattristare il pubblico? Allora aspettiamoci che Celentano giochi con le punte aguzze di quelle ?k?, e che ci rida sopra. Che lasci scivolare sulla scena il suono rotondo e dolce della sua ?C?. Ci sono i comici (Antonio Cornacchione – quello del ?povero Silvio? – e Maurizio Crozza), c?è la bellezza un po? impertinente e così bisognosa di essere presa per mano di Luisa Ranieri. Guidato dalla mano sapiente e invisibile di Vincenzo Cerami (che caso: lo stesso angelo custode di Benigni, coautore del suo film in uscita questa settimana, La Tigre e la neve), Celentano sguscia fuori dalle trincee della tristezza. Se Benigni ha girato il film per «vedere Eco che piange», Celentano starà sul palco per vedere tutti gli altri che ridono. Questa onda trascinante è anche quella del leit motiv della trasmissione, una canzone che è nata per essere cantata da tutti, come fu per Azzurro. Ha lo stesso autore e la stessa voce, Paolo Conte e la sua, di Adriano. È la confessione di un uomo che fa l?Indiano (è il titolo della canzone), che non s?arrende davanti al potere, che pretende di parlare e di inventare. Un uomo «affascinato dal mistero fragile e solenne». «Ma è così che parlo io», dice. Se le cose stanno così, parla sin che vuoi, anzi monologa, carissimo, liberissimo Celentano.


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