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Stefano Zamagni: «Ratzinger, un coraggio da leone»
È stato tra i pensatori più vicini a Benedetto XVI. Racconta di averlo visto molto in difficoltà negli ultimi incontri. «Ma per prendere una decisione così ci voleva davvero una grande forza»
«L’ultima volta che l’ho visto mi aveva impressionato: faceva davvero molta fatica a parlare. Conoscendolo si capiva che sarebbe arrivato ad una decisione del genere. Ci ha sorpreso solo per i tempi rapidi». Stefano Zamagni in questi anni ha avuto modo di frequentare papa Ratzinger, chiamato spesso per consigli e per mettere a fuoco i contenuti dei documenti di rilevanza sociale ed economica.
Quindi la decisone non l’ha sorpresa…
«Me l’aspettavo. Negli ultimi giorni due udienze erano state annullate… Certo che un conto sono le ipotesi e un altro conto è avere la forza di prendere una decisione simile. Benedetto XVI in questo ha dimostrato un coraggio da leone».
Viene subito da fare un paragone con Giovanni Paolo II. Lei che ne pensa?
«Sono due papi profondamente diversi. Giovanni Paolo II era una grande pastore e non era nel suo temperamento una scelta di questo tipo. Benedetto XVI ha dalla sua una tale cultura teologica da sapere che con la sua scelta non infrangeva nessua regola della tradizione. Nell’annuncio lo ha fatto capire: non si sentiva in grado di servire il principio petrino e quindi il rischio era di dover delegare. Ma come i cattolici sanno lo Spirito santo vigila sul Papa non sui delegati. Per questo con lucidità è arrivato a questa scelta, sapendo di fare il bene della Chiesa».
È una scelta che ha preso in contropiede il mondo. Aiuterà a cambiare l’immagine della Chiesa?
«Ne sono sicuro. Bendetto XVI dimostra che la chiesa non è il Moloch di conservatorismo come troppo spesso viene dipinta, ma è capace di leggere lo spirito del tempo. La chiesa è portatrice di una fede incarnata e non “incartata”. E quindi capisce l’appello dell’Ecclesiaste quando dice che “c’è il tempo per ogni cosa”».
Benedetto XVI ha pagato anche la fatica per aver affrontato un momento di crisi terribile dell’organizzaizone della Chiesa?
«Certamente. Ed è forse proprio davanti a questa sfida che ha avvertito come insormontabile il problema dell’età e della mancanza di forze. Oggi la Chiesa deve affrontare una rivoluzione organizzativa, sia nella gestione del potere sia nella capacità di intercettare le “res novae”, che ora subiscono il filtro anacronistico della struttura. A chi verrà tocca il compito, o meglio la croce, di affrontare questa sfida».
Che idea si è fatto per la successione?
«Posso solo farmi l’augurio che il prossimo Papa prosegua l’innovazione sul piano della riflessione socio-politica- economica iniziata da Benedetto XVI. Dobbiamo ricordare sempre che la Caritas in veritate è, a parere condiviso, la più importante riflessione sulla crisi che il mondo sta vivendo. È la prima enciclica dell’era post industriale, così come la Centesimus annus di papa Wojtyla era stata l’ultima dell’era industriale. Benedetto XVI non ha cercato sconti, ma si è posto il tema di come calare i principi della dottrina sociale della chiesa nella realtà di un mondo profondamente cambiato. In questo è stato un papa straordinariamente moderno».
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