Cultura

Stefano Zamagni e le sfide del Volontariato

Verbale dell’incontro tra il Comitato editoriale di Vita e il professor Zamagni dello scorso 22 maggio 2002

di Redazione

Bonacina: Con Zamagni volevamo capìre, nell’ottica di una prospettiva più profonda di quella che impongono le questioni immediate, quali sono le sfide del non profit in una situazione che sia come contesto esterno (in grande cambiamento, dalle fondazioni, alla 266 alla legge impresa sociale), che come crescita interna (tumultuosa, problemi di rappresentanza e di coordinamento, qualità nei servizi, ecc) pone parecchi problemi.. Zamagni: ho raccolto volentieri l’invito di Riccardo perché ho sempre apprezzato lo sforzo che questo settimanale sta facendo non soltanto di raccontare le cose di questo nostro mondo ma anche di rifletterci e soprattutto di cogliere le leggi di tendenza, per usare un’espressione un pò impegnativa ma che rende l’idea; questo va ad onore di tutti quelli che lavorano in questo giornale perché in effetti la tentazione è quella invece di lasciarsi prendere dall’immediatezza delle cose nella spasmodica tendenza a raccontare il più possibile. E’ un rischio che bisogna cercare il più possibile di resistere perché se non si coglie il senso ultimo si va a scomparire e a diventare obsoleti. La seconda premessa è che le cose le dirò mettendomi dal punto di vista di chi è all’interno di questo mondo vitale che è quello che chiamiamo del non profit, io è una vita che ci sono dentro, tuttora sono presidente di una ong, quindi le cose che dico sono sempre frutto a volte di prese di posizione e a volte anche di sconcerto quando vedo alcuni rischi e pericoli che sono già in atto e che sarebbe bene cercare di stoppare Il punto è il seguente: il volontariato in Italia come all’estero sta vivendo una fase di crisi, uso la parola crisi nel senso letterale dell’etimo greco- in greco crisi vuol dire transizione- quindi siamo ad una situazione di passaggio, una crisi di coscienza che deve da un lato rallegrarci dall’altro però caricarci di responsabilità. Gli elementi di questa crisi sono i seguenti. Dopo una fase iniziale durata una ventina di anni duranti i quali non c’era bisogno di distinguere tra le varie espressioni di questo mondo in particolare tra volontariato e impresa sociale, economia sociale e altre tipo fondazioni, ritengo sia giunto il momento di cominciare a dire delle parole di chiarezza perché questa confusione di termini sta provocando dei grossi disastri all’interno del mondo stesso. In particolare il mondo del volontariato è in ebollizione perché rischia l’estinzione se andiamo avanti di questo passo; ancora dieci anni così e il mondo del volontariato scomparirà e questa sarà responsabilità di tutti coloro che, magari in buona fede senza rendersene conto, portano l’acqua al mulino di chi vuole distruggere il volontariato. Oggi il mondo del volontariato è sotto attacco da un duplice fronte: da un lato il successo ottenuto sul campo da parte delle organizzazioni come associazioni di promozione sociale, cooperative sociali, ha finito per mettere in ombra queste organizzazioni dalle quali tutto è nato – non dimentichiamo che le cooperative sociali sono nate dalle associazioni di volontariato così come le altre espressioni – e quindi l’attegiamento oggi prevalente è bene espresso in un’intervista apparsa su Repubblica del 4 maggio di Sandro Salviato che è rivelatrice di uno stato d’animo che dice “Con il mondo del volontariato non abbiamo niente a che fare, anzi il volontariato è un limite allo sviluppo dell’impresa sociale e aggiunge poi che in sostanza del volontariato non c’è più bisogno” Questo è significativo perché questo è un fronte di attacco che viene da coloro i quali essendo nati dentro la casa del volontariato a questo punto si rendono conto che pone dei vincoli. C’è poi l’altro fronte di attacco che è per certi versi ancora più sottile e subdolo, quello che viene da quel gruppo di pensatori in Italia, filosofi e sociologi, i quali pensano che il volontariato rischi d’impedire e ritardare la nascita di una vera e propria cittadinanza democratica. Vi cito l’intervista, che Vita ha pubblicato il 21 dicembre scorso, a Padre Giuseppe Bettoni, presidente di Arché: “Suggerisco di dimenticare la figura del volontariato di pensare solo a quella del cittadino solidale detentore di uno stile di vita che lo porta a impegnarsi ovunque non solo nelle poche ore di lavoro in associazione? E’ un’affermazione pesante questa perchè dice sostanzialmente che il volontariato dà fastidio perché impedirebbe il momento della nascita di una coscienza di cittadinanza democratica. Questi due fronti di attacco se volessimo tradurli in termini volgarmente politici sono: il primo vengono da destra, il secondo da sinistra. La critica da destra dice: del volontariato, come Bush ha dichiarato, si ha bisogno soltanto per il conservatorismo compassionevole e la parte forte del non profit è l?economia sociale, l?impresa sociale, le fondazioni, ecc. Il fronte d?attacco della sinistra non è casuale per quelli che si riconoscono nel paradigma e nello statuto epistemologico del neomarxismo: al marxista il volontariato dà fastidio perché appunto in una società senza classi dove ci fosse discriminazione, dove ci fosse sfruttamento, effettivamente di costoro, dicono, non c?è bisogno. Questa quindi la prima sfida che occorrerebbe cominciare ad affrontare a livello culturale perché effettivamente queste posizioni qualche elemento di verità la contengono, perché se no non sarebbero state espresse. La mia tesi è esattamente contaria, cioè che nella società postfordista o della globalizzazione abbiamo ancora più bisogno che non nel passato; la mia posizione, se volete, è in controtendenza, ma io affermo che il compito specifico del volontariato, quello organizzato delle associazioni, è quello di incarnare e testimoniare con i fatti il principio del dono. Cioè la mia tesi è che senza cultura del dono e quindi senza azione donativa, una società, come è avanzata la nostra, è destinata a disumanizzarsi; quindi l?unico modo per evitare il rischio della disumanizzazione è quello di affermare e consentire a tutte le strutture della società civile di praticare lo spirito del volontariato. Quindi questo Sandro Salviato dice una sciocchezza proprio perché dimostra di credere che un?economia di mercato possa reggersi nel vuoto pneumatico senza cioè uno zoccolo duro di valori, come può essere il principio del dono che comprende uno scambio di equivalenti. Così come quando dice che il Terzo Settore gli sta stretto e che l?economia solidale cresce solo se si adegua al mercato, fa un?affermazione pericolosissima perché il giorno in cui questo accadesse davvero anche un bambino si domanderebbe a cosa serve l?economia solidale. Salviato avrebbe dovuto dire che cresce solo se è in grado di trasformare endogenamente il mercato, renderlo cioè dal volto umano. Ecco allora il primo punto e su questo volevo citarvi una dichiarazione di Kofi Annan alla cinquantaseiesima Assemblea generale delle Nazioni Unite del dicembre scorso: ?il volontariato contribuisce alla formazione del prodotto nazionale lordo?; ma dicendo questo, anche se in buona fede, ha fatto del male perché ha lasciato credere che il compito del volontariato sia questo, il che vuol dire mettere il volontariato allo stesso livello dell?impresa sociale. Anche Salomon fa delle affermazioni pesanti quando parla del volontariato come fattore di riserva a disposizione dei vari fattori di ricerca dell?economia sociale; anche questa è un?assurdità perché sarebbe come dire che le espressioni dell?economia sociale si servono del volontariato per non pagare il costo del lavoro. Questa teoria è un ulteriore botta a chi vede nel volontariato quella funzione rigeneratrice del nesso sociale. A me piacerebbe che Vita riflettesse periodicamente su questi temi perchè il rischio non è solo di far scomparire il volonatriato come forma associativa, ma di trovarci tra un po? con forme d?impresa che si aggiungono a quelle già esistenti solo per aumentare l?efficienza. La cultura del dono è fondamentale perché rigenera e aumenta il tasso di civilizzazione, dono non come ?munus?, bensì come reciprocità. Anche Vita spesso sbaglia perché in alcuni articoli fa credere che il dono sia il munus, cioè la filantropia, ma la filantropia non c?entra niente col dono. Il dono come munus crea dipendenza in chi riceve quindi è compassionevole, è la filantropia, è il conservatorismo compassionevole; il dono come principio che intendo io è la reciprocità che crea legame sociale, la relazionalità. L?altro nodo è quello che riguarda invece un chiarimento tra economia sociale e civile. E? un nodo urgente da sciogliere perché il governo un mese fa ha approvato il disegno di legge sull?impresa sociale; ora bisognerà cercare d?intervenire perché se va avanti è un disastro perché, come ci ricordava Vico, i nomi sono la conseguenza delle cose; e allora se i nomi che vengono dati alle leggi sono sbagliati poi questi diventano anche errori anche a livello culturali. Cos?è l?impresa sociale? E? un?impresa che è nel mercato ma non è del mercato, cioè sta nel mercato ma non ne segue la logica, la logica dell?impresa sociale persegue obiettivi come la partecipazione, della democrazia interna. Quindi l?impresa sociale è un?impresa la cui ragione d?essere è quella di realizzare una democrazia in senso economico e nel senso della giustizia, quindi è fondamentale perché rappresenta un modo per rendere democratica la vita economica nella diversità delle forme d?impresa. La forma tipica dell?impresa sociale è l?impresa cooperativa, quindi dell?impresa sociale abbiamo un bisogno disperato: devono aumentare se crediamo al valore della democrazia economica, però l?impresa sociale rimane legata a quella caratteristica dell?autoreferenzialità della produzione. Lo stadio successivo è quello di creare imprese nelle quali il lato dell?offerta e quello della domanda vengono opportunamente miscelate, cioè imprese nelle quali non c?è autoreferenzialità della produzione. Concretamente questo vuol dire che nell?impresa civile si vede la partecipazione dell?assetto di governo della stessa impresa, cioè sia di coloro i quali producono, sia di coloro i quali lo domandano. Con termini più di moda: l?impresa sociale è single stakeholder, l?impresa civile è multi stakeholder. Qual è oggi nella situazione italiana l?impresa civile per eccellenza? La cooperativa sociale, anche se hanno sbagliato a chiamarla cooperativa sociale creando una gran confusione; infatti avrebbe dovuto chiamarsi cooperativa civile. Se il disegno di legge sull?impresa sociale va avanti con quella dicitura succederà che in quel disegno di legge rientreranno le cooperative sociali e altri soggetti ma le cooperative non potranno più chiamarsi imprese sociali, per cui un movimento cooperativo che ha 150 anni di storia rischia di essere cancellato. Infatti non si saprà più che nome dare: non possono chiamarsi imprese capitalistiche, non sono imprese sociali, le chiameranno cooperative ma dal punto di vista giuridico non avranno una loro configurazione, dopodichè qualsiasi provvedimento potrà cacciarle fuori e li obbligherà a trasformarsi. Questa nuova legge il governo avrebbe dovuto chiamarla impresa civile perché le attuali cooperative sociali sono già imprese civili nella realtà, bisognava andare in quella direzione e di allargarle nel senso di fare in modo di consentire la nascita di nuovi soggetti dell?economia civile che si riconoscono in questo. Quando la Compagnia delle Opere ha reagito aveva sostanzialmente ragione, solo che aveva sbagliato un anno fa nel raccogliere le firme per l?impresa sociale. Ora bisognerebbe avere un po? di coraggio e intelligenza per dire chiamiamola impresa civile, così anche tutto il dibattito che c?è stato in sede al Forum del Terzo Settore non ci sarebbe stato perché una parte del forum aveva paura di perdere le caratteristiche tipiche dell?impresa sociale, gli altri invece volevano andare avanti, alla fine il risultato non ha soddisfatto nessuno. Il punto è che noi dobbiamo capire che ci deve essere spazio sia per l?economia sociale che per l?economia civile. Dò tre nomi: università e scuole, ospedali, musei. Le università non ce la fanno più ad andare avanti così, devono diventare dei soggetti, appunto, di questo mondo; provate ad immaginare che un?università che ha per esempio 5000 dipendenti come la mia possa essere governata nella forma di una coperativa sociale. Quindi l?università deve avere lo statuto del?impresa ciivile perché nel governo dell?università ci devono essere gli studenti, poi i rappresentanti; la stessa cosa vale per la scuola. E poi ci sono gli ospedali che vanno male perchè sono governati dai baroni universitari, dai medici e primari che si mettono d?accordo fra di loro: un?ospedale perché vada bene deve avere nella sua struttura una multi stakeholder perché i pazienti devono poter dire la loro e quindi deve essere gestito in una forma di un?impresa civile. In un?ottica di questo tipo non c?è spazio per la confusione né il rischio che ci si calpesti i piedi, adirittura il fatto che ci sia anche un?impresa for profit non danneggia nessuno perché l?assetto è plurimo. Vita potrebbe fare molto in questo senso: cominciare a dire in parlamento di non chiamarla legge sull?impresa sociale, perché in questo modo si cancella il movimento cooperativo. Il terzo nodo è quello che riguarda il problema più grosso e cioè di arrivare a definire una volta per tutte il nesso tra questo mondo e i pubblici poteri, cioè il problema della sussidiarietà. La sussidiarietà è diventata ormai come uno starccio che uno tira da tutte le parti a seconda di come gira il vento e soprattutto c?è ancora confusione sulla distinzione tra sussidiarietà verticale e orizzontale. Il punto è quello di dire qual è lo spazio politico che una volta per tutte vogliamo riconoscere a questo mondo vitale che chiamiamo società civile organizzata. Altrimenti se non si arriva ad un chiarimento dal punto di vista costituzionale il rischio è che ogni volta che cambia un po? il vento, si arrivino a situazioni come quella delle fondazioni, fenomeno rivelatore di come velocemente possono mutare i percorsi Questo è potuto accadere perché questo mondo della società civile organizzata, a livello politico conta ancora niente. Occorre quindi affrettare i tempi per arrivare ad una definizione vera e propria, bisogna arrivare a fare in modo che ciò avvenga, non tanto nella costituzione, ma nelle leggi ordinarie che sono immediatamente vincolanti. La sussidiarietà in questo paese non la vuole nessuno, non è un problema di destra o sinistra, è trasversale perché la sussidiarietà vuol dire affermare il principio di responsabilità e la responsabilità dà fastidio a tutti. E? questa la terza sfida che anche Vita potrebbe, con un piano, portare avanti in maniera sistematica perché la gente ha bisogno di avere parole di chiarimento. ANCORA SUL VOLONTARIATO Per ultimo il volontariato non deve avere paura di invadere il territorio dell?economia civile perché c?è posto per tutti, proviamo a sgombrare la mente dal vecchio paraocchi che ci obbliga a vedere che tutta questa realtà di cui abbiamo parlato debba prendere la forma o del volontariato, o dell?impresa sociale, o dell?impresa civile; abbiamo bisogno invece di tutte tre le forme. Alla domanda se siamo sicuri che sia patrimonio esclusiva del volontariato la pratica del dono come reciprocità, io dico che non è così perché ognuno di noi quando fa anche il lavoratore dipendendemente può mettere qualcosa di donativo, mentre per esempio il filantropo non aggiunge niente e non mi serve per creare una società diversa e più umana, la filantropia servirà solo a fare redistribuzione del reddito. E? il dono come reciprocità la virtù che non abbiamo dalla nascita, quindi dobbiamo educarci a questo: ecco allora qual è il compito del volontariato, avere nella mission, questo carattere educativo. La funzione primaria del volontariato organizzato è di essere delle scuole dove si impara la pratica del dono come reciprocità; l?azione buona è contagiosa. Il volontariato inoltre non è gratuità, ci confondiamo quando diciamo che l?azione volontaria è l?azione gratuita: l?azione volontaria invece è quella che educa. La stessa persona che fa volontariato per cinque anni e poi va in cooperativa va benissimo. In termini astratti quale sarebbe il modello migliore: che tutti facessero questa esperienza di educazione al volontariato negli anni giovanili. Poi uno andrà in borsa o a fare l?imprenditore, però io sono sicuro che se ha fatto quell?esperienza si comporterà diversamente che altrimenti. Questa è la grande risorsa del volontariato e per questo va curato e incoraggiato. Si minaccia nella misura in cui o si comincia a dire che si deve professionalizzare oppure si perde la dimensione culturale. Avete mai sentito qualcuno che pubblicamente dice che il compito del volontariato è quello di educare al dono? Io non sento più nessuno che dice queste cose, ed è un peccato. Si definisce il volontariato non più in termini di ciò che è ma per ciò che fa. Questo è riduttivo e perciò va combattuta questa riduzione. Vale anche a livello personale, ognuno di noi deve essere definito per ciò che è e non per ciò che fai. Si legge il volontariato solo in termini neo funzionalistici


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