Mondo
Stefano Piziali: ecco l’Afghanistan del dopo talebani
Il cooperante del Cesvi è tornato in Italia dopo aver trascorso un mese in Afghanistan. Vita l'ha intervistato
«Kabul non è l’Afghanistan. Nel nord, non ho visto donne togliersi il burka dopo la caduta dei talebani ne persone festeggiare. E non c’è sicurezza per gli operatori delle organizzazioni umanitarie». A parlare così è Stefano Piziali, resposabile dei progetti di emergenza dell’ong Cesvi, che sabato primo dicembre è tornato in Italia dall’Afghanistan. Dopo un mese in missione esplorativa a Taloquan, nel Nord del Paese. Vita gli ha chiesto un bilancio della sua missione, eccolo.
Vita: Cosa è cambiato per i civili afghani dopo la sconfitta dei talebani nelle città del Nord?
Stefano Piziali: molte persone che erano fuggite nei campi profughi fuori e dentro il Paese stanno tornando nei loro villaggi. E quindi l’emergenza freddo è meno grave: i civili hanno un tetto per ripararsi dal freddo e si possono occupare degli animali, riuscendo in molti casi a procurarsi del cibo. Col ritorno dei profughi nei villaggi, anche la missione del Cesvi è cambiata. Prima ci dedicavamo soprattutto a far arrivare cibo e vestiti nei campi dei rifugiati, ora li portiamo nei villaggi e ci stiamo organizzando per affrontare l’emergenza educativa.
Vita: raccontaci di cosa si tratta
Piziali: Qui al nord i ragazzi non vanno a scuola da più di due anni, perché le aule erano state trasformate in caserme e perché le famiglie li tengono a casa per svolgere piccoli lavori. Servono come manodopera, in Afghanistan e anche in Tagikistan. Un problema che si riflette anche sugli insegnanti: disoccupati e, quindi, poveri. Al momento a Taloquan c’è un operatore del Cesvi che sta cercando di coordinarsi con l’Unicef per affrontare questa emergenza.
Vita: in che condizioni lavorano le ong?
Piziali: non c’è sicurezza. Penso che se in Afghanistan non sarà inviata una forza di pace internazionale, evitare gli scontri fra opposte fazioni di mujaheddin e ricostruire un tessuto sociale sarà impossibile. Dopo l’uccisione dell’ultimo reporter, proprio a Taloquan, siamo preoccupati per la sicurezza di operatori e volontari. Ancora non è stato possibile stabilire se si è trattato di una azione intimidatoria nei conftonti di tutti gli stranieri presenti in Afghanistan o di un incidente durante una rapina. Secondo le Nazioni Unite, inoltre, il nord del Paese rimane una zona non sicura.
Vita: hai avuto modo di lavorare con la società civile locale?
Piziali: praticamente non esiste. Le organizzazioni di donne sono all’estero, e stiamo collaborando con una ong in Tagikistan, le altre si occupano principalmente di distribuire gli aiuti. Ma i convogli occidentali continuano a muoversi con difficolotà. L’ultima volta che ho passato il confine col Tagikistan, sulla frontiera c’erano almeno 50 camion in attesa. Se ne passano 10 al giorno è tanto. E per fare cinque giorni di macchina, a volontari e cooperanti gli autisti locali chiedono anche 600 dollari.
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