Mondo

Stefano Manservisi: “Sicurezza e sviluppo sono indissociabili in Africa”

Dal Fondo fiduciario Ue per la stabilità e la lotta contro le cause profonde delle migrazioni irregolari sul continente africano al Fondo Ue per lo sviluppo sostenibile a sostegno degli investimenti, passando per il Summit Ue-Africa previsto in novembre ad Abidjan, quella del Direttore generale della cooperazione europea allo sviluppo della Commissione Ue, Stefano Manservisi, è un’agenda fitta. In questa intervista pubblicata sul numero estivo di Vita, il capo di EuropeAid si dice convinto che “la sicurezza e lo sviluppo sono due sfide indissociabili in Africa che vede l’Unione sempre più compatta”*.

di Joshua Massarenti

Oltre la Libia, il Sahel è più che mai una regione al centro dell’attenzione dell’Unione Europea. Durante l’ultima riunione del G5 a Bamako, Bruxelles si è presentata con una delegazione ampia e compatta per sostenere sia le forze militari che quelli civili africane impegnate sulla sicurezza in Sahel, che le autorità governative e gli attori dello sviluppo. Con quale obiettivo?

E’ stato un richiamo a noi stessi sulla necessità di fare un pò di ordine in casa nostra. Nell’ambito delle missioni militari è ad esempio opportuno far lavorare gli Stati Membri sotto comando europeo. Questo già accade in Sahel, non così si può dire in Somalia, dove prevalgono ancora interessi divergenti. Ma questi teatri di guerra necessitano una guida e una strategia europea. La parte militare e civile di supporto europeo al G5, che si aggiunge a quella coperta dalla Commissione europea attraverso Devco con l’African Peace Facility e i vari progetti del Fondo fiduciario per l’Africa, dimostrano che un approccio olistico europeo è possibile.

La società civile rimane molto preoccupata sul mancato confine che dovrebbe separare le attività di sicurezza e quelle di sviluppo dell’Ue in Africa. Una recente inchiesta giornalistica europea – Diverted Aid – a cui Afronline.org ha partecipato ha proprio messo in luce una certa confusione…

Sono tutte preoccupazioni a cui sono molto sensibile. Purtroppo gli strumenti messi in campo dell’UE non sono stati in fase con la realtà. Il Trattato di Lisbona assegna delle competenze da un lato alla Commissione europea, dall’altro agli Stati Membri coordinati, seppur con certi limiti, dall’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue. Stiamo lavorando per colmare questo divario. Durante l’ultima riunione con il G5 a Bamako in giugno, l’UE si è presentata con una delegazione ampia e compatta per sostenere sia le forze militari che quelli civili africane impegnate sulla sicurezza in Sahel, che le autorità governative e gli attori dello sviluppo.

Nel Sahel stiamo intervenendo in modo integrato con tutti gli strumenti e gli attori europei dispiegati in modo sincronizzato, a tutti i livelli.

Con quali obiettivi concreti?

Nel Sahel stiamo intervenendo in modo integrato con tutti gli strumenti e gli attori europei dispiegati in modo sincronizzato, a tutti i livelli. I nostri cinque paesi partner africani, ovvero Mali, Niger, Mauritania, Senegal e Burkina Faso, ci hanno chiesto di sostenere la forza militare congiunta che stanno mettendo in piedi per combattere il terrorismo e i trafficanti di droga e di esseri umani. Abbiamo deciso di farlo attraverso l’African Peace Facility per coprire la parte logistica, cioè telefoni portatili, ospedali da campo, veicoli, ecc.; la parte militare finanziata dagli Stati Membri europei prevede invece la consegna di elicotteri, veicoli blindati, ecc. Abbiamo già due missioni in Mali, Eutm ed Eucap, che abbiamo aggregato. Poi con il Fondo fiduciario per l’Africa, accompagniamo ad esempio lo Stato maliano a rioccupare zone fuori controllo attraverso progetti sanitari, educativi o la creazione di posti di lavoro per i giovani.

E’ normale che, sempre secondo l’inchiesta Diverted Aid, il Fondo fiduciaro finanzi apparecchiature biometriche?

Dotarsi di registri di stato civile in linea con gli standard internazionali è fondamentale per uno Stato degno di questo nome. Alrimenti, come facciamo ad organizzare elezioni?


Sappiamo che l’interesse verso il continente africano nasce dalle tragedie nel Mediterraneo e dalle paure generate dai flussi migratori. Ma dal momento che questo interesse c’è, approfittiamone.

Perché non averlo fatto prima piuttosto che adesso, quando sappiamo che queste apparecchiature servono per identificare i migranti irregolari che arrivano in Europa?

Lavoro sull’Africa da trent’anni. Sappiamo che l’interesse verso il continente africano nasce dalle tragedie nel Mediterraneo e dalle paure generate dai flussi migratori. Ma dal momento che questo interesse c’è, approfittiamone. Ce lo chiedono anche i nostri partner africani, che hanno bisogno di registri di stato civile adeguati. Il Summit UE-Africa in programma a novembre ad Abidjan ci consentirà di guardarci negli occhi e capire che direzione comune vogliamo prendere.

Di fronte al vuoto lasciato da Trump sul clima e probabilmente anche sulla cooperazione allo sviluppo, quali sono le attese dei partner africani rispetto all’Ue?

La domanda di Europa è fortissima, assieme a quella cinese. E non è soltanto una questione di soldi, ma di leadership politica, ecco perché gli americani non stanno facendo una bella figura.

La Bei vuole essere la Banca di sviluppo che gestice i soldi, un obiettivo anche lodevole, salvo che non è una Banca di sviluppo.

Nell’ambito del Piano d’investimenti dell’UE per l’Africa presentato in settembre 2016, si parla di uno scontro aperto tra Commissione e la Banca europea di investiment (Bei) sulla gestione del fondo di garanzia…

Il fondo di garanzia sarà gestito dalla Commissione, con un’expertise mista anche nella Bei, il tutto sotto il coordinamento di un segretariato della Commissione europea.

Ma la Bei vuole il controllo di questo fondo, o no?

La Bei vuole essere la Banca di sviluppo che gestice i soldi, un obiettivo anche lodevole, salvo che non è una Banca di sviluppo. Quindi oltreche accaparrare ruoli, è meglio che si attrezzi a farlo. Oggi rimane una Banca di investimenti.

* L'intervista è stata realizzata a giugno durante le Giornate europee per lo sviluppo e pubblicata nel numero di luglio-agosto di Vita, attualmente in edicola.

Foto di copertina di J. Massarenti.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.