Politica

Stefano Granata: «Aggregarsi per lo sviluppo»

Il presidente di Cgm, la più grande rete di cooperative sociali, vede la scommessa della riforma come «l'occasione di portare a patrimonio quello che in 30 anni si è costruito»

di Giuseppe Frangi

È l’occasione di portare a patrimonio quello che in 30 anni si è costruito. Non per tenercelo stretto ma per aprirlo e metterlo a fattor comune». Stefano Granata, presidente di Cgm, la più grande rete di cooperative sociali, oltre un miliardo di euro di fatturato aggregato, vede così la scommessa della Riforma. Aggregazione, ibridazione e contaminazione sono le parole chiave con cui sarà obbligo misurarsi.

Cominciamo da aggregazione…
Se dobbiamo ragionare in termini di impatto sociale della nostra attività imprenditoriale, è chiaro che si deve imparare a investire su progetti di larga scala. Prendiamo l’inserimento lavorativo. La logica dei piccoli numeri e degli interventi micro su realtà territoriali circoscritte ha prodotto grandi benefici, ma non è più adeguata alle dimensioni del problema. Perciò solo chi avrà il coraggio di aggregarsi e di alzare il dato quantitativo della propria azione, potrà essere attrattivo per chi ha capitali da investire in una logica low profit. Ma attenzione, l’aggregazione non la si fa a tavolino, ex lege. Deve essere un processo che scaturisce e cresce dal basso.

L’ibridazione è una delle forme in cui l’aggregazione può maturare?
Certamente. Gli ibridi sono nati e stanno nascendo in modo spontaneo e non come conseguenza ma come una scelta di governance. Un’indagine che abbiamo fatto qualche mese fa dimostra per altro che il meccanismo funziona solo quando è la cooperazione sociale a innestare il meccanismo e non quando lo subisce. Un’altra caratteristica è che queste esperienze si muovono nell’ambito di mercati nuovi dove sono necessari investimenti esterni rispetto a quelli che le cooperative sociali sarebbero in grado di mettere in campo. Poi noi dobbiamo essere bravi nel trovare anche quel tanto di marginalità che possa essere attrattiva per gli investitori.

C’è anche da aprirsi ad altri settori?
Ci sono già dinamiche in atto in questo senso. Penso per esempio alla sanità, all’ambiente o all’housing sociale. Ma quello che vorrei sottolineare è un altro punto. Il vero fattore vincente del modello della cooperazione sociale è quello di aver messo al centro il lavoro come unica risorsa possibile. Oggi il lavoro è la più grande emergenza, per cui quel modello assume una grande importanza. Ma ovviamente dobbiamo cambiare di scala, ragionare su logiche più industriali. Anche qui ci si deve scrollare di dosso quel residuo di logica assistenziale ed entrare in una prospettiva che vede il lavoro come fattore di crescita e di sviluppo. Siamo stati fondamentali a garantire percorsi di inclusione, ora dobbiamo fare il salto in direzione dello sviluppo…

(l'intervista integrale qui per i soli abbonati)

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