Cultura

Stefano Cucchi entra a Brera grazie a Bergonzoni

Bisogna tutelare i corpi come si tutelano le opere d'arte. Per ricordarcelo Alessandro Bergonzoni realizza alla Pinacoteca di Brera la performance “Tutela dei beni: corpi del (c)reato ad arte (Il valore di un’opera, in persona)”. E lo fa ricordando Stefano Cucchi, morto nel 2009 nel carcere di Regina Coeli a Roma. «Sei tu confine? Confine? Dove ti ho già visto? Possibile tra un’opera d’arte e un corpo non tutelato? Quando ti sentirai abbattuto tra le bellezze di un quadro ritrovato del ’600 e un morto d’incuria della cronaca
 del ‘900»

di Anna Spena

Quando abbiamo smesso di curare le persone? Nella Sala della Passione, Pinacoteca di Brera, Milano, Alessandro Bergonzoni – coi suoi silenzi forti – lo ha ripetuto senza fare sconti a nessuno: I corpi bisogna tutelarli come tuteliamo le opere d’arte. Per ricordarlo Bergonzoni ha realizzato una performance, “Tutela dei beni: corpi del (c)reato ad arte (Il valore di un’opera, in persona)”. Nella Sala della Passione Bergonzoni ha dilatato il tempo. Nel buio fitto della sala – chiusa dall’esterno – è partita la registrazione del suo monologo.

«Pinacoteca. Museo. Capolavoro. Esposizione. Raccolta di opere e quindi raccoglimento. (…) Che differenza c’è tra un bene e il bene? “Vi voglio un gran bene!” “Vi voglio un bene storico! Un bene comune, culturale. Un bene paesaggistico, etico”. “Vi voglio un bene sociale! Un bene raro, concettuale, informale”. “Vi voglio anche un bene archeologico, sepolto da anni di guerre, di terre, di colpi e di colpe!”».

Poi il silenzio e il suo ingresso. Girato di spalle. I muscoli in tensione. E una tela fittizia sulla parete. Prima nera, poi grigia, poi bianca si è accesa per illuminare la sala. E lui di spalle. Sempre di spalle con gli occhi rivolti a quel “non ancora corpo”. Ci sono stati 15 minuti di silenzio lungo, pieno. Poi il disegno ha iniziato a prendere forma: prima sembrava una foresta, poi il volto di una donna vecchia, poi, quello di una donna giovane.

E invece, alla fine, il colpo al cuore, la “sorpresa” per non dimenticare. La faccia in primo piano del corpo morto di Stefano Cucchi, il ragazzo morto il 22 ottobre 2009 mentre era in custodia cautelare nel carcere di Regina Coeli a Roma. La bocca semi aperta. Gli occhi rossi, scavati, mortificati. E quando poi, gli spettatori, si erano come abituati a quel silenzio, e quando poi lo sguardo ha incontro quell’altro sguardo morto che gli ha svuotati di energia, ecco che riparte l’invettiva. Bergonzoni gira la faccia al pubblico ma non lo guarda.

Poi la sua voce registrata, un tutt’uno con la foto, riprende: «Sei tu? Sei tu confine? Confine? Dove ti ho già visto? Possibile tra un’opera d’arte e un corpo non tutelato? Tra stato di abbandono e un’opera uomo? Tra il bello e il male? Confine? Quando ti sentirai abbattuto tra le bellezze di un quadro ritrovato del ’600 e un morto d’incuria della cronaca
del ‘900? Confine? Chi sovraintende a queste meraviglie del creato? Chi le conserva, tutela, valorizza, in una cella magari non affrescata. In che modo le custodisce lo Stato? Che poi le deve restaurare, salvaguardare come patrimonio del
museo sovrumano-esistenziale-artistico».

«Confine? Dove sei? Perché sei ancora lì? 
Cosa fai tra il Ministero della Difesa, della Cultura, dell’Economia, della Salute, dell’Interno? Cosa c’è di sano all’interno della difesa della cultura? L’economia? L’economia? Cosa c’è tra bello e giusto, sbagliato, perdonato, arrestato e morto? Il civile, il sociale, il politico venga dopo… Il politico venga dopo». E anche se la performance, il confine – tra dentro e fuori – lo ha annullato, Bergonzoni continua:

«Confine? Confine? Se non c’è ugual rispetto tra un capolavoro classico e un corpo che rappresenta l’anima, sacrosanta? Confine? La pietà è quella di Michelangelo, Carracci, Reni, o anche quella di Stefano, Giuseppe o chissà chi? A cosa ci esponiamo, confine? Cosa abbiamo la sfortuna di vedere? E cosa non ci fanno vedere in un museo esistenziale dell’arte? Cosa mostra una Mostra, se non l’invisibile, confine, l’inimmaginabile, l’immenso, il sommo, l’estasi? L’eterna natura d’amor color viola inviolabile? Di coloro che non possono portare i segni del degrado, dello sfregio, dell’offesa, al massimo compianti da Nicolò dell’Arca in avanti? Che cosa ci tocca di quest’opera perduta? Ci tocca fare. Non è solo una proiezione rimasta impressa. Impressa sul muro degli occhi di chi».

Sì. Quando abbiamo smesso di curarle le persone?

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