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Stefano Allievi: «Alle paure reali sulle migrazioni abbiamo risposto dando giudizi morali»

Davvero la "ricetta danese" per sconfiggere la xenofobia può funzionare in Europa? L'equazione "più migranti uguale meno welfare" è corretta? Dopo la provocazione di Nino Sergi su Vita, ne parliamo con il professor Stefano Allievi che ci invita a non cadere nella trappola

di Marco Dotti

Anche solo porre il tema e porsi il problema della governabilità del fenomeno migratorio ci qualifica come xenofobi? La provocazione di Nino Sergi, lanciata la settimana scorsa sulle pagine di Vita ("Sono forse anch'io uno xenofobo?") ha acceso il dibattito. Ne parliamo con Stefano Allievi, professore di sociologia all'Università di Padova, tra i maggiori esperti della questione, autore tra gli altri di un libro di grande interesse, edito da Laterza e arrivato alla sua sesta ristampa: 5 cose che tutti dovremmo sapere sull'immigrazione (e una da fare).

Più migranti accogliamo, più dovremo tagliare risorse al welfare. Questa equazione è stata al centro della campagna elettorale danese e, secondo molti commentatori, averla accolta ha portato alla vittoria dei socialdemocratici guidati guidati da Mette Frederiksen. Al netto di quanto succede in Danimarca, lei ritiene sia un'equazione che regge? O siamo davanti all'ennesima banalizzazione?
Qui abbiamo un problema: definire che cosa è il welfare. Il welfare, storicamente, è l'elemento fondamentale che serve per riequilibrare dei disequilibri. Il welfare nasce in occidente sul presupposto di fornire, a chi non ne ha, opportunità di recuperare delle chances e, al contempo, creare maggior equilibrio all'interno della società nel suo complesso. Il welfare non ha niente a che fare con l'immigrazione o con l'immigrazione o con l'essere autoctnoni…

Con che cosa ha a che fare?
Ha a che fare con degli squilibri sociali che si manifestano nella questione dei vari diritti (istruzione, sanità, assistenza, conoscenza della lingua, etc.). Dovremmo ritornare a questi fondamentali, perché oggi, nel dibattito pubblico, si è data un'immagine distorta del welfare. Un'immagine per cui ci sono alcuni che porterebbero via ad altri, tipicamente gli stranieri porterebbero via agli italiani. Ma non è così né fattualmente, né nella concezione originaria del welfare.

Invece si è raccontato che gli stranieri sottraggono opportunità e risorse, ovvero welfare, agli italiani…
Proviamo a leggere la questione da un altro lato: il welfare deve essere universale. Chi ha diritto a una casa o a imparare una lingua se non la conosce? Ne ha diritto chi non riesce ad accedere a una casa a prezzi di mercato o non è alfabetizzato, sia esso italiano o straniero. Il welfare è universale, ma la pubblica opinione è stata orientata da un martellamento continuo che ha contrapposto i famigerati "hotel a 5 stelle" dell'accoglienza e la povertà estrema di certe famiglie italiane. La prima cosa non era vera, ma la seconda sì.

Il welfare nel suo complesso, più che favorire gli immigrati a danno dei cittadini italiani, non è così inclusivo né per i primi, né per i secondi…
Non lo è a prescidere dal fatto che ci siano gli immigrati. Se in un asilo nido non ci sono abbastanza posti, ma il posto lo prende un immigrato ci arrabbiamo, mentre se lo prende un altro italiano non diciamo niente. Il problema, però, è che non ci sono abbastanza posti.

Ritorniamo alla questione che ha scandalizzato molti italiani: "per gli immigrati spendiamo 34 euro al giorno e per il figlio della signora Maria non ne spendiamo nessuno"…
Dobbiamo universalizzare gli strumenti. Perché creare canali in cui solo gli stranieri imparano la lingua o altro crea un problema. Ci sono categorie di italiani "sani" per cui, in età lavorativa, lo Stato spende 1000 euro al mese? La risposta è no. Allora i famosi 35 euro al giorno sono sembrati un'ingiustizia.

Immaginiamo che nostro figlio abbia paura. Una paura irrazionale, magari la paura del buio. Se alla sua paura del buio rispondiamo con una statistica, dicendogli che di paura del buio non è mai morto nessuno abbiamo ragione, ma non abbiamo risolto il suo problema. Se alla paura del buio di nostro figlio rispondiamo con supponenza ("che stupido che sei", "la tua paura è irrazionale") non solo non solo non risolviamo il problema, ma aumentiamo enormemente la distanza comunicativa tra noi


Senza ragione?
Se arrivano delle persone, ci conviene insegnar loro la lingua, la cultura e dotarli di adeguata formazione professionale. Ma questa cosa andava spiegata.

Invece non è stato spiegato nulla…
Anche da parte di coloro che sono a favore dell'accoglienza non è stato spiegato nulla, ma tutto è stato posto dentro categorie morali.

In che senso?
La grande colpa del mondo che non chiamerei nemmeno progressista, ma definirei non contrario agli immigrati per principio, la grande colpa di questo mondo, incluso quello cattolico, è di non aver ascoltato le paure e gli interrogativi delle persone. Interrogativi, dubbi e paure del tutto legittimi. Anziché in termini di giustizia sociale, questo mondo ha risposto in termini morali dando dello xenofobo o del razzista a tutti. In questo modo, però, si sono create le condizioni affinché la persona che viene trattata in questo modo si rivolga altrove a cercare risposte.

Ci fa un esempio??
Gliene faccio uno che traggo da una specie di monologo teatrale (accompagnato da video e slide esplicative) che sto portando in vari festival e teatri d'Italia. Immaginiamo che nostro figlio abbia paura. Una paura irrazionale, magari la paura del buio. Se alla sua paura del buio rispondiamo con una statistica, dicendogli che di paura del buio non è mai morto nessuno abbiamo ragione, ma non abbiamo risolto il suo problema. Se alla paura del buio di nostro figlio rispondiamo con supponenza ("che stupido che sei", "la tua paura è irrazionale") non solo non solo non risolviamo il problema, ma aumentiamo enormemente la distanza comunicativa tra noi.

Qual è la soluzione, allora?
Spesso è una soluzione non razionale. Hai paura del buio? Io ti ascolto, ti abbraccio e poi decidiamo assieme cosa fare, magari lasciando la luce accesa in corridoio. Non è la decisione più razionale, ma è la decisione giusta per quella situazione.

"Accogliamoli tutti", "non accogliamo nessuno"…
Bisogna tenere in considerazione le paure di tutti e procedere nel concreto, senza astrazioni né in un senso, né nell'altro. Nel caso concreto dobbiamo mostrare alle persone che certe scelte sono contro producenti, ancor prima che sbagliate.

Anche qui andiamo sul concreto, ci faccia un esempio…

Vivo in Veneto, dove la regione ha approvato delle leggi chiamate "prima i veneti" in cui si dice che per accedere alle graduatorie per asili nido, case popolari, case di riposo bisogna avere almeno 15 anni di residenza nella regione (regolamenti simili, peraltro, li stanno approvando molti enti locali, in tutta Italia). Questi provvedimenti sono passati sull'onda dell'entusiasmo popolare, ma poi si sono presentate le sorprese… Sapete chi sono stati i primi a protestare per la concreta applicazione di queste leggi? Sono stati i poliziotti e carabinieri, ovviamente italiani, che, trasferiti in Veneto, non trovavano casa finendo in coda alle graduatorie.

Dall'altro lato bisogna guardarsi dalla supponenza dei presunti buoni…
La spocchia è palpabile e alza un muro comunicativo tra noi e gli altri. Non serve, fa danni.

Come possiamo dare una scossa a questa situazione?
Chi è contro gli immigrati ha un gioco semplice: "Prima gli italiani". Noi dobbiamo portare alle estreme conseguenze questo ragionamento e, poi, razionalizzare sull'altro lato. Immaginiamo che, domani, approvassimo una legge che vieta i liquori stranieri. Intuitivamente tutti sarebbero d'accordo, ma con quale conseguenza reale? Dall'indomani si aprirebbe un gigantesco mercato nero di liquori di contrabbando, gestiti dalle mafie….

… è quello che è successo con gli ingressi…
Esattamente. Ma non è stata la politica a dire "noi non ce ne occupiamo più", è stata la pubblica opinione a chiedere alla politica di non occuparsene più. La politica ha agito di conseguenza. Bisogna far vedere l'assurdità di questa scelta, perché con questo atteggiamento abbiamo inventato l'immigrazione irregolare, bloccando i canali regolari.

Se bloccassimo tutti i canali, regolari e irregolari, molti credono che cambierebbe tutto in meglio…
Portiamo il ragionamento alle estreme conseguenze. Se da domani non arrivassero più immigrati, e sparissero quelli che ci sono già, l'occupazione per gli italiani crescerebbe di poco nei lavori meno qualificati, ma non cambierebbe la situazione per diplomati e laureati, che il mercato del lavoro italiano non è capace di assorbire (come si vede, un problema ben più grave e serio dell’immigrazione). I migranti, per lo più, lavorano come colf e badanti, nella logistica, nel livello più basso della manifattura, nel bracciantato, nel turismo (camerieri, pulizie) e nell'edilizia: tutti lavori che, comprensibilmente, i giovani istruiti, nella maggior parte dei casi, non intendono fare. Ergo se non ci fossero gli immigrati ci sarebbero pochi lavori in più per gli italiani, e solo di basso livello, ma in compenso avremmo meno servizi e produrremmo molta meno ricchezza, considerando che gli stranieri producono quasi il 20% della ricchezza nei settori del turismo e dell'edilizia, e quasi il 10% del PIL nazionale. In questo senso, spendere intelligentemente le risorse del welfare per italiani e stranieri, compensando le diseguaglianze esistenti, sarebbe un vantaggio per tutti

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