Politica
Stavolta i conti giusti li hanno fatti i disabili
Franco Bomprezzi ricostruisce una vicenda paradigmatica
Tremonti modifica le percentuali necessarie
per ottenere l’assegno da 256 euro mensili.
Le associazioni reagiscono unite, cifre alla mano.
E alla fine la spuntano. Ma non finisce qui. Alle porte c’è l’offensiva a tutto campo contro i falsi invalidi…
La parola d’ordine è “prudenza”. La fiducia nel governo da parte delle associazioni delle persone disabili è stata troppo scossa dalle vicende delle ultime settimane perché basti una dichiarazione, per quanto importante e ufficiale, a far rientrare l’allarme creato dalla manovra finanziaria. Sta di fatto che, con ogni probabilità, il proposito originario del ministro Tremonti di mettere paletti rigidissimi alle certificazioni di invalidità, modificando addirittura le percentuali necessarie per ottenere l’assegno da 256 euro mensili e rivedendo in senso restrittivo la concessione dell’indennità di accompagnamento, è per il momento definitivamente rientrato.
Troppo rischioso infatti, in questa complicata fase politica della maggioranza, trovarsi contro l’opinione pubblica (di sinistra, di centro e di destra), colpita emotivamente anche dalla inconsueta manifestazione dei disabili davanti a Montecitorio del 7 luglio. Una bomba da disinnescare prima di ogni altra controversia, perché in effetti l’applicazione concreta della dichiarata guerra alle false invalidità, proclamata con enfasi da Tremonti il giorno stesso della presentazione della manovra, si era risolta in un pasticcio burocratico, di difficile interpretazione e di sicura ingiustizia sociale. Tanto da mettere tutti d’accordo, Fish e Fand, ossia il 99% delle grandi associazioni italiane: comunicati congiunti, stessi toni, consultazione permanente, pochi obiettivi ma chiari, condensati d’altronde nella petizione avviata nel nostro portale, con immediato e grande consenso di adesioni. Marcia indietro del governo, dunque, con qualche retroscena ancora poco decifrabile politicamente, ma proficuo dal punto di vista dei diritti acquisiti dei cittadini disabili. È infatti assai probabile che il ministero del Welfare abbia giocato un ruolo determinante quanto discreto nell’abbassare i toni del confronto e nel riprendere in mano il timone della difficile navigazione a vista, nella palude delle norme melmose e incrostate di burocratese, che sono in effetti la vera origine del conflitto e delle tensioni delle ultime settimane.
Ma come vive oggi un cittadino con disabilità? Male. I dati parlano chiaro: fra i disabili lavora meno di uno su cinque, mentre nella popolazione “normale” è occupato un cittadino su due. E solo una famiglia su cinque, nella quale sia presente una persona disabile, riceve aiuti pubblici. L’accesso ai mezzi di trasporto pubblici è quasi del tutto negato. Trovare un’abitazione senza barriere è praticamente un lusso. Gli ausili tecnologici non sono ancora stati previsti dal cosiddetto “nomenclatore tariffario”, ibernato dal secolo scorso. E per ottenere qualsiasi provvidenza, ma anche i diritti fondamentali, le famiglie devono affrontare una trafila complessa, spesso umiliante e stigmatizzante (certificazione di invalidità per i bambini che hanno bisogno di sostegno scolastico, ad esempio). Tutt’altro che privilegi e furberie, dunque, almeno per il 90% dei casi. E forse questo malessere sociale, acuito dalla crisi economica (la disabilità, statisticamente, impoverisce le famiglie) è stato il collante di una nuova stagione per le associazioni di volontariato. La battaglia sulla manovra segna dunque non un traguardo, ma un punto di partenza di una nuova stagione di partecipazione e di confronto. Come non si vedeva da vent’anni.
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