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Stati Uniti tra violenza e razzismo: l’era Obama rischia di finire nel caos
Quasi trecento arresti in tutto il Paese, la tensione è alle stelle, crescono le proteste contro la polizia e domani il Presidente Obama prenderà la parola alla cerimonia interreligiosa in memoria dei cinque agenti uccisi giovedì 7 luglio da un cecchino. Ne parliamo con l'americanista Fabrizio Tonello
di Marco Dotti
Migliaia di persone per le strade degli USA per dire basta alla violenza della polizia contro gli afroamericani. Centinaia di arresti, tensioni, polemiche. E domani, a Dallas, è atteso il discorso di Obama che ha interrotto il suo viaggio in Europa per arrivare in Texas dove un cecchino ha ucciso 5 poliziotti, ferendone 7 prima di essere a sua volta ucciso da un robot killer. Ne parliamo con Fabrizio Tonello, americanista del'Università di Padova, dove insegna Politica comparata.
Professor Tonello, tutto esplode, ma forse c’era da aspettarselo…
Sicuramente non è una faccenda estemporanea, visto che il razzismo consolidato della polizia americana non è una novità. La novità – peraltro, anche questa, relativa – è che ci sono reazioni violente. Il cecchino di Dallas non è il primo, pochi mesi fa a Brooklyn un uomo sparò contro due poliziotti. È chiaro che queste reazioni sono il risultato del totale fallimento della politica del Congresso e dell’amministrazione Obama che, in otto anni, non sono stati in grado di dare una risposta alle normali abitudini di violenza della polizia che è in maggioranza composta di bianchi.
Si conclude male l’era Obama…
Stiamo parlando di un problema estremamente specifico: il razzismo inveterato nei corpi di polizia americani che sono dipendenti dagli enti locali. La polizia di New York o quella di Los Angeles non dipendono da Obama. Obama poteva fare molto più di quello che ha fatto, ma la polizia è locale e il razzismo consolidato non è mai stato estirpato. Anzi, in questi otto anni si potrebbe pensare che è – se si vuole – aumentato, come dimostra il caso del Tea Party che ha portato i Repubblicani a controllare il Senato e la Camera. Quello che vediamo oggi è il risultato del fatto che, negli ultimi due anni, è nato il movimento Black Lives Matter, “le vite dei neri contano”. E questo movimento ha portato all’attenzione dei media delle cose che succedevano anche prima ma, semplicemente, prima non si vedevano.
In qualche modo, oggi le cose si sanno…
Se ammazzavano un nero a Phoenix la cosa non andava al di là di un trafiletto nella cronaca dei giornali locali. Adesso, invece, la cosa non solo assume rilevanza nazionale, ma si diffonde e diventa conosciuta grazie alla possibilità di avere delle immagini di ciò che accade. I famosi scontri di razziali di 20 anni fa, con il pestaggio di Rodney King, provocò la reazione che conosciamo perché c’era un video. Oggi i video ci sono molto spesso e questo permette di attivare delle manifestazioni che prima non c’erano. Resta il fatto che la risposta politica a questo razzismo consuetudinario della polizia, in questi anni, non c’è stato. O, quanto meno, non c’è stato a sufficienza.
Baton Rouge, Louisiana
Mark Wallheiser/Getty Images
Un razzismo che non cessa, ma anche una reazione che fatichiamo a comprendere. Micah Johnson ha ucciso cinque persone con tecniche da cecchinaggio…
È una questione profondamente politica, dove si incrociano due fattori su cui la politica americana è da decenni profondamente incapace di decidere. Due fattori che toccano questioni sociali letteralmente esplosive: il razzismo e la disponibilità di armi. I cecchini esistono perché negli Stati Uniti ci sono in circolazione più pistole e fucili che abitanti e, in particolare, una sentenza della Corte Suprema di qualche anno fa ha dato un’interpretazione del Secondo emendamento che ha reso impossibile qualsiasi regolamentazione significativa del possesso di armi.
Per di più, i repubblicani sono prigionieri della National Rifle Association, la potentissima lobby dei proprietari di armi da fuoco e hanno fatto la loro fortuna, in parte, in questi anni opponendosi alla restrizione della vendita di armi e neppure dopo il massacro in Florida con 50 morti sono riusciti a far passare una legge che vietasse la vendita di armi a chi è sospettato di legami con il terrorismo. Non sono riusciti a fare nemmeno questo. È chiaro che se si fa due più due, razzismo più disponibilità di armi, non c’è da stupirsi se prima o poi anche qualcuno che si trova dalla parte “sbagliata” – solo come vittima – pensa che prendendo un fucile potrebbe rispondere.
FBI: rilievi dopo la sparatoria di Dallas
Spencer Platt/Getty Images
Secondo lei, da qui alle prossime elezioni come evolverà la situazione? Ci sarà un inasprimento legato alle prossime elezioni?
Delle elezioni non importa nulla né ai manifestanti, né ai poliziotti. Né Trump né Hillary Clinton hanno soluzioni per problemi di questo tipo che richiederebbero, prima di tutto, un vasto consenso tra la Presidenza e il Congresso. La Presidenza è nelle mani dei democratici, il Congresso è nelle mani dei repubblicani e presumibilmente questa situazione resterà immutata dopo le elezioni dell’8 novembre. E comunque nessuno dei due candidati ha fatto proposte che tentino di immaginare soluzioni diverse. Si può solo sperare che non ci siano delle altre insurrezioni urbane su vasta scala, come peraltro accade precisamente in estate. Un'estate di riots in tutte le grandi città con una forte segregazione, come Los Angeles, Chicago, Baltimora, è non solo possibile ma perfino probabile.
Come leggere il fatto che Obama vada a Dallas?
Il fatto che Obama vada a Dallas è un tentativo di usare il suo carisma personale per tranquillizzare la situazione, ma anche il suo carisma potrebbe non essere più sufficiente.
IMMAGINE IN COPERTINA: Manifestazione a Baton Rouge, Louisiana. Fotografia di Mark Wallheiser/Getty Images
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