Welfare
State pronti, arriva il passaporto reputazionale
La puntata sul numero del magazine sul numero di Vita di luglio e agosto di “Sharing idee sulla weconomy” la rubrica di Ivana Pais
di Ivana Pais
La prima volta che ho preso 4 stelline ho protestato un sacco: mi ha messo un buon commento, ha detto che sono un’ottima autista e che l’ho accompagnata fino sotto casa, e poi mi ha messo 4 stelline! Con tutte le 5 stelline che avevo sempre avuto erano le mie prime 4 stelline e il rating è calato a 4,9». Sono le parole di un’autista di una piattaforma di carpooling, ma la preoccupazione per le “stelline” riguarda una varietà sempre più ampia di attività quotidiane.
La customer satisfaction, che in passato era riferita all’organizzazione che erogava un servizio, ora è sempre più individualizzata.
Tra le tante questioni aperte ce n’è una che sta emergendo con forza nel dibattito: se una persona investe tempo ed energie per mantenere le “5 stelline” su una piattaforma, difficilmente poi si sposterà su un’altra, dove dovrebbe ripartire da zero. Questo vale soprattutto per chi lavora attraverso piattaforme, che può negoziare un compenso più alto in relazione alle valutazioni ricevute. Sono ormai numerosi i casi di piattaforme che, dopo aver investito nell’acquisizione clienti, una volta che questi sono fidelizzati alla piattaforma, cambiano le condizioni di lavoro e di servizio.
La soluzione che sta incontrando più consensi in ambito giuridico è la portabilità della reputazione. La proposta poggia sulla “General Data Protection Regulation”, approvata con Regolamento UE nel 2016, con cui l’Unione Europea ha introdotto la portabilità dei dati: ogni cittadino europeo ha diritto di ricevere i dati personali forniti a un titolare, in un formato strutturato, di uso comune e leggibile da dispositivo automatico, e di trasmetterli a un altro titolare del trattamento senza impedimenti. I giuristi che sostengono la portabilità della reputazione ritengono che potrebbe funzionare nello stesso modo e prevedono la nascita di startup specializzate nella costruzione di “passaporti reputazionali”.
Nel passaggio all’operatività bisogna considerare i limiti di questa proposta: finora, le piattaforme si sono rifiutate di comunicare i propri algoritmi reputazionali, ritenendo che la trasparenza possa favorire gli imbrogli. Ci sono poi problemi tecnici: il lungo e spesso inconcludente dibattito sulla trasferibilità delle competenze non formali dovrebbe servire da monito a soluzioni facili sulla carta ma di difficile applicazione. Se questo non bastasse, dove non arrivano i libri e l’esperienza, viene in soccorso l’immaginazione. Tra gli scenari distopici proposti dalla serie tv Black Mirror c’è un episodio sugli algoritmi reputazionali che affronta il problema più serio: quello della portabilità non da una piattaforma all’altra ma da un ambito all’altro. I punteggi presi sulle singole piattaforme sono facilmente riconducibili a un rating complessivo, che potrebbe avere valore anche in ambiti distanti da quello in cui sono state ottenute le singole valutazioni. Un mondo in cui per avere un mutuo o trovare lavoro vengono considerate anche le stelline prese come autista su una piattaforma di carpooling non è solo futurologia.
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