Politica

Stasera, inviterò le mie figlie a scrivere un diario, ma non su FB

di Riccardo Bonacina

 

Sono reduce dal Premio Pieve Saverio Tutino, dal nome del paese, Pieve Santo Stefano, in cui  (qui più informazioni) l’Archivio è cresciuto dal 1984 ad oggi, e dal nome dello scrittore e giornalista che fortissimamente lo volle, prima come intuizione e poi come realtà divenuta a poco a poco vero “bene comune”. Oggi, dopo 28 anni, il patrimonio della Fondazione Archivio diaristico nazionale (oltre 6.500 documenti autobiografici catalogati e schedati a disposizione di tutti) è nel Codice dei Beni culturali del nostro Paese.

Nella foto il vincitore dell’edizione 2012 del Premio,  Castrenze Chimento, nato ad Alia (Palermo) nel 1935, nella sua memoria racconta episodi avvenuti tra il 1940 e il 1956. Lo fa con grande intensità e, si legge ancora nella motivazione, “traducendo l’oralità sulla pagina, testimonia la fiducia nel potere ‘sacrale’ della scrittura”. A colpire in particolar modo la Giuria inoltre è stata la sua volontà di imparare a scrivere per poter poi raccontare la sua vita. L’autore infatti si è iscritto all’età di 74 anni a un Centro Territoriale Permanente per l’Educazione degli Adulti di Palermo ed è riuscito finalmente a realizzare il suo sogno. Con Marco Dotti siamo andati al Premio Pieve Saverio Tutino per presentare un’iniziativa che VITA e Archivio dei diari hanno deciso di lanciare, si intitola Storie di VITA e si sostanzia nel chiedere a donatori, cooperanti, volontari di inviare le loro lettere, i loro manoscritti che verranno raccolti inaugurando una sezione speciale dell’Archivio e poi pubblicati. Sino a qui la cronaca, ora permettetemi qualche considerazione suscitata dall’emozione dovuta all’essermi immerso per quasi due giorni in un luogo così ricco di storia e di Storia.Già, perchè è davvero emozionante arrivare a Pieve Santo Stefano e sentire le tante storie di vita rincorrersi per le piazzette e le vie in forma di intervista o di racconto, o di spettacolo. È davvero emozionante entrare nella librearia del Festival o nel palazzo dove ha sede la mostra dei Diari, manoscritti o dattiloscritti, e persino su un grande lenzuolo come quello di Clelia Marchi, qui sotto nella foto. Così Saverio Tutino ricorda il suo arrivo a Pieve: «Arrivò a Pieve Santo Stefano un giorno d’inverno del 1986, col suo lenzuolo sotto il braccio. Era venuta in treno fino ad Arezzo. Era scesa dalla corriera, con l’aria compunta e festosa delle donne già avanti negli anni, che hanno trascorso una vita intiera senza mai uscire dal loro comune di nascita. Un viso bello, incorniciato da una capigliatura canuta e ben pettinata, le trecce attorcigliate, gli occhi sfavillanti. Portava l’età indefinita di una capofamiglia contadina vestita bene per una cerimonia». [dalla prefazione di Saverio Tutino a “Gnanca na busia” di Clelia Marchi. Fondazione Mondadori, 1992]

Proprio il lenzuolo di di Clelia Marchi ci aiuta a capire il perchè di tanta sincera emozione, la prima riga inizia così: “Care persone fatene tesoro di questo lenzuolo che c’è un pò della vita mia”. Ecco il diario, o la lettera manoscritta, autografa è tutt’altro dalla condivisione in tempo reale del proprio stato come si usa sui social. Il prendere carta e penna implica almeno due cose. La prima è la fuoriuscita dall’illusione del tempo reale e della condivisione virtuale e subito per guadagnare uno spazio intimo in cui viaggiare anche dentro di sè, per trovare un filo di senso al racconto che è ciascuna storia e biografia, per provare a mettere in fila le cose, per fermare emozioni, paure, gioie, scoperte. La seconda è che il farlo, il mettersi a scrivere riposa sulla certezza di un interlocutore che non sconci, non “usi”, non venda quello scrivi ma che al contrario, lui stesso guadagni un altro spazio-tempo intimo (interiore), quello della lettura. E se non sarà ora (now) sarà domani, ci sarà qualcuno che non si limita al “piace” o “non piace”. Come ha scritto Clelia sul lenzuolo “Care persone fatene tesoro di questo lenzuolo”.

Già qualcuno potrebbe obiettare che anche Facebook ormai si è reimpaginata in diario, così come altri social. Vero, ma siete così tranquilli nel cedere la sovranità, anzi la proprietà della vostra memoria e della vostra biografia? Cederla al signor Facebook o Google, o ad altre società di profitto. Siamo impegnati sulla difesa della biodiversità, stiamo attenti intando che non ci deprivino della memoria personale e collettiva. Per tutte queste ragioni, stasera chiederò alle mie figlie di iniziare un Diario.

Questi pensieri mi ha suscitato il Premio Pieve, autentica testimonianza del valore della memoria e dell’importanza delle biografie sulle ideologie perchè il racconto della Storia fatta dalle persone e dal loro quotidiano ci dice molto di più di Wikipedia o di un libro di testo.

In un’intervista Tutino giustamente osservava: “Pieve Santo Stefano è il luogo di incontro di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di non diventare personaggi restando semplicemente persone”. Ed è esattamente così, persone capaci di raccontarsi, cioè raccontare se stessi ad altri. Come scriveva Hanna Arendt «La principale caratteristica di questa vita specificamente umana è di essere sempre piena di eventi che in definitiva si possono raccontare come una storia, una biografia (…) tutti i dolori possono essere sopportati se vengono messi in racconto».

Saverio Tutino ci ha lasciato il 28 novembre dello scorso anno, e questa edizione del Premio Pieve era la prima senza di lui, ma la sua creatura si è dimostrata matura, solida, necessaria come non mai. Mi piace pensare che ora Saverio Tutino sia in Paradiso a cantare insieme a Giorgio Gaber, Chiedo scusa se parlo di Maria.

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