Welfare
Startupper, il Comune di Milano vi paga la scrivania
Cristina Tajani, assessore allo Sviluppo economico della giunta Pisapia, prende spunto dall'iniziativa dei voucher per il co-working e presenta tutte le iniziative che fanno della metropoli la capitale della sharing economy italiana
Cristina Tajani ha 34 anni. Ha la stessa età delle centinaia di giovani startupper e innovatori sociali che costituiscono la spina dorsale delle iniziative di sharing economy. E se anche la realtà che Tajani guida – l’assessorato alle Politiche per il lavoro, Sviluppo economico, Università e ricerca del Comune di Milano – non può essere proprio considerata una start-up, l’impostazione che da assessore ha dato alla gestione delle sue deleghe relative al fronte innovazione rispondono a quelle logiche di condivisione e networking che stanno alla base della filosofia sharing. A partire da quello che è il fiore all'occhiello della sharing economy milanese, il co-working. Decine di spazi più o meno affermati, tanti giovani professionisti e startupper che hanno scelto di sviluppare la propria idea partendo da una scrivania condivisa.
Assessore, sul fronte dell’innovazione sociale le sue sono deleghe chiave: definizione degli indirizzi per l’implementazione e sviluppo delle esperienze degli incubatori delle imprese innovative, Coordinamento in materia di smart cities, Innovazione e Agenda digitale. Con questo fardello di leve tra le mani, da dove si comincia per portare una metropoli come Milano nel futuro?
Il primo passo è stato rinnovare il catalogo degli interventi possibili in tema di lavoro e di sviluppo. Il che ci ha costretto subito a un cambio di passo. In genere infatti le amministrazioni comunali si muovono con strumenti tradizionali, lo sportello lavoro, eccetera, ma il contesto di crisi economica in cui ci siamo trovati a operare ci ha in qualche modo costretto a intervenire in modo aperto. Iniziando non dall’azione, ma dall’ascolto. E immaginando poi interventi che potessero agevolare quei processi che naturalmente – per l’intraprendenza della società civile, e di tanto Terzo settore, erano già in atto nella città. Un esempio riguarda proprio il tema del co-working. In prima battuta l’idea era quella di promuovere la nascita di spazi di co-working pubblici, gestiti dal Comune. Ma proprio l’ascolto degli operatori già attivi ci ha orientati piuttosto a fare una mappatura delle iniziative già attive e a trovare il modo per sostenerle e valorizzarle. Oggi abbiamo 25 realtà di co-working accreditate, e abbiamo messo a disposizione voucher da 1.500 euro spendibili dagli utenti in uno di questi spazi. Un progetto su cui il Comune ha stanziato 200mila euro, e altri 100mila la Camera di Commercio. Vuol dire coprire la metà di un affitto annuale di uno spazio di coworking.
Sul co-working Milano è all’avanguardia. È davvero uno strumento utile per produrre impresa?
Sono esperienze ancora troppo giovani per tirare le somme dal punto di vista economico. Di sicuro uno spazio di lavoro condiviso aiuta creare reti e network professionali che rafforzano le persone quando poi, con la propria impresa o idea di impresa, si presentano sul mercato. Soprattutto in una città come Milano, molto terziarizzata, dove il networking professionale dà un valore aggiunto alle persone, apre opportunità.
Un altro strumento d’azione concreto messo in campo su iniziative di economia condivisa è la Fondazione Welfare Ambrosiano. Si tratta di un ente, di cui fanno parte insieme al Comune anche la Provincia, la Camera di Commercio, Cgil Cisl e Uil, creato dalla Giunta Moratti, e con il quale noi nel 2011 siamo partiti con il progetto Microcredito. Oltre alla linea di credito per le persone in difficoltà temporanea, abbiamo previsto linea di finanziamento da 25mila euro, per un totale di 700mila euro, per chi vuole sviluppare un’idea di impresa. E, forse anche per il tipo di finanziamento, tante delle realtà che sono nate hanno un forte contenuto sociale, e di condivisione, anche al di là del mondo digital. Per esempio, gli asili di quartiere.
Qual è la difficoltà più grande che, in una città come Milano, incontra chi dà vita a iniziative di social innovation e di economia condivisa?
Quello di riuscire a fare massa critica con altre realtà. Sono realtà fragili, che se si muovono singolarmente sono ad alto rischio. Per questo siamo attenti alle realtà come hub di impresa e incubatori. Siamo partner del progetto SpeedMeUp, con Camera di Commercio e Università Bocconi, e del PoliHub con Politecnico, due incubatori che ci hanno visto partecipare non solo con risorse ma anche con la condivisione del progetto. Sempre come Fondazione Welfare abbiamo avviato l’iniziativa dell’incubatore di imprese sociali a Quarto Oggiaro, in un quartiere periferico. Gli spazi e parte delle risorse di avvio sono comunali, abbiamo individuato tramite bando un ente gestore – ad aggiudicarsi il bando sono stati The Hub e una cordata guidata dalla Fondazione Brodolini – e ora stiamo procedendo al bando per le imprese da incubare. Abbiamo scelto di non essere vincolanti, di non mettere una discriminante tra imprese profit e non profit, perché è una distinzione che ha forti limiti. Oggi si comincia a parlare di imprese low-profit; è questo il nostro target.
Detto da una delle “capitali europee” di questo processo: smart city e sharing economy parlano la stessa lingua?
Sono sicuramente due temi che si tengono. Per esempio, il nostro intervento sul tema degli open data e della messa a disposizione delle informazioni digitali della Pubblica amministrazione sono molto d’aiuto allo sviluppo di tante start-up digitali che producono applicazioni o soluzioni digitali di servizio per i cittadini. Il 10 ottobre si chiuderà il contest AppForMe, aperto alla migliore idea di app che consenta di “vivere meglio” la città, nel campo dei trasporti, della cultura, del tempo libero, del sociale. Bene, sono arrivate 64 candidature. Se pensiamo che in un contest identico, fatto a New York, le candidature arrivate sono state solo 50….
Sul numero di ottobre di Vita, disponibile in edicola e per gli abbonati, l'inchiesta completa sui protagonisti e il valore economico della sharing economy in Italia.
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