Famiglia

Starita: «Aumentano le crisi adottive, famiglie, chiedete aiuto»

Negli ultimi due anni sono aumentate le crisi adottive, che si verificano pochi mesi dopo l'arrivo in Italia di un figlio tanto desiderato e atteso. «Pesano i tempi più brevi di conoscenza nel paese estero e un inserimento in famiglia senza il supporto delle altre agenzie educative», dice Vincenzo Starita, vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali. Un tema delicatissimo, che il nuovo numero di Vita affronta

di Sara De Carli

Entro la fine dell'anno dovrebbe arrivare a conlcusione la ricerca in corso sulle crisi adottive verificatesi tra il 2014 e il 2019: ma quel che è certo, al di là dei numeri, è che in questi ultimi due anni c'è un aumento delle situazioni di crisi, legate alle difficoltà di inserimento dei minori nelle famiglie. Per Vincenzo Starita, vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali, «la cosa più importante è che le famiglie non nascondano le difficoltà e che chiedano aiuto. In molti casi vediamo coppie stanche del percorso che hanno affrontato per portare i bambini in Italia, lungo, con mille peripezie e quando rientrano vorrebbero isolarsi da questo mondo fatto di enti, associazioni, servizi che vivono come intrusivo. Tendono a chiudersi. Invece è fondamentale avere una rete attorno. Capire che l'intervento dell'ente e dei servizi è appunto a servizio della famiglia, a supporto, non una ingerenza nella loro vita famigliare». Un tema delicatissimo, che Vita affronta nella copertina del numero di febbraio, tutta dedicata al rilancio degli strumenti di accoglienza per i tanti bambini che in tempi di Covid hanno ancora più urgentemente bisogno di una famiglia.


Vicepresidente, nel 2021 le adozioni concluse sono state 563. Possiamo attribuire questi numeri ancora alle difficoltà legate al Covid o si tratta ormai della nuova dimensione quantitativa che dobbiamo aspettarci per le adozioni internazionali in Italia?
Sono numeri sicuramente legati al Covid, per una pluralità di motivi. Innanzitutto il fatto che nel 2021 abbiamo ancora importanti paesi di origine che hanno avuto una riduzione sensibile delle adozioni rispetto al 2019, in particolare penso alla Repubblica Popolare Cinese che in questo momento tiene ancora sospese le adozioni e alla sospensione che c’è stata dalla Federazione Russa nei primi sei mesi del 2021. Accanto a queste sospensioni abbiamo avuto la gran parte dei paesi asiatici in cui le adozioni hanno subito una forte riduzione, perché nell’estate 2021 la variante Delta ha colpito quelle zone in maniera molto forte e paesi come l’India o il Vietnam hanno disposto lockdown generalizzati che hanno portato problematiche negli spostamenti. Noi stessi abbiamo consigliato di non recarsi in questi paesi, per un certo periodo. Per il Vietnam sono stati organizzati due viaggi, sotto la direzione dell’ambasciata spagnola, di concerto con tutti i paesi occidentali interessati e sotto la supervisione dell'autorità centrale vietnamita. In generale il numero di adozioni è nettamente inferiore a quello normalmente riguarda quei paesi di origine e queste sono le cause.

Di fatto poi il Covid nel 2021 ha continuato a imperversare e anche dove non ci sono state chiusure nette o sospensioni come quelle appena citate è un dato di fatto che le attività degli uffici si sono rallentate: l’adozione internazionale è legata sia ad attività burocratiche amministrative che a viaggi e spostamenti e su questo ovviamente il Covid ha impattato. Solo con due paesi, per la sospensione della Cina e con la questione relativa alla Bielorussia – che ha altre ragioni e che speriamo trovi al più presto soluzione – abbiamo un centinaio adozioni in meno rispetto al 2019.

Cosa ci aspettiamo per il futuro? Di assestarci a quante adozioni?
Di fronte a un miglioramento della situazione sanitaria, che però si vedrà comunque dall’estate, spero che questi numeri possano aumentare. Possiamo sperare di tornare ai livelli del 2018/19, ma ci vorrà un po’. Il lavoro per tornare a un miglioramento sensibile dei numeri – perché è vero che nel mondo ci sono bambini che hanno bisogno di padri e di madri – è già iniziato ma per vederne i frutti ci vorranno come minimo 2 o 3 anni.

In alcuni paesi, in cui le adozioni stanno proseguendo e che hanno possibilità di sviluppo, ma sono presenti solo 1 o 2 enti autorizzati, abbiamo avviato delle interlocuzioni perché si possa aumentare il numero enti accreditati. Ci sono Paesi che mi raccontano di avere un centinaio di bambini da collocare in famiglia, per cui non riescono a trovare disponibilità. Il secondo filone di lavoro riguarda l'apertura di nuovi paesi o la riapertura in Paesi in cui già eravamo ma che negli anni scorsi si sono di fatto chiusi

Vincenzo Starita, vicepresidente della CAI

Sulle adozioni internazionali impattano per definizione le decisioni dei Paesi esteri e sempre più emerge la difficoltà ad operare in un contesto che vede paesi chiudere o di fatto rallentare moltissimo le adozioni. Qual è l’impegno del nostro Paese sul versante dei Paesi esteri e nell’apertura di nuovi paesi? Perché il bisogno di famiglia, nel mondo c’è.
Stiamo lavorando in due direzioni. In alcuni paesi, in cui le adozioni stanno proseguendo e che hanno possibilità di sviluppo, ma sono presenti solo 1 o 2 enti autorizzati, abbiamo avviato delle interlocuzioni perché si possa aumentare il numero enti accreditati. Ci sono Paesi che mi raccontano di avere un centinaio di bambini da collocare in famiglia, per cui non riescono a trovare disponibilità. Il secondo filone di lavoro riguarda l'apertura di nuovi paesi o la riapertura in Paesi in cui già eravamo ma che negli anni scorsi si sono di fatto chiusi, come la Cambogia o la RDC. Ci sono trattative in stato avanzato per la ripresa. Abbiamo poi avviato un contatto stretto con il MAECI per iniziative comuni, lo sforzo è riportare l'adozione a un ruolo di maggiore centralità nell'ambito delle relazioni internazionali, così che il più possibile negli incontri e nelle relazioni con paesi esteri si possa discutere anche della questione delle adozioni. È evidente – e ci tengo a sottolinearlo – che quando si parla di paesi nuovi un conto è che questi siano firmatari della Convenzione dell’Aja, mentre con quelli non firmatari è più complesso. C’è tanto bisogno di famiglia, è così e dobbiamo farcene carico, però esistono varie forma di sostegno e aiuto all’infanzia abbandonata: possiamo fare tanto con i progetti di cooperazione e stiamo tentando di intervenire in questo senso anche con il nuovo bando, che è già stato approvato dalla Commissione e che prevede risorse maggiori (quasi 10 milioni di euro) su più territori e più ambiti. Ma quando parliamo di adozione dobbiamo operare con paesi che diano garanzie assolute.

Già a luglio, in un convegno, lei diceva “attenzione a fare buone adozioni, perché il fenomeno delle restituzioni aumenta sempre più”. Le comunità e le associazioni di genitori dicono che stanno aumentando le situazioni di crisi adottive. Si sente anche di bambini appena arrivati, per cui non viene nemmeno trascritta la sentenza di adozione. È un tema delicatissimo, ma che non si può far finta di non vedere. Dal suo osservatorio, cosa ci può dire in proposito? Come la CAI sta lavorando su questo bisogno dei bambini e delle famiglie?
La Commissione, con l'Istituto degli innocenti e in collaborazione con i Tribunali per i Minorenni, ha avviato da tempo – c’era la dottoressa Laera – un progetto molto ambizioso, una ricerca sulle crisi adottive. Riguarda gli anni 2014/2019 e speriamo che quest’anno il lavoro arrivi a compimento, dandoci una fotografia. Questa ricerca innanzitutto è stata organizzata in maniera tale da inserire dei quesiti specifici nel sistema Sigma dei Tribunali per i Minorenni, per individuare in maniera capillare i fascicoli interessati da crisi adottive. Una ricerca di questo tipo ha un duplice obiettivo: avere un numero significativo di dati così da poter immediatamente passare a fare un’analisi scientifica, che deve portare anche all’individuazione dei fattori di rischio, dei fattori predittivi della crisi. In questo senso la collaborazione dei Tribunali per i Minorenni è essenziale: è un lavoro che non interessa solo la Commissione, ma anche i servizi sociali, i Tribunali per i Minorenni, gli enti autorizzati e le associazioni. Non può che essere un lavoro sinergico. Occorrerà ragionare insieme sui risultati per individuare i fattori predittivi. L'esperienza insegna che le crisi possono essere risolte intanto quando c’è una tempestività dell'intervento di sostegno, più è tardi più si corre il rischio che l’allontanamento del minore da temporaneo diventi definitivo. La speranza è poi quella di poter in media ogni 2/3 anni avere un aggiornamento costante, per studiare i mutamenti, gli elementi di novità ecc.

L'esperienza insegna che le crisi possono essere risolte intanto quando c’è una tempestività dell'intervento di sostegno, più è tardi più si corre il rischio che l’allontanamento del minore da temporaneo diventi definitivo. La speranza è poi quella di poter in media ogni 2/3 anni avere un aggiornamento costante

In questo periodo però vede o no un aumento delle crisi adottive e anche delle situazioni più estreme come gli allontanamenti e le restituzioni?
Si è verificato un aumenti di restituzioni, ma non voglio creare un allarme, parliamo comunque di numeri ridotti. Più che di fallimenti – che è il momento finale, definitivo – quello che si è verificato in questi due anni è un aumento delle situazioni di crisi, legate alle difficoltà di inserimento dei minori nelle famiglie: per questo non mi pare opportuno dare il numero dei provvedimenti di allontanamento, perché sono tutte situazioni in divenire, che speriamo trovino una soluzione positiva. Sarebbe inesatto prendere quei numeri per parlare di un aumento dei fallimenti adottivi.

Quali pensa siano le ragioni di questo seppur contenuto aumento delle crisi adottive?
In questo momento di emergenza è accaduto che il periodo di conoscenza tra la famiglia e il minore sia stato accelerato: si consigliava di rientrare quanto prima per ridurre le possibilità di contagio, però la riduzione del periodo di conoscenza, soprattutto con minori portatori di special needs o in età avanzata, ha influito anche sull'intensità della conoscenza reciproca, che forse oggi è un po’ inferiore. Una conoscenza più serena, con tempi più lunghi a volte portava a rendersi conto di alcune cose e a rinunciare all’abbinamento. L’abbinamento deve essere un momento particolarmente curato.

Il momento critico quindi è proprio l’inizio, nei mesi subito successivi all’arrivo?
Intanto tutti sappiamo che in questi due anni tutti i bambini, preadolescenti e adolescenti hanno vissuto un momento di grande difficoltà perché si sono trovati senza scuola, senza sport, senza socializzatione… Questi ragazzi – capita più spesso con i preadolescenti che con i bambini più piccoli – si sono trovati a doversi inserire in un nucleo familiare senza poter avvalersi delle altre agenzie educative, io e la famiglia e basta. Sono mancati – non sempre e non ovunque – i supporti esterni e la famiglia si è trovata a gestire situazioni che da sola non è in grado di affrontare. Nella stragrande maggioranza dei casi le cose hanno funzionato, ma ci sono situazioni particolarmente delicate in cui anche l’ente da solo o il servizio sociale da soli non riescono a dare supporto, ci vuole un lavoro sinergico tra tutti. Ho in mente la situazione di un ragazzino in cui le questioni burocratiche dopo l'abbinamento andavano davvero per le lunghe, la famiglia ha scritto più volte, tutti hanno fatto uno sforzo enorme, la famiglia ha affrontato un viaggio complicato… un mese e mezzo dopo il suo arrivo, il ragazzino era in una comunità.

Come si previene questo dolore?
Con la formazione della coppia, che più è preparata più è in grado di fronteggiare meglio la situazione emergenziale. La cosa più importante forse è proprio che non nascondano le difficoltà e che chiedano aiuto. In molti casi vediamo coppie stanche del percorso che hanno affrontato per portare i bambini in Italia, lungo, con mille peripezie e quando rientrano vorrebbero isolarsi da questo mondo fatto di enti, associazioni, servizi che vivono come intrusivo. Tendono a chiudersi. Invece è fondamentale avere una rete attorno. Capire che l'intervento dell'ente e dei servizi è appunto a servizio della famiglia, a supporto, non una ingerenza nella loro vita famigliare.

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