Welfare

Stakeholder e Big Society al dunque

di Flaviano Zandonai

Sinceramente non avevo mai capito bene la differenza. Ad uno sguardo superficiale gli slogan che avevavo portato al potere rispettivamente Tony Blair e David Cameron sembravano abbastanza simili. Un deciso investimento sulle organizzazioni della società civile non come ruota di scorta di Stato e mercato ma come modalità alternativa per assicurare la produzione di beni e servizi in settori chiave: sanità, educazione, inclusione, lavoro, ecc. Poi mi è venuto in soccorso il “dunque”, ovvero quando le strategie stringono intorno alle decisioni. E si è manifestato in forma di notizia: il nuovo governo tories vuole tagliare i contributi alla Social Enterprise Coalition. Un bruscolino da 500mila puonds l’anno. Perché? Il ministro competente dice di voler sfoltire le partnership strategiche con le reti nazionali della società civile (attualmente una quarantina) e puntare direttamente al sostegno delle singole iniziative sul campo. Ecco quindi la differenza: il modello labour preferiva il dialogo con gli stakeholder istituzionali siglando accordi di collaborazione con le loro “umbrella organizations”. La Big Society taglia i livelli intermedi e si concentra, per dirla all’italiana, sulla sussidiarietà orizzontale. Meglio? Peggio? Odio le vie di mezzo ma credo non vi sia un’opzione vincente in assuluto. Bisognerebbe rifletterci meglio. Magari anche nel nostro paese (e qui permettetemi la solita morale italiota): gli inglesi possono permettersi di smantellare un sistema di relazioni sul quale hanno investito consistenti risorse pubbliche per sostituirlo con un altro. “Qui da noi” l’alternativa non si pone, perché manca sia uno che l’altro.

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