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Srebrenica: verdetto definitivo sul massacro

A vent’anni da Srebrenica, il più efferato massacro in Europa, dall’Olocausto ad oggi, la corte del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, si riunisce per la sentenza d’appello di cinque imputati, appartenenti alle alte sfere dell’Armata Serbo Bosniaca. Un verdetto aspettato da migliaia di madri, figlie e sorelle.

di Ottavia Spaggiari

E’ previsto per il 30 gennaio il verdetto definitivo per cinque uomini coinvolti nel massacro di Srebrenica, la pagina più violenta della storia d’Europa dall'Olocausto a oggi.

Oltre 8 mila uomini e ragazzi, musulmani bosniaci furono uccisi dalle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic con l’appoggio dei gruppi paramilitari guidati da Arkan, nella zona di Srebrenica, territorio allora sotto tutela delle Nazioni Unite. Alcuni degli imputati rispondevano direttamente, a Mladic che è tutt’ora imputato nel processo del tribunale penale internazionale, all’Aia. 

I cinque uomini, che facevano parte delle alte sfere dell’Armata Serbo Bosniaca, erano già stati giudicati colpevoli nel giugno del 2010 e oggi è prevista la sentenza del processo d’appello davanti alla corte del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia. Due degli imputati, Vujadin Popovic and Ljubisa Beara, sono stati tra i pochi, ad essere stati giudicati colpevoli per il crimine di genocidio. A loro era stato dato l’ergastolo.

Gli imputati

Vujadin Popovic

Si è dichiarato non colpevole ma nel giugno 2010 è stato dichiarato colpevole di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio e condannato all’ergastolo.

Ljubisa Beara

Si è dichiarato non colpevole ma nel giugno 2010 è stato dichiarato colpevole di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio e condannato all’ergastolo.

Drago Nikolic

Si è dichiarato non colpevole ma nel giugno 2010 è stato condannato a 35 anni, per crimini contro l’umanità, crimini di guerra e complice di genocidio.

Radivoge Miletic

Si è dichiarato non colpevole ma nel giugno 2010 è stato condannato a 19 anni per crimini contro l’umanità.

Vinko Pandurevic

Si è dichiarato non colpevole ma nel giugno 2010 è stato condannato a 13 anni per crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

Srebrenica: i fatti

Il territorio, logorato da mesi di assedio dell’esercito serbo-bosniaco, era stato dichiarato, zona protetta dell’ONU nel 1993 in seguito alle forti pressioni esercitate sui vertici ONU dal generale francese delle Nazioni Unite, Philippe Morillon.

Sfruttando l’attenzione dei media internazionali, Morillon era infatti riuscito a mettere alle strette i vertici di New York che, consapevoli dello sforzo richiesto sul territorio,  sin dall’inizio si erano opposti a dichiarare Srebrenica zona protetta. Secondo una stima di Lewis MacKenzie, primo comandante alla guida dei Corpi di Pace a Sarajevo, Srebrenica avrebbe richiesto la presenza di 135 mila caschi blu, il Consiglio di Sicurezza ONU, inviò sul posto un battaglione di 2 mila soldati.

Fu presto chiaro ai civili e ai caschi blu impiegati sul territorio che, a quelle condizioni, le Nazioni Unite non sarebbero riuscite a mantenere la promessa di protezione e sicurezza fatta dal generale Morillon.

All’inizio del 1995 la situazione era degenerata: i convogli umanitari in grado di raggiungere Srebrenica erano sempre meno e, secondo le testimonianze dei caschi blu, le scorte di cibo, medicine, munizioni e benzina avevano iniziato a scarseggiare anche nel battaglione ONU Dutchbat. Negli ultimi mesi, lo stesso battaglione aveva visto le proprie file ridursi rapidamente. A molti soldati che abbandonavano l’enclave in licenza o per pattugliare le zone circostanti non era più permesso di ritornare.

L’8 luglio, all’inizio dell’offensiva serba, i caschi blu rimasti a Srebrenica erano 400 e le richieste di rinforzo aereo avanzate dal battaglione non ricevettero risposta.

Nei giorni immediatamente successivi, per fuggire all’avanzata dell’esercito serbo tra i 20 mila e i 30 mila civili cercarono rifugio nel quartier generale dei caschi blu a Potocari. Alcune migliaia di civili riuscirono ad entrare nella base, la maggior parte donne e bambini ma si stima che vi fossero anche almeno 300 uomini. Quando i soldati olandesi dichiararono che la base era piena e non poteva più accogliere nessuno, migliaia di persone si accamparono nelle zone circostanti, mentre alcune migliaia di uomini bosniaci fuggirono sulle montagne, diretti al nord, verso i territori sotto controllo bosniaco.

Dopo una lunga trattiva tra il generale serbo Ratko Mladic e il comandante del battaglione olandese, Thom Karremans, i caschi blu decisero di collaborare alla deportazione dei civili e alla divisione degli uomini dalle donne.

Il 13 luglio circa 5 mila civili rifugiati nella base di Potocari furono costretti dai soldati olandesi a lasciare la base.

In poco più di 30 ore, circa 23 mila tra donne e bambini vennero caricati sugli autobus e portati a Tisca, qui venne permesso loro di scendere e raggiungere Kladanj, un paese in territorio bosniaco. Secondo alcuni testimoni non tutti i deportati riuscirono a raggiungere il paese. Alcuni autobus vennero dirottati verso destinazioni sconosciute, dei passeggeri si sono perse le tracce ma il numero degli scomparsi, ancora oggi, non è chiaro.

Gli uomini dai 12 ai 77 anni erano stati separati dal resto dei civili e trattenuti con la promessa di essere portati a Kladanj dopo essere stati interrogati dall’esercito serbo.

Nessuno di loro uscì vivo da Srebrenica.

Le vittime del massacro furono 8.372, solo poco più di 6.000 sono state riconosciute. Migliaia di salme esumate dalle fosse comuni aspettano ancora di essere riconosciute. Ancora oggi si continua a scavare per trovare i corpi delle persone scomparse.

Le condanne

Nel 2004 il verdetto unanime del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia con sede all’ Aia ha dichiarato che il massacro degli uomini bosniaci di Srebrenica costituisce genocidio.

Nel 2006 il governo olandese premiò con una medaglia al valore, i 400 caschi blu impegnati nella disastrosa missione di Srebrenica, sollevando le proteste delle associazioni dei parenti delle vittime e del governo della Bosnia-Herzegovina.

A luglio 2014, il tribunale dell’Aia ha giudicato lo stato olandese responsabile civile della morte dei 300 uomini e ragazzi musulmani, rifugiatisi nella base di Potocari, riconoscendo che i caschi blu avrebbero potuto salvarli e che avevano deciso di consegnarli all’esercito serbo, pur sapendo che costringendoli a lasciare la base, li avrebbero condannati a morte.

 

Foto di: Sean – Fonte: AFP/Getty Images


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