Famiglia

Spot Telethon, uno spot che fa storia

Un marchio importante a una campagna pubblicitaria di Omnitel Vodafone legato ai temi dell'handicap

di Franco Bomprezzi

Ci si può ancora emozionare per uno spot? A me è successo, proprio quando ero chiamato a commentarlo in modo professionale durante la conferenza stampa di presentazione. Più che emozionarmi, mi sono sinceramente commosso. Per un attimo, si intende. Ma quanto basta. Perché per la prima volta, in trenta secondi, ho visto scorrere in sequenza immagini forti, dolci, serie, ironiche, positive, intelligenti. Per la prima volta della disabilità si è percepita un?immagine giusta e in progresso, scandita da record silenziosi ma importanti. I record di chi ogni giorno fatica, ma vince. Un?ora per nuotare, 200 grammi di peso da sollevare, 20 centimetri di un gradino da superare. Tre storie vere, con tre persone disabili vere, a raccontare la verità di una vita in salita eppure positiva. E poi, velocemente, la bellezza folgorante ma trattenuta di Megan Gale, che ti guarda negli occhi, reggendo in mano un cronometro, per scandire l?altro tempo, quello della ricerca scientifica per debellare le malattie genetiche. E infine l?invito a chiamare il 190, nei giorni di Telethon, per essere protagonisti di un nuovo record, di una nuova vittoria. Nel raccontare questo spot ho impiegato assai più di trenta secondi. È la magia dell?immagine. Niente pietismi, nessun effetto speciale, ma solo, finalmente, il desiderio di raccontare e di rappresentare una realtà difficile e misconosciuta. Sto parlando di una campagna pubblicitaria senza precedenti nel nostro Paese, perché a realizzarla, e a distribuirla nei quotidiani, nelle riviste, nei circuiti televisivi, non è un ente di Stato, ma un?azienda privata di grande nome, la Omnitel Vodafone, quest?anno a fianco di Telethon, prima, durante e dopo la maratona sulla reti Rai, il 14 e 15 dicembre. Nessuno, fino ad oggi, aveva abbinato un marchio importante a una campagna pubblicitaria legata ai temi dell?handicap. Forse per pudore, ma più probabilmente per una convinzione radicata, che sconsiglia nel marketing questo accostamento, in Italia non si è mai visto uno spot di questo genere, al di fuori delle campagne sociali. Spero che questo esempio non rimanga isolato, spero che gli sforzi dell?azienda che ha investito e creduto in questa sfida vengano premiati, non solo in termini di raccolta fondi, ma anche, perché no?, di ritorno di immagine, e di consenso attorno al marchio. Se così sarà, finalmente in Italia potremmo inaugurare un circuito virtuoso della pubblicità, senza falsi pudori, senza ipocrisie, ma con la consapevolezza che le grandi aziende dovrebbero avere della loro responsabilità sociale. Un principio, quest?ultimo, ben presente nella cultura anglosassone. Sono troppo ottimista?


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