Welfare

Spostare l’1% delle risorse dalla sanità al sociale. Federsolidarietà: se la cura esce dall’ospedale più servizi per tutti

I dettagli della proposta

di Maurizio Regosa

È una proposta tempestiva, quella che Federsolidarietà – Confcooperative manda all’esecutivo. Giunge nei giorni in cui Giulio Tremonti si accinge a metter testa alla manovrina da 7 miliardi che dovrebbe anticipare quella ben più consistente, circa 40 miliardi, sollecitata dall’Ue: «Spostare l’1% delle risorse dalla sanità al sociale per garantire un livello di copertura elevato». Il ragionamento, avanzato nel corso di un convegno su “Come cambia il welfare lombardo: realtà e prospettive tra imprese di comunità e reti di integrazione”, è puntuale. La spesa sanitaria è di circa 110 miliardi l’anno: se un miliardo fosse investito in servizi si creerebbero condizioni per una tutela maggiore dei cittadini, una più efficace risposta ai loro bisogni e una ripresa diversamente sostenibile.
«Serve una riqualificazione della spesa», ragiona Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà, «basta tagli lineari: occorre avviare una politica di welfare che tenga conto delle esigenze di tutti, comprese le persone non autosufficienti, le famiglie e i minori». Una proposta che ha avuto una prima verifica di realtà in Lombardia dove nell’ultimo decennio «la spesa socio-sanitaria e sociale è cresciuta meno che nelle altre regioni centro-settentrionali, il 6% contro il 21%, senza che questo significasse un arretramento», spiega Cristiano Gori, docente di Politica sociale alla Cattolica e consulente dell’Irs. Un risultato possibile grazie a interventi integrati e strutturati su più fronti. «In molti casi», prosegue Guerini, «si ricorre ad analisi specialistiche non necessarie, oppure al ricovero ospedaliero perché mancano supporti territoriali. Non si pensa che le risorse necessarie per un giorno di degenza potrebbero essere adoperate per garantire circa 30 ore di assistenza domiciliare al mese». Tuttavia continuare il percorso verso la territorializzazione della sanità, il rinnovamento della funzione del nosocomio e la strutturazione di servizi territoriali potrebbe non essere sufficiente nel lungo periodo. Quel che probabilmente va cambiato sono le logiche della spesa anche sociale. «Anche in questi anni è prevalsa la pratica del trasferimento monetario. In ultima analisi, una pratica assistenzialistica. Si prenda la cassa integrazione in deroga. O la si gira in vere politiche attive del lavoro oppure sono soldi spesi male. Perché non usare quelle risorse per aiutare una persona in Cig ad aprire, ad esempio, un nido in famiglia?», si chiede il presidente di Federsolidarietà. È facile immaginare gli effetti di una simile integrazione (che, sottolinea Felice Romeo, presidente di Legacoopsociali Lombardia, dovrebbe coinvolgere anche le mutue e la previdenza integrativa). Stupisce che i politici non ne colgano il potenziale consenso. «Per portare avanti simili scelte», conclude Gori, «serve una leadership autorevole. Se ci si lascia condizionare da gruppi di pressione, non si faranno mai politiche simili. E poi è necessaria più informazione. Si è diffusa l’idea che il sociale costi tanto. Ma non è così».

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