Cultura

Spiritualità e politica

La perdita del futuro, delle possibilità impensate e delle utopie possibili, può essere ciò che più strettamente unisca oggi la crisi della politica e la marginalità a cui sembra condannata la spiritualità. Se ne parla in un libro, "Spiritualità e politica", edito da Vita e Pensiero

di Francesco Paolella

La perdita del futuro, delle possibilità impensate e delle utopie possibili, può essere ciò che più strettamente unisca oggi la crisi della politica e la marginalità a cui sembra condannata la spiritualità. Il dominio, ottuso e soffocante, del visibile, di ciò che c'è già, condanna a proseguire su strade già battute. Il dominio dell'economico rappresenta, come si sa, il culmine di questa continua espropriazione di ciò che è umano e delle potenzialità dell'umano in ogni uomo. Di questo si tratta nel lavoro Spiritualità e politica, a cura di Luigina Mortari, edito da Vita e Pensiero.

Dunque, cosa rimane del futuro? Quanto spazio rimane allo spirito nella vita pubblica, nella vita delle comunità umane? L'idea di avvicinare spiritualità e politica suscita subito immagini “pericolose”: teocrazie, fondamentalismi, censure… Alcuni ricorderanno, ad esempio, quanto Foucault, sbagliandosi non poco, scriveva della “spiritualità politica” così come essa era esplosa nell'Iran della rivoluzione khomeinista. Ma spiritualità e politica possono convivere in una prospettiva del tutto diversa.

Soltanto la spiritualità – che non va ovviamente rinchiusa nei limiti del sacro e delle chiese, ma che non può neppure risolversi in una semplice fuga dalla realtà, nella solitudine della mistica – può far “respirare” la vita politica degli uomini. Essa permette, in altre parole, di mantenere attivo il tesoro della creatività, dell'immaginazione, del nuovo, che è patrimonio degli uomini. Allo stesso tempo, la spiritualità umana, cioè la continua, inesauribile ricerca di ciò che non finisce e non deperisce, ci permette di preservare l'altro, l'apertura allo sguardo dell'altro, alle esigenze etiche dell'attenzione e della cura verso i bisogni degli altri. Non avrebbe senso rifugarsi nelle retoriche del bene: occorre – e oggi più che mai – mantenere viva la speranza di poter agire il bene.

Il male, la forza bruta della necessità, l'egoismo, saranno sempre con noi. Ma cosa rimane di noi senza il desiderio di una diversa realtà, di un bene finalmente vincente?

Questa raccolta di saggi, ricchi di spunti teologici e filosofici attenti appunto a non rifugiarsi nelle consolazioni della fede, rappresenta un tentativo, quanto mai inauttuale e, per questo, quanto mai potente, di tenere assieme la politica, a partire dai bisogni più minuti ed urgenti, e la vita dello spirito. Ciò che oggi manca è essenzialmente il coraggio: in ogni direzione e secondo ogni prospettiva, il mondo sembra subire l'incantesimo per il quale il mercato, il denaro, la produttività sono fini assoluti e il cui scopo ultimo è la loro stessa prosecuzione.

In secondo luogo, la spiritualità non fa altro che ricordarci i nostri limiti: la morte, la nostra incompiutezza, la fragilità che improvvisamente ci colpisce e che sempre ci minaccia, sono un antidoto doloroso all'idolatria dei poteri e delle ambizioni degli uomini. La spiritualità rimane l'unico spazio dove possano convivere le autentiche esigenze, a un tempo rivoluzionarie e conservatrici, dell'animo umano. In questo senso, ciò che ci occorrerebbe sarebbe un vero, nuovo Medioevo, una rinascita, sempre da ricreare, dell'umano nell'uomo. E servirebbe ancora di più una nuova cultura del tempo, contro la compressione di ogni momento di vita, contro l'accelerazione e la folle ricerca dell'istantaneità. Pazienza, riflessione, attesa, sono tutti strumenti di una spiritualità politica, oggi scoloriti, se non ormai scomparsi, eppure indispensabili per gli uomini.

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