Amministrazioni pubbliche che non collaborano, pianificazioni di spesa a dir poco carenti, utilizzo insufficiente dei fondi disponibili, mancato controllo della reale rispondenza delle comunità terapeutiche ai requisiti necessari per assicurare il reale raggiungimento degli obiettivi terapeutici. Queste le principali critiche mosse dalla Corte dei conti agli uffici del ministero di Grazia e giustizia chiamati dalla lgge a occuparsi del mantenimento dei detenuti tossicodipendenti nelle comunità terapeutiche e sul cui operato, per il triennio 1994/1996, la Corte ha presentato una realzione. Appena un po? più roseo il giudizio sui programmi che coinvolgono i minori e i ragazzi sotto i 21 anni con problemi di droga. Questa, a grandi linee, la situazione fotografata dall?organo di controllo sulle gestioni delle amministrazioni pubbliche. La popolazione carceraria toccata dal fenomeno tossicodipendenza è gradualmente aumentata negli anni e, di pari passo, lo Stato ha elevato l?importo dei fondi a disposizione del ministero di Grazia e giustizia per mantenere i detenuti con problemi di droga fuori dalle carceri, in strutture come le comunità terapeutiche, dove attuare un programma di disintossicazione. Peccato però che nel triennio esaminato, dei venti miliardi a disposizione ne siano stati utilizzati appena sei. E questo non per un errore del legislatore nello stimare l?entità del problema, bensì per la difficoltà negli uffici interessati (il Dipartimento per l?amministrazione penitenziaria per quanto riguarda i detenuti tossicodipendenti agli arresti domiciliari presso le comunità e i centri periferici dell?Ufficio centrale della giustizia minorile per i ragazzi al di sotto dei 18 anni) a spendere le somme stanziate e a elaborare una previsione di spesa realistica. Nel 1994, per esempio, a fruire dei servizi delle comunità sono stati poco più di 600 detenuti «mentre», si legge nella relazione, «i fondi disponibili avrebbero consentito di finanziare il trattamento terapeutico di ulteriori 500 soggetti». Le ragioni di questa sfasatura tra l?offerta reale e quella potenziale vanno ricercate nella sostanziale incapacità dell?ufficio competente di svolgere attivamente il proprio ruolo, presentandosi – almeno nei programmi riguardanti gli adulti – come mero «sportello erogatore di somme alle comunità». Comunità su cui, a quanto pare, non vigila nessuno. Una volta inserite nell?apposito elenco dei centri autorizzati, le strutture di recupero non vengono periodicamente controllate dagli uffici del ministero. Così diventa difficile assicurare sia all?autorità giudiziaria, sia agli utenti una reale affidabilità delle comunità con cui vengono siglate le convenzioni. E sì che la loro qualità è determinante per la riuscita del programma, soprattutto nei casi di persone con pendenze penali lievi e quindi con maggiori possibilità di recupero. Non solo. Secondo la Corte dei conti l?amministrazione dovrebbe stimolare i detenuti a frequentare anche le comunità meno conosciute (purché affidabili), in modo da scongiurare il sovraffollamento delle strutture più note che, per far fronte a un maggior numero di richieste, rischiano di abbassare la qualità dei servizi. Insomma, l?amministrazione dovrebbe smettere di considerarsi (e di essere considerata dalle comunità) come un semplice sportello addetto al pagamento di quanto dovuto e diventare un interlocutore attento ed esigente, con funzioni informative e di controllo. Fino ad allora, il giudizio non potrà che essere negativo.
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