Welfare

Speranza: la dimensione spirituale della cura

Un'innovativa ricerca, condotta da un'équipe interdisciplinare dell'Istituto Tumori di Milano, conferma la correlazione determinante tra speranza e qualità della vita in un contesto oncologico, mostrando che, oltre alla componente clinica, psicologica e sociale, anche quella religiosa e spirituale assume un ruolo cruciale nella configurazione di questo fattore determinante tanto nella relazione con i caregivers, quanto nella tenuta delle relazioni affettive e della stessa cura.

di Marco Dotti

Arriva dall’Istituto Tumori di Milano un’innovativa ricerca sulla speranza e sui suoi impatti sulla qualità della relazione di cura.

Pubblicata poche settimane fa su Tumori Journal (TJ), la ricerca titolata “Hope in cancer patients: the relational domain as a crucial factor” ha coinvolto 320 pazienti malati di neoplasie gravi. A condurla, un’équipe di lavoro multidisciplinare composta da oncologi, statistici, psicologi clinici e –novità – un cappellano ospedaliero, don Tullio Proserpio, della cappellania ospedaliera della Fondazione IRCCS – Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

Nei prossimi mesi, la ricerca che ha suscitato molto interesse in ambito scientifico, verrà replicata su un altro campione di pazienti a Houston, in Texas, al Methodist Hospital Research Institute.

Da almeno due decenni, “speranza” è un concetto chiave sul quale si sono orientatati la sensibilità e l’interesse della comunità scientifica, particolarmente nell’ambito delle cosiddette cure palliative. Da una considerazione della speranza in termini generali di filosofia della cura, come “proiezione del desiderio presente nell’attesa di un avvenire”, si è però passati alla riflessione su un fattore che la comunità scientifica considera oggi estremamente concreto, ma di ancora difficile misurazione. Tutti sanno che la speranza in un contesto oncologico influisce sulle relazioni di cura, ma come, quanto e, soprattutto, a comprendere quali elementi concorrano a far sì che una speranza si definisca come tale e come tale incida su quelle relazioni è la questione oggi più spinosa.

Lo studio pubblicato TJ apre una strada nuova in tal senso. Lo studio evidenzia una correlazione determinante tra speranza e qualità della vita e della cura in un contesto oncologico, mostrando un nesso non sempre evidente: dalla ricerca emerge infatti che, oltre alla componente clinica, psicologica e sociale, anche quella religiosa e spirituale assume un ruolo cruciale nella configurazione della speranza come fattore determinante tanto nella relazione con i caregivers, quanto nella tenuta delle relazioni affettive, quanto nel miglioramento complessivo dell’efficacia di quella cura.

La misurabilità della speranza – in una prospettiva fortemente critica e pertanto concreta come quella di un contesto clinico-oncologico di cura, non da intendere quindi come semplice “unrealistic optimism” – è un’altra novità della ricerca che ha dimostrato come questa si declini non in termini assoluti, ma spesso di piccoli obiettivi raggiunti: “oggi mi sento meglio”, “questa cura andrà bene”.

Il 95,3% degli intervistati afferma che sapere di non essere solo offre speranza, mentre solo l'8,1% non è affatto d'accordo nell'affermare che se altri pregano per lui/lei questo lo/la fa sentire meglio. Siamo davanti a una percentuale di persone che si dichiarano non credenti che ritengono comunque la preghiera fatta da altri, elemento in grado di far sentire meglio.

Fondamentale – si nota dalla ricerca – è l’impatto della dimensione relazionale, spirituale e religiosa sul rafforzamento della dimensione clinica.

Così, l'88% dichiara di pregare, anche se talvolta raramente (20,3%), per gli altri pazienti. Tra quanti pregano anche per gli altri pazienti, vi è una percentuale, anche se piccola 0,93%, di persone che si dichiarano non credenti. Questo conferma che anche la preghiera è vissuta e sentita come "relazione".

Molte risposte rivelano una vera esigenza in tal senso: tra le esigenze di relazione, i pazienti rivelano che, accanto a quella con famigliari, medici e personale curante la relazione spirituale è determinante per la costituzione di un ambiente dove una percentuale molto alta dichiara di “pregare per gli altri pazienti”, segno che – come evidenziano altre risposte al questionario strutturato – la dimensione della speranza in un contesto di cura è fortemente comunitaria.

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