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Spari Uniti d’America

Michael Moore, Il regista, ragazzo terribile del cinema americano, racconta ragioni e segreti di Bowling a Columbine.

di Redazione

E?il ragazzo terribile del cinema americano. Un battitore libero spregiudicato, che si diverte a rompere le uova nel paniere dei grandi poteri Usa. Non gira film ma documentari, che sono però più avvincenti della stragrande maggioranza dei film usciti da Hollywood. Il primo documentario si intitolava Roger & me. Dove Roger stava per Roger B. Smith, presidente della General Motors e ?me? sta per Michael Moore, figlio di dipendenti della più grande casa automobilistica del mondo. ?Me? si era messo in testa di chiedere al presidente Roger perché avesse lasciato senza lavoro 30mila operai a Flint, nel Michigan e tutto il documentario si consuma, tra l?esilarante e il tragico, in questo vano tentativo di trovare una ragione. Il secondo socio-documentario invece aveva come obiettivo la Nike, The Big one appunto, e l?impiego di mano d?opera minorile nei suoi stabilimenti del Sud Est asiatico. Al terzo colpo Michael Moore ha messo nel mirino l?industria delle armi americana. Il suo Bowling for Columbine, documentario dedicato alla strage commessa da due ragazzi, Eric Harris (18 anni) e Dylan Klebold (17 anni) nel loro liceo di Littleton, Colorado. Sul terreno restarono 12 allievi e un professore. Moore, sull?onda di quel fatto, ha costruito questo film documentario, appena uscito nelle sale italiane e che è stato premiato a Cannes con il Premio speciale per il 55° anniversario. Proprio a Cannes, il 22 maggio scorso, Moore aveva tenuto un?animatissima conferenza, aperta alle domande del pubblico e moderata da Elvis Mitchell, critico cinematografico del New York Times. Quella che segue è la trascrizione dei passi più salienti di quell?incontro. Elvis Mitchell: Il suo stile è un mix di giornalismo e di intrattenimento. In Bowling for Columbine (il nome del liceo della strage, ndr) si parla del possesso di armi, ma anche di razzismo e di cultura della paura. Michael Moore: Ho pensato fosse interessante passare una giornata attraverso questa cultura della paura. I giornalisti rispondono sempre sul chi, sul che cosa, sul quando, sul come. In realtà la gente si pone un?altra domanda: perché? Perché abbiamo 250milioni di armi nelle nostre case anche se la criminalità è in netta diminuzione? Pubblico: Io sono cresciuto vicino a Littleton e trovo che lei ha trattato questa tragedia con grande sensibilità. Ma cosa l?ha colpita in questa vicenda? Moore: Non è il primo episodio simile capitato in America. Ero colpito dal fatto che tutti questi episodi siano accaduti in comunità bianche e di classe media. Poi ho pensato che probabilmente nessuno sapeva spiegare perché due ragazzi dovessero compiere una strage del genere. Allora ho deciso di non concentrarmi troppo sul luogo dove era accaduta quella tragedia, ma di muovermi anche in altre piccole città, scelte a caso sulla cartina dell?America, dove ci fossero condizioni simili. Non volevo accrescere la psicosi e la paura, ma solo capire se davvero dobbiamo crescere in una cultura militare come quella in cui ci troviamo. Gli storici tra 500 anni scriveranno di noi quel che noi oggi leggiamo dei Greci o dei Romani: che erano civiltà guerriere. Noi pensiamo di essere molto più civilizzati di quei popoli antichi. In realtà, credete a me, tra qualche secolo ci descriveranno tali e quali a loro. Per questo ho voluto non insistere solo sul liceo Columbine. Del resto non è stato il peggiore massacro in una scuola: nel 1927 a Bath, in California, il tesoriere mise dinamite sotto le fondamenta causando 44 morti. Mitchell: La riflessione sulla paura è una delle questioni centrali del suo film? Moore: Proprio così. Volevo capire questo: «Di cosa noi abbiamo paura». Ho fatto un po? di ricerca autobiografica, scrivendo su un quaderno tutti i torti che ho subito in vita mia, di cui mi ricordassi. E ho notato che tutti sono stati commessi da bianchi. Non ho mai incocciato in un venditore di auto nero che mi avesse imbrogliato. In un padrone di casa nero che avesse frugato nei miei cassetti. In un maestro di colore che non mi desse un voto che avevo meritato. Ho cercato di andare indietro negli anni ma non ho ricordato un solo episodio in cui fosse un negro a farmi torto. Eppure noi abbiamo paura dei neri. Ad esempio, se noi attaccassimo una macchinetta per calcolare i battiti a un campione di uomini, registreremmo la differenza se a camminare davanti a noi ci sono tre ragazzi neri o tre ragazzi bianchi. Il tuo cuore batte più veloce se davanti hai tre ragazzi neri. Eppure tu non sei razzista. E allora cos?è entrato nella tua psicologia da condizionarti sino a questo punto? Mitchell: Come spiega che uno dei rappresentanti dell?America liberale, uno che marciò con Luther King negli anni 60, sia oggi la bandiera dell?America della paura? Moore: Lei si riferisce a Charlton Heston. Ebbene, in una discussioni che hanno preceduto quelle registrate nel film, gli ho chiesto: «Ma in che momento ti sei trasformato da liberale in conservatore?» E lui mi ha raccontato che un giorno stava girando un film, Major Dundee, in California. «Mentre guidavo ho visto un cartellone pubblicitario di Barry Goldwater, candidato alla presidenza: ?Nel tuo cuore sai che lui ha ragione?, c?era scritto. In quell?istante ho deciso di seguire il mio cuore e ho svoltato». Pubblico: La storia americana dal 1953 è una storia di interventismo. Non può essere questo che ha cambiato il modo di vivere di voi americani? Moore: Quando sono arrivato per la prima volta a Littleton ho scoperto che la maggior parte dei genitori degli allievi lavoravano presso la Lockheed Martin, il primo costruttore di armi negli Stati Uniti. Sono rimasto scioccato. Non ho fatto la connessione tra i padri che costruiscono i missili MX e i figli che devono fare stragi nelle scuole. Ma ho capito sino a che punto la cultura militare si sia insinuata nel costruirsi della società americana. Così ho chiesto a un portavoce della Lockheed se avevano mai fatto questo nesso. E lui mi ha risposto: «No, queste armi che costruiamo servono alla difesa degli Stati Uniti, noi non andremo mai a seminare bombe sulla testa della gente». Ho tagliato questa risposta, prima ancora che l?11 settembre accadesse. Dopo l?11 settembre ho sentito martellare la domanda sul perché, sul chi, sul perché ci odiano così. Allora ho mostrato una sequenza degli interventi che gli Usa hanno fatto nel mondo dal 1953 a oggi. Quella aiuta forse a capire. Mitchell: Lei ha mostrato il ?dopo 11 settembre? con la gente che correva nei negozi a comperare maschere antigas e a procurarsi armi? Moore: Sono una persona non violenta e l?unica arma in cui credo è il senso dell?umorismo. Quella scena obbedisce a questo criterio. Pubblico: Perché usa l?umorismo su temi così drammatici? Moore: Penso che l?umorismo possa essere un?arma devastante. E l?ironia è ancora più potente. Ad esempio, nello show televisivo che produco (The Awful Truth) una volta mi sono occupato del caso di un ragazzo malato, destinato a morire perché la sua assicurazione si rifiutava di coprire i costi dell?operazione. Così ho deciso di inscenare il funerale del ragazzo sui prati del quartier generale dell?Hmo, l?assicurazione in questione. Si sono talmente vergognati che hanno subito pagato e quel ragazzo oggi è vivo e vegeto. L?ironia è davvero una buona arma. Voglio incoraggiare la gente a usarla di più. Mitchell: Lei se la prende anche con la catena di grandi magazzini K-Mart? Moore: è la catena dove i ragazzini di Columbine si sono riforniti di armi. Sono andato al quartier generale di Troy, Michigan, per chiedere alla K-Mart di bloccare la vendita di armi. Ci sono andato una volta, due volte. La terza mi sono presentato con qualche giornalista e un sacchetto di pallottole che un ragazzo aveva comperato la notte prima in un magazzino K-Mart. Nel giro di qualche ora sono scesi: ho ancora in mente la faccia del tipo quando gli abbiamo consegnato quella mercanzia. Dopo qualche ora hanno annunciato che fermavano la vendita di quei prodotti in tutti i loro 2.300 punti vendita. Sono rimasto stupito anch?io da tanta rapidità di decisione, così ho applaudito e li ho ringraziati. Mitchell: Secondo lei c?è una cospirazione conservatrice nei media? Moore: Non ho mai creduto alle cospirazioni. Non credo ci sia cospirazione quando Time e Newsweek fanno la copertina sullo stesso tema. Piuttosto c?è un?impostazione mentale sbagliata nel fare giornalismo. Il giornalista oggi lavora come un operaio alla linea di montaggio di un?auto: c?è un certo modo di fare le cose e se io le faccio sempre in quel modo, alla fine della settimana stacco l?assegno che mi spetta. Questo, sfortunatamente, è il livello del giornalismo negli Stati Uniti. Ma vorrei insistere che la vera responsabilità sta nella creazione di questa paura artificiale. Che determina il sospetto verso l?altro: laddove la persona è diversa da te, è tuo nemico. è una cosa pazzesca: alla fine abbiamo creato un mondo diviso tra chi ha e chi non ha. Questa è la realtà. Michael Moore, il primo Cineattivista di Antonio Autieri Come mai noi americani (nel senso di ?Uessei?, Usa) siamo così? Siamo una nazione di maniaci delle armi o siamo semplicemente pazzi? Perché nel vicino Canada le cose vanno molto diversamente? Sono le domande che si pone Michael Moore, regista-spauracchio di un Paese che non vuole riflettere. Un Paese dove, è la prima sequenza di Bowling a Columbine, alcune banche regalano un fucile a chi apre un conto corrente. Atto d?accusa contro la troppo facile diffusione di armi e munizioni, anche tra i giovanissimi, il film di Moore è più che un documentario, tanto da finire in concorso a Cannes (non succedeva da 46 anni), dove ha vinto un premio speciale. E in effetti, tra le interviste ai liceali di Columbine scioccati dalla strage compiuta da due coetanei, adolescenti teppisti che puntano a diventare numeri 1 ?del settore? e adulti che tengono la pistola sotto il cuscino, Moore crea un ritmo e una tensione da thriller, coniugando inoltre la denuncia sociale con un umorismo sulfureo. A Cannes pubblico e critica si sono divertiti, commossi, indignati. Eccezionale, tra le tante, la ricostruzione angosciante dell?assalto di Columbine (dove l?educazione la fa il bowling, da cui il titolo) con il montaggio dei video della tv a circuito chiuso. Ma anche la tigna di Moore (aspiranti giornalisti, imparate come non si dà tregua agli intervistati?), accompagnato da una vittima in sedia a rotelle, in un supermercato dove si vendono ai ragazzini proiettili da caccia grossa, ottenendo una grande vittoria. E tanti altri episodi allucinanti su una nazione dove la prima reazione è armarsi fino ai denti. Esilarante la performance del comico Chris Rock, ripresa da uno show tv: «Il problema», dice più o meno, «è che le pallottole costano poco, chiunque può comprarle. Se costassero 10mila dollari l?una, sarebbe diverso: durante una rissa uno dovrebbe dire, ?Adesso ti sistemo: vado ad aprire un mutuo e poi torno a spararti…?». Ritmo, umorismo, partecipazione umana ma anche talento visivo sono le qualità del film, che sta riscuotendo un buon successo nei cinema ?d?essai? delle maggiori città italiane. Colpo di scena finale: la faccia tosta con cui Moore va a trovare a casa l?attore Charlton Heston, capo della potente Nra che difende l?uso libero delle armi: fingendosi un suo fan, lo metterà in seria crisi.


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