Cultura
Sovranismi e populismi: un antidoto di nome Francesco
“Dio? In fondo a destra”, questo il titolo del libro scritto dal giornalista Iacopo Scaramuzzi per Emi. Pagine che spiegano chi, quando, dove, come e soprattutto perché i populismi abusano di rosari, crocifissi e madonne per accaparrarsi voti, potere e prestigio. Eccone un estratto
All’inizio del pontificato, per papa Francesco «populismo» era tutt’altro che una parolaccia. Jorge Mario Bergoglio è stato un giovane peronista, il movimento politico ispirato al presidente argentino Juan Domingo Perón (1895-1974), che governava tenendo insieme esercito, sindacati e chiesa cattolica; proviene dalla scuola della «teologia del popolo», variante argentina, e non marxisteggiante, della teologia della liberazione latinoamericana; mette sovente in guardia dagli atteggiamenti elitari all’interno del cattolicesimo e definisce la chiesa, coerentemente con il Concilio Vaticano II, «popolo di Dio». Tutto portava a ritenerlo, insomma, un papa populista. Ma da quando è stato eletto alla cattedra di Pietro, nel 2013, il mondo, per fare qualche esempio disparato, ha eletto Mauricio Macri in Argentina (2015-19), Donald Trump negli Stati Uniti (2016), Sebastián Piñera in Cile e Sebastian Kurz in Austria (2017), e, nel 2018, oltre a confermare Putin in Russia, Orbán in Ungheria e Erdogan in Turchia, ha scelto Jair Bolsonaro in Brasile e i giallo-verdi in Italia. Con la crisi migratoria del 2015, in Europa e nel resto del mondo sono tornati razzismo e nazionalismo. E, come ha spiegato egli stesso, il papa ha dovuto «reimparare» la parola populismo, anzi: la parolaccia.
Il punto di svolta va individuato nell’elezione di Donald Trump. Un paio di giorni prima, Francesco aveva detto che «la partecipazione da protagonisti dei popoli che cercano il bene comune può vincere, con l’aiuto di Dio, i falsi profeti che sfruttano la paura e la disperazione, che vendono formule magiche di odio e crudeltà o di un benessere egoistico e una sicurezza illusoria». A partire dall’ascesa di Trump, l’opposizione al pontefice argentino ha alzato la testa, negli Stati Uniti e a Roma (in foto, credit Sintesi: il leader della Lega Salvini mentre bacio un rosario). E da quel frangente, il papa ha intensificato gesti, parole, decisioni che, quando esplicitamente quando implicitamente, hanno fatto da alternativa alla narrativa populista. Il popolo va ascoltato, ha affermato Bergoglio in un’intervista rilasciata al País nelle stesse ore in cui Trump si insediava alla Casa Bianca, senza però cercare un «salvatore che ci restituisca la nostra identità difendendoci con muri, fili spinati, da altri popoli che ci toglierebbero la nostra identità», come «un ragazzino di nome Adolf Hitler» fece nella Germania di inizio Novecento. Difficile essere più chiari di così.
Papa Francesco non sottovaluta i populismi, non li demonizza, non li snobba. Ha la capacità di vedere i conflitti che ci sono dietro, l’emotività che li sostanzia, sa distinguere buone domande e cattive risposte. Capisce il popolo, viene dal popolo, è popolare – non populista. È un leader mondiale – forse l’unico – che rappresenta un contrappunto, un antidoto al nazionalismo che risorge.
Quando gli hanno chiesto un commento sulla Brexit, ha detto che per ritrovare forza l’Unione europea ha bisogno di un po’ di «sana disunione», «cioè dare più indipendenza, dare più libertà ai paesi dell’Unione». In contrapposizione alla natura sferica della globalizzazione, che comprime tutte le diversità, ha più volte indicato il modello del poliedro, che ogni diversità rispetta ma ricomprende. Unità nella diversità, far respirare le differenze per preservare la solidarietà.
È tutto il magistero di papa Francesco ad essere agli antipodi dei nuovi sovranismi: predica l’accoglienza dei migranti mentre i partiti di destra europea accarezzano la xenofobia; spinge la chiesa ad essere un «ospedale da campo» per peccatori, aperto a credenti e non credenti, in dialogo con il mondo e la modernità, laddove la retorica populista raffigura i paesi occidentali come cittadelle assediate e sogna il ritorno ad un piccolo mondo antico; dialoga con la Cina, con la galassia musulmana, mentre ogni buon sovranista europeo guarda con sospetto, se non con aperta ostilità, tanto agli eredi di Mao Tse-tung quanto ai seguaci di Maometto; rappresenta nei consessi internazionali la voce del global south, dei poveri vittima del colonialismo antico e nuovo, dello sfruttamento ambientale, di «un’economia che uccide», di sistemi giudiziari autoritari, ricordando che i poveri di una nazione non sono diversi da quelli di altre nazioni.
“Dio? In fondo a destra”, di cui queste righe sono un estratto, è disponibile all’interno del sito web di EMI Editrice Missionaria Italiana
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