Economia
Sotto il vulcano nascono i kreppa sons
La ricetta islandese contro la recessione
Ovvero i figli della crisi. Tutti under 30, molti con figli. Sono loro
l’architrave della rinascita di Rejkyavik. Ma scordatevi la finanza. L’economia che richiama a casa gli emigranti è quella civile Finché c’è crisi, c’è speranza. Finnur la racconta così l’ultima saga islandese, quella della bancarotta dei miracoli. I conti pubblici dello Stato nordico sono ancora sull’orlo del naufragio e di ripresa c’è solo una flebile traccia. Ma a cavalcare l’onda di un mondo fatato in rovina ci sono i kreppa sons, i figli di quella crisi che è precipitata loro addosso in una notte nell’ottobre 2008. «È andata bene così», filosofeggiano Finnur e compari, senza nostalgia per l’epoca d’oro dell’Islanda prima della classe.
Per capire il buon umore basta collegarsi a Gommit.com. È il sito internet di Finnur Magnusson, uno dei tanti biondi di Rejkyavik, neanche trent’anni, con moglie (bionda pure lei) e un paio di pargoli (immancabilmente teste gialle) al seguito, e amministratore delegato di Agora, una web company dove l’età media dei 20 dipendenti è under 25. Il manager in maglietta, calzoncini e infradito «perché l’estate c’è anche in Islanda», ha spedito online una mappa interattiva delle nuove società islandesi, le start up spuntate come funghi nella capitale.
Le piccole imprese nordiche non nascono spontaneamente, ma vengono coltivate con cura nei laboratori non profit nati anch’essi dopo la crisi. Uno di questi è il ministero delle Idee, un casermone che si affaccia sul porto, un tempo (fino a tre anni fa) sede di una fabbrica di mobili, dove invece oggi si è radunata la società civile che non si arrende. È il movimento dal “basso” che sta travolgendo la politica (per sindaco gli abitanti di Reykjavik hanno scelto un ex comico) e che ha trovato in Gurdjon Mar Gurdjonsson il suo promotore. A novembre ha organizzato l’Assemblea nazionale, che vuole trasformare in un organo costituzionale: un gruppo di 1.500 persone, 1.200 sorteggiate e 300 in rappresentanza di aziende e istituzioni, che ha discusso dei problemi del Paese.
Per compagno di banco Arnar, che è un informatico, ha un attore, e a due passi c’è Indipal, emigrante indiana, che è neurologa. Un caffè, due chiacchiere, i consigli di Gudjon Mar Gudjonsson, e degli altri ministri delle idee, nascono così le baby aziende. C’è Mind Games, giochi per rilassare la mente – «meno stress, meno giochi di Borsa», dicono i fondatori. Poi c’è Medizza, altra start up che della crisi ha fatto un business: manca partecipazione politica della società civile? Ecco che nasce un decoder per parlare in diretta col parlamento. Ci sono votazioni in corso, l’utente può esprimere il proprio parere o disaccordo, prima ancora di venir chiamato alle urne. La Bjork economy ha creato Gogoyoko, l’iTunes islandese, per scaricare tutte le novità, e non solo, dell’universo sonoro nordico. Gudrun si è inventata una linea di bare ecologiche, «perché anche il dopo vita deve essere sostenibile»; altri una società di microcredito o una coop per le adozioni a distanza. In questi giorni Gunnar, un giovane regista che era scappato a gambe levate dalla crisi per un anno sabbatico in India, è tornato in Islanda. Per raccontare il day after, il Paese che non si solleva eppure sopravvive.
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