Formazione
Sostituire il dialogo alla punizione: in alcune scuole è realtà
Alcuni istituti in Italia hanno deciso di adottare un approccio riparativo, che consente di creare uno spazio di incontro e di mediazione per la risoluzione dei conflitti tra i ragazzi, preferendo l'ascolto e la parola anche per chi umilia, offende o compie ingiustizie in classe.
Chi non ha in mente l’immagine del cattivo studente con le orecchie d’asino? E chi non ha presente l’aura di paura e lo stigma legati alle sanzioni disciplinari? L’umiliazione e la punizione sono state – e sono tuttora – spesso utilizzate a scuola per dare una lezione a chi offende, umilia o compie ingiustizie in classe. Esistono tuttavia istituti dove quello che conta è ricostruire la relazione tra i ragazzi coinvolti nel conflitto, ai quali viene data l’opportunità di uno spazio di incontro protetto, di ascolto e parola. Si tratta di «scuole riparative», che mettono al centro la persona e la sua possibilità di riscatto. Una di queste è il Centro di formazione professionale – Cfp «San Giuseppe» di Verona, appartenente alla rete di scuole paritarie «Scuole per crescere». «Abbiamo avuto una serie di problemi molto importanti di carattere comportamentale», racconta Giovanni Gut, direttore del Cfp da settembre scorso, «che sono diventati preminenti rispetto agli aspetti didattici. La priorità era non cacciar via nessuno, anche se ce ne sarebbero stati i presupposti; è l’idea di fondo della rete di cui facciamo parte». Perché questo sia possibile, però, è necessario creare dei percorsi strutturati, che vadano ad agire dal punto di vista educativo prima che formativo, e mettere insieme diverse progettualità.
Tra le iniziative a cui partecipa il «San Giuseppe», «Meet Generation», progetto che unisce Terzo settore e istituzioni, con l’obiettivo di contrastare l’abbandono scolastico e favorire il benessere degli adolescenti, «Tra zenit e nadir. Rotte educative in mare aperto», realizzato dall’Istituto Don Calabria e da numerose organizzazioni socie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza – Cnca, che coinvolge minorenni autori di reato in attività di inclusione, corsi di teatro e progetti di giustizia riparativa con Caritas. Il Cfp «San Giuseppe» collabora, già dallo scorso anno, con l’Opera Don Calabria e Medici per la pace, con cui si è instaurato un rapporto profondo, che ha portato a interventi educativi in tre classi e a un supporto in caso di sanzioni disciplinari. «Quando ci siamo trovati a dover dare anche delle sospensioni molto importanti, proprio per evitare l’espulsione, abbiamo progettato insieme un’attività riparativa», continua Gut. «Non volevamo lasciare l’alunno a casa, quindi abbiamo sviluppato dei percorsi per cui i ragazzi andavano in una mensa dei poveri, ad aiutare in alcune attività di una cooperativa gestita dalla Caritas o direttamente all’Opera Don Calabria. Non abbiamo obbligato gli alunni, li abbiamo lasciati liberi di scegliere: alcuni non sono andati, ma molti si». Chi ha fatto la scelta di mettersi in gioco nel campo del volontariato, è di solito rimasto molto colpito dall’esperienza. «Uno degli studenti era così contento di essere stato coinvolto in queste realtà che gli ho detto “Guarda che non serve essere sospesi per andarci”». L’attività riparativa si estende anche gli insegnanti che, essendo in prima linea in classe ogni giorno, sono molto sfidati dalle dinamiche di difficoltà comportamentale; a partire dal mese di marzo, quindi, è stata organizzata una formazione per docenti, grazie all’aiuto degli esperti della Caritas. «Tutti rimaniamo feriti da alcuni comportamenti», afferma il direttore, «ma non dobbiamo tenerci dentro queste emozioni, dobbiamo anzi fare in modo che si traducano in una capacità educativa maggiore. Noi impariamo molto dai nostri ragazzi».
Un’altra scuola – stavolta pubblica – che ha fatto sue le modalità educative riparative è la secondaria di primo grado dell’Istituto comprensivo «Salvatore Farina» di Sassari, che ha anche partecipato, il 16 maggio scorso, all’incontro con l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza – Agia Carla Garlatti a Milano, insieme ad altre 12 realtà, tra medie e superiori. «Grazie ai progetti Agia, con cui abbiamo avuto importanti esperienze già prima della pandemia, lavoriamo sul conflitto e sulla mediazione», racconta Marinella Sacchetti, professoressa di religione e referente dell’attività. «Si tratta di saper parlare in modo positivo e discutere nella maniera corretta, puntando a una ricomposizione». L’istituto non è nuovo a questo tipo di progettualità: già da circa un decennio, infatti, sono in atto collaborazioni con istituzioni come il Tribunale dei minori, che mandava i suoi mediatori a fare sensibilizzazione alle classi della secondaria di primo grado. Nell’ambito della progetto legato all’Agia, un gruppo di ragazzi ha imparato a svolgere un ruolo di mediazione all’interno dei conflitti. «Essere mediatori significa facilitare un dialogo tra due persone o tra un gruppo e una persona, in cui entrambe le parti assumano un ruolo attivo nella ricerca di una ricomposizione condivisa», spiega Sacchetti. «Chi media deve essere in grado di far sentire tutti ascoltati e non giudicati, deve farsi specchio delle emozioni dell’altro, mantenendosi il più possibile imparziale». Un progetto di questo tipo ha anche lo scopo di limitare le dinamiche di vendetta e le ritorsioni sulle chat, purtroppo frequenti dopo la diffusione dei telefonini e delle applicazioni di messaggistica. A essere coinvolti nel percorso, anche genitori, insegnanti e personale Ata: è una crescita per grandi e piccini, che apprendono un modo nuovo di parlarsi, di stare insieme e di risolvere gli inevitabili conflitti che la vita mette di fronte a ogni essere umano. Dopo aver concluso la formazione, gli studenti coinvolti stanno presentando il lavoro svolto agli altri alunni della scuola. «Ora vorremmo diffondere al cultura della mediazione», conclude la professoressa Sacchetti, «perché è un nuovo linguaggio che entra nelle classi, che porta a comprendere come ci sia una possibilità diversa di dialogo. Nella loro presentazione, i ragazzi hanno voluto inserire la citazione “Chi sa ascoltare ti sente anche quando non dici niente”, che è un messaggio importantissimo, perché mediare è anche questo, fare attenzione alle pause, ai silenzi, alla postura dell’altro».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.