Esg monitor

Sostenibilità: le aziende fanno “scena muta”. O parlano troppo

Sette italiani su dieci pensano che le imprese dovrebbero comunicare meglio il loro impegno sociale e ambientale. Ma senza orientarsi politicamente. Questo alimenta la sfiducia, anche verso i governi, nella capacità di risolvere i problemi quotidiani (salari, occupazione e criminalità). Cresce la convinzione che l’impegno sociale e ambientale favorisca la redditività. Spunti dal report internazionale di Sec newgate

di Nicola Varcasia

Che cosa pensano gli italiani – e quelli di altri 13 Paesi – dell’impegno socio-ambientale di aziende e governi? Sono soddisfatti o disillusi? Si capisce quello che le organizzazioni dicono? E la sostenibilità è un ostacolo oppure aiuta la redditività? Se lo chiede, offrendo risposte molto interessanti, la ricerca Esg monitor, realizzata dalla società di comunicazione strategica Sec newgate, con lo scopo di fotografare di anno in anno la percezione delle persone rispetto alla grande varietà di temi ambientali, sociali e organizzativi racchiusi nell’acronimo Esg – environmental, social e governance.

Etica negli affari cercasi

Il responso generale di quest’anno, quarta edizione dello studio internazionale, non è dei più rosei. Gli highlights della ricerca presentano infatti un giudizio piuttosto netto: ovunque, governi e  imprese sono ritenuti incapaci di soddisfare le aspettative delle persone su queste materie. Attenzione però, non c’è gaudio in questo mal comune e il desiderio di cambiamento si fa strada: guardando all’Italia, ad esempio, quattro investitori italiani su dieci si sono dichiarati pronti a disinvestire da aziende con comportamenti ritenuti non etici. Notizia interessante se rapportata al fatto che il nostro risulta essere il quarto paese più pessimista: il 65% degli intervistati ha una percezione negativa della direzione intrapresa dal Paese.

Eppure, ben il 72% di loro ritiene possibile la piena conciliazione tra redditività e adempimento delle responsabilità ambientali, sociali e di governance.

Fare il proprio

Da dove cominciare, allora? I nostri concittadini chiedono alle aziende di concentrarsi sugli impatti e le attività legate alla loro funzione principale. Cioè fornire prodotti o servizi di qualità e trattare bene i dipendenti. Meglio se non si esprimano pubblicamente su questioni politiche e sociali che non hanno un legame diretto con l’azienda o i suoi portatori di interesse. Al tempo stesso, però, è fondamentale che l’azienda sostenga e collabori con le comunità in cui opera. Il ruolo della S nell’acronimo Esg, con un focus sul socialwashing, a cui è dedicato il numero di ottobre di VITA, si fa sentire in modo molto forte.

L’essenziale

Se, infatti, si vanno a esaminare le cinque sfide più grandi sulle quali gli italiani intravedono ampi spazi di miglioramento dalle aziende si nota una forte attenzione proprio alla sostenibilità: trattare i dipendenti in modo equo, essere aperti e trasparenti, agire per migliorare la propria sostenibilità e ridurre i danni ambientali, supportare e collaborare con le comunità locali in cui si opera e avere leader focalizzati sulla conduzione responsabile del business.

Dire solo ciò che serve

Come dire, gli italiani ci credono, ma non bisogna ingannarli. E nemmeno tacere. Per quanto riguarda la comunicazione, infatti, la stragrande maggioranza dei cittadini (73% a livello globale e il 72% in Italia) ritiene che le aziende dovrebbero comunicare più chiaramente ciò che stanno facendo per migliorare le proprie prestazioni dal punto di vista ambientale, sociale e di governance. Meno della metà degli intervistati (44% nel mondo e 40% in Italia) dichiara di non fidarsi di ciò che le aziende dicono sulle loro attività o performance Esg.

Rischio reputazionale

I dati rilevati dal Global Esg monitor mostrano quanto ancora c’è da fare nella comunicazione d’impresa e nel rapporto di fiducia con gli stakeholder: «La conformità agli standard di rendicontazione Esg è solo un punto di partenza, garantisce che le organizzazioni soddisfino i requisiti normativi, ma non è sinonimo di eccellenza o di un piano ambizioso che generi impatto positivo. È dunque necessario un approccio ponderato per superare lo scetticismo, che in alcuni diventa addirittura diffidenza verso ciò che le imprese dichiarano in materia di Esg, anche perché ritengono che le aziende impegnate in iniziative sostenibili siano troppo orientate politicamente. Le organizzazioni sono sottoposte a un attento esame sulle questioni Esg, tuttavia, devono anche agire in modo ambizioso e trasparente su piani e risultati raggiunti per evitare rischi reputazionali significativi», ha dichiarato Fiorenzo Tagliabue, group ceo di Sec newgate.

Gli italiani ci credono ancora

Forse anche per questa ragione, lo scetticismo continua a contagiare il nostro Paese. Dal report emerge infatti che il 65% degli italiani crede che il Paese stia andando nella direzione sbagliata (rispetto al 61% del 2023), contro il 35% di quanti pensano che il percorso intrapreso sia virtuoso, un dato decisamente inferiore alla media mondiale del 47%. In questa speciale classifica, l’Italia si posiziona al quarto posto tra i paesi più pessimisti, preceduto solo da Francia, Grecia e Germania. «Gli italiani restano sensibili al tema della sostenibilità, mostrando un interesse che continua ad essere elevato, nonostante le preoccupazioni sull’aumento del costo della vita, le retribuzioni e le condizioni dei lavoratori che hanno caratterizzato l’ultimo anno.

L’agenda

Si tratta di una conferma dell’importanza della sostenibilità nell’agenda della società italiana, a cui istituzioni e imprese sono chiamate a rispondere in maniera decisa. Tuttavia, le persone continuano a ritenere insufficiente l’impegno delle organizzazioni in materia di Esg, evidenziando carenze nella comunicazione delle loro iniziative, con un potenziale impatto negativo sulla fiducia degli italiani e sulla reputazione di governi e imprese», ha dichiarato Paola Ambrosino, Ad di Sec newgate Italia.

Nella foto in apertura, l’immagine di copertina dell’Esg monitor

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.