Responsabilità d'impresa e diritti
Sostenibilità, la deregulation non è la risposta che serve all’Europa
Per Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, il pacchetto Omnibus rimette in discussione «norme che mettevano l'Europa all'avanguardia nelle politiche a sostegno della finanza sostenibile». Un bruttissimo segnale, aggiunge poi, «mistificare la semplificazione, che è benvenuta, con la deregulation». Una proposta, secondo Dante Caserta di Wwf Italia, «che determinerà un impoverimento sostanziale della portata innovativa della Direttiva e che, nei fatti, ne ostacolerà il successo economico e imprenditoriale»
di Alessio Nisi
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Il primo pacchetto Omnibus «della cosiddetta semplificazione è una vera e propria deregulation». Ma è solo la tappa di una roadmap che avrà dei passi successivi. Il 26 febbraio, è stato approvato «il Clean industrial deal, ma le uniche proposte legislative presenti erano nel pacchetto Omnibus, dove c’erano non solo la Due diligence, ma anche la Corporate sustainability reporting directive e il regolamento sulla tassonomia. Parliamo di un pacchetto consistente di regolamentazione che ne fatti porta ad una rimessa in discussione di norme perfettamente connesse ed integrate con gli obiettivi del Green deal e che mettevano l’Europa all’avanguardia nelle politiche a sostegno della finanza sostenibile».
Così Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, interviene all’indomani della presentazione dei primi due pacchetti Omnibus da parte dei commissari europei Stéphane Séjourné e Valdis Dombrovskis.
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Il pacchetto Omnibus
Tra le modifiche principali del pacchetto Omnibus, alcune riguardano la Csrd e la tassonomia Ue, con l’intenzione di ridurre gli obblighi di rendicontazione per le imprese. L’80% delle aziende sarà escluso dall’ambito della Csrd, con il rinvio di due anni per quelle che saranno soggette alla rendicontazione a partire dal 2028. La Tassonomia Ue limiterà invece gli obblighi di rendicontazione alle grandi imprese, lasciando la possibilità di adesione volontaria per le altre.
Il pacchetto Omnibus? Un bruttissimo segnale. Si mistifica la semplificazione, che è benvenuta, con la deregulation
Mauro Albrizio – responsabile ufficio europeo di Legambiente
Fino al 90% delle imprese escluse dalla rendicontazione
«Si tratta di un passo indietro», aggiunge Albrizio, che conferma i dati: «Tra l’80 e il 90% delle imprese sono interessate dall’attuale normativa» e sarà escluso dall’obbligo di rendicontazione, che sarà limitato ad aziende con almeno mille dipendenti e più di 50 milioni di euro di fatturato o un attivo patrimoniale sopra i 25 milioni.
«È importante, ed è questo il punto fondamentale, tener presente che si tratta di di proposte legislative che devono passare al Parlamento e al Consiglio. La battaglia è appena iniziata, non c’è niente di scontato».
La deregulation non è la risposta che serve
La deregulation, aveva spiegato lo stesso Albrizio, a poche ore dalla presentazione del pacchetto Omnibus, «non è la risposta che serve per accrescere la competitività dell’economia e delle imprese europee. Come evidenzia la stessa Commissione, lungi dall’ostacolare la crescita economica, l’applicazione e il rispetto delle leggi ambientali possono far risparmiare all’economia europea circa 55 miliardi di euro annui in costi connessi all’ambiente ed alla salute».
Senza dimenticare, aveva scritto, «che le sfide che alcuni settori industriali devono affrontare, per recuperare la competitività perduta, non sono dovute a un’eccessiva regolamentazione, ma piuttosto al fatto che governi e imprese non hanno saputo pianificare, investire e adattarsi alla necessaria transizione per decarbonizzare l’economia europea».
Una Direttiva già depotenziata rispetto alla proposta iniziale
Per Dante Caserta, responsabile relazioni istituzionali Wwf Italia. «la Direttiva due diligence del 5 luglio 2024 ha il giusto obiettivo di prevenire o mitigare gli impatti negativi delle aziende sui diritti umani e sull’ambiente».
Ricorda che «già la trattativa per portarla all’approvazione aveva visto un indebolimento della proposta iniziale, per cui un suo ulteriore indebolimento rappresenta un pericoloso passo indietro».
Nel quadro dell’iniziativa, del tutto illogica, della Commissione europea di svuotare di forza una serie di provvedimenti introdotti per la realizzazione del Green deal dell’Unione europea, con il pretesto della “semplificazione”, è stata presentata una proposta che determinerà un impoverimento sostanziale della portata innovativa della Direttiva e che, nei fatti, ne ostacolerà il successo economico e imprenditoriale
Dante Caserta – responsabile relazioni istituzionali Wwf Italia
Aproccio pericoloso e incertezza normativa
«Siamo di fronte ad un approccio pericoloso», sottolinea Caserta, «che costringerà anche le imprese ad un periodo di incertezza normativa. Le aziende che riconoscono la necessità di assumersi una responsabilità sociale e sono favorevoli al perseguimento di una generale prosperità a lungo termine non possono sostenere un approccio che allontana l’Europa dal percorso per diventare un’economia verde competitiva e finisce per costituire un grave precedente con conseguenze di vasta portata».
Lacune dei dati e più oneri per le imprese
La proposta della Commissione di escludere oltre l’80% delle imprese dall’ambito di applicazione della Direttiva, secondo il responsabile di Wwf Italia, anziché fornire uno standard di rendicontazione proporzionato, «creerà notevoli lacune nei dati, aumenterà nel tempo gli oneri per le imprese e limiterà l’accesso ai finanziamenti sostenibili, ostacolando lo stesso ritorno economico».
L’eliminazione di standard settoriali. Inoltre, l’eliminazione di standard settoriali, concepiti per aiutare le imprese a identificare le questioni su cui concentrarsi per ogni settore, «rappresenterebbe un’occasione mancata per semplificare l’azione delle imprese stesse, mentre il ritardo di due anni proposto per l’attuazione della normativa comprometterebbe in modo significativo le aziende che hanno già investito nella conformità, premiando invece quelle che hanno evitato gli investimenti».
Analogamente, si aggiunge, «la limitazione dell’ambito della catena del valore della Direttiva trascura i rischi critici lungo le catene di fornitura globali, riducendo il tutto a uno spreco di risorse preziose, tempo e personale per le aziende. L’eliminazione dell’obbligo di implementare piani di transizione climatica aprirebbe la porta al greenwashing, trasformando un processo virtuosi di miglioramento in una mera attività di spunta».
Il tutto, sintetizza sempre Caserta, «dando il preoccupante segnale che ambiente e diritti umani non sono una priorità, minando la fiducia degli investitori e rallentando la transizione verde».
È deregolamentazione su vasta scala
Critico sull’adozione del pacchetto Omnibus anche il network Impresa2030, che già alla vigilia della presentazione dell’iniziativa aveva espresso forte preoccupazione per le sorti della Direttiva. Ne abbiamo parlato QUI.
«Il pacchetto Omnibus sulla sostenibilità», fa sapere il network, è «un’iniziativa che rischia di compromettere seriamente le normative aziendali a favore della sostenibilità. Questa proposta di deregolamentazione mira a smantellare le direttive chiave, come la Direttiva sulla Due diligence in materia di Sostenibilità Aziendale (Csddd), la Direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità aziendale (Csrd) e il Regolamento sulla tassonomia.
«Sia chiaro», aggiungono Margherita Romanelli di Weworld e Cristiano Maugeri di Actionaid, co-portavoci di Impresa 2030, «non si tratta di semplificazione, ma di deregolamentazione su vasta scala volta a smantellare la responsabilità delle imprese e ad abbandonare gli impegni del Green deal dell’Ue».
In apertura foto di Marek Lumi per Unsplash
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