Cultura

Sostenibilità, idea del decennio

Riccardo Moro. Nel 94 la causa dei Paesi poveri era concepita solo in termini di aiuti. L’idea che la soluzione stesse in un modello di sviluppo diverso era agli albori.

di Riccardo Moro

Se mi guardo indietro a individuare che cosa è cambiato in questi dieci anni, potrei dire che il primo cambiamento che riconosco, mentre sto scrivendo queste righe, è dato dal fatto che per casa gironzolano infarinati e gioiosi due piccoli ?cuochi?. Stanno aiutando mia moglie e sua sorella, cioè la loro mamma, a preparare gli agnolotti di Natale, secondo le vecchie (e sane, per quanto non ipocaloriche) abitudini piemontesi che in questo periodo cerchiamo di rinnovare.
Ma ovviamente il cambiamento non è solo nella rumorosa confusione di questi due nuovi compagni d?avventure. Credo stia piuttosto in una consapevolezza nuova che oggi condividiamo.

Dieci anni fa, una scoperta
Provo a spiegarmi partendo dal mio punto di osservazione. Dieci anni fa pochissimi nel nostro Paese sapevano che molte nazioni subivano il peso di un debito enorme, che impediva loro di destinare risorse, preziose perché scarse, alle necessità primarie delle loro popolazioni. Qualcuno cercava di riflettere sull?importanza di percorsi di sviluppo sostenibili. Più numerosi erano quelli che si impegnavano nell?aiuto ai Paesi impoveriti, inviando risorse o mettendosi a disposizione in prima persona.
Oggi ci è chiaro che lavorare per orientare le risorse su sentieri di sviluppo sostenibile che sradichino la povertà e creino relazioni umane permanenti e significative costituisce un tutto unico. Si riflette di Nord e di Sud del mondo interessandosi non solo di aiuti, ma di debito, di commercio, di ambiente e più in generale di giustizia. E tutti siamo impegnati a proporci e proporre nuovi stili di vita che diano coerenza ai nostri comportamenti.
Esiste una maggiore consapevolezza che in parte è il risultato di una autonoma maturazione culturale ed etica e in parte è frutto anche della globalizzazione. La migliore disponibilità di informazioni non crea solo responsabilità, ma anche curiosità e suscita ulteriore domanda di notizie che spinge a creare strumenti informativi migliori. Globalizzazione e sensibilità internazionale si alimentano a vicenda.
Un passaggio molto importante in questo quadro mi pare sia stato quello del Giubileo. Una grande occasione di formazione delle coscienze per riflettere sul modo di abitare il pianeta e di costruire relazioni di giustizia e solidarietà.
Ho avuto una qualche parte nella campagna giubilare sul debito e non mi sto riferendo a come e quanto bene essa fosse organizzata. Sto pensando a tutti coloro che ho avuto modo di incontrare nel peregrinare del Giubileo parlando di debito e di Levitico. In tutte le città in cui sono stato, e sono molte, ho trovato entusiasmo, persone preparate, iniziative e sussidi più belli, più ricchi e più approfonditi degli strumenti che avevamo preparato a livello nazionale. Un entusiasmo e una determinazione, se posso dirlo, meravigliosa.

Diventare sentinelle
Credo che gli elementi preziosi per il futuro di questa campagna siano stati due. Il primo è aver colto che ragionare di debito significava prima di tutto ragionare in termini educativi, il secondo è la scelta di lavorare insieme. E per educare intendo proporre strumenti di apprendimento e approfondimento da un lato, ma anche di partecipazione dall?altro. Partecipazione attiva alla vita della comunità, che significa prima di tutto stili di vita responsabili, quindi partecipazione nella società civile associata e, infine, impegno attivo anche nella politica. Insomma, non si è chiesto solo di fare un?offerta, ma si è proposto in modo esigente di vivere in relazione attiva e responsabile col mondo.
Al di là dei risultati specifici sul debito, come la legge o i progetti che sono partiti in Africa, direi che il clima del Giubileo ha dato cittadinanza alla attenzione verso il Sud del mondo e agli stili di vita anche negli ambienti tradizionalmente meno sensibili. E ha creato voglia di fare e di fare insieme.
Pensando alla Chiesa italiana non è probabilmente un caso che avvicinandosi al G8 di Genova sia avvenuta con naturalezza una adesione al Manifesto delle Sentinelle del mattino da parte di una sessantina tra associazioni e movimenti ecclesiali che da quel momento hanno scelto di camminare insieme per condividere un percorso educativo e di stimolo culturale alla politica sui temi della globalizzazione e della pace.
Con analoga sintonia nel nostro Paese e nel mondo si sono tessute reti tra tutti coloro che cercano di declinare insieme i temi della giustizia e della solidarietà. Milioni di italiani hanno marciato per la pace, così come negli incontri annuali del World social forum si riuniscono sempre più rappresentanti di ogni continente, curiosi di discutere insieme e mettere a confronto posizioni, idee e proposte. Non sono fatti episodici. Ovviamente camminare insieme non è facile, né la sintonia è scontata. Il dibattito sulla nonviolenza testimonia che alcune posizioni a volte sono distanti, se non alternative. Ma la consistenza del dialogo oggi è per certi aspetti nuova e preziosa.

Il nuovo vocabolario
Molto è cambiato anche a livello istituzionale. In tema di relazioni finanziarie internazionali sino al 1999 imperava il verbo degli aggiustamenti strutturali. Oggi Banca mondiale, Fmi e governi parlano di “strategie di riduzione della povertà”. Le parole d?ordine non sono più privatizzazione e riduzione della spesa sociale, ma Millennium Development Goals per dimezzare la povertà, ownership, governance, finanziamento dello sviluppo. Anche in questo caso naturalmente non è tutto rosa, ma il cambiamento rispetto al passato è notevolissimo.
E’ bello immaginare che questi siano i frutti del Giubileo, di un Giubileo che ha coinvolto un po? tutti, mondo ecclesiale e mondo laico, nel tentativo di avviare per il nuovo millennio una nuova partenza in condizioni di equità per tutti. è bello immaginare che siano frutti permanenti.
Ovviamente non lo saranno se non continua un?azione responsabile da parte di tutti per coltivare la consapevolezza che siamo membri di un?unica comunità. I venti di guerra sono lì a mostrarci quanto ancora ci sia da fare, quanto, forse, sempre ci sarà da fare per servire il nostro obiettivo: creare le condizioni per uno sviluppo della vita umana nella piena tutela della sua dignità in tutto il pianeta. Questo significa lavorare per la pace governando la globalizzazione, in modo che le opportunità vengano messe a disposizione di tutti, comprese le prossime generazioni, con la consapevolezza che non tutti sono e saranno d?accordo con noi.
E allora la conclusione di queste righe, che altro non sono che auguri di buon lavoro per i prossimi dieci anni a tutta la redazione di Vita, e un po?a tutti noi che leggiamo i risultati del suo lavoro, è quella di guardare al futuro con tre attenzioni.

Tre attenzioni per il futuro
La prima è quella di tenere alta la tensione educativa, verso i giovani e verso noi stessi. La seconda è quella di perseverare negli stili di vita, estendendoli al mondo delle imprese. Il tema della responsabilità sociale delle imprese mi pare strategico per il futuro. La terza è quella della politica. La comunità ha bisogno di politica, cioè di quella dimensione, che è comunitaria, in cui si scelgono gli obiettivi per il futuro e ci si danno regole e strumenti per raggiungerli. Non possiamo fare a meno della politica, ma per servire in essa con efficacia abbiamo bisogno di un progetto politico, non solo di militanza o di testimonianza. E da questo punto di vista non mi pare sia esaurita la riflessione culturale sulla globalizzazione. Il dibattito sul finanziamento dei servizi, tra mercato con fiscalità leggera e protezioni con fiscalità pesante, sa di vecchio, per fare solo un esempio. Dobbiamo trovare risposte adatte ai tempi che viviamo. Cara Vita, dopo dieci anni c?è sempre tanto da fare. Non si finisce mai. Che bello!

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