Retromarce

Sostenibilità, ecco la controriforma targata Ursula 2

Dopo tante bozze, ecco l'Omnibus con cui la Commissione europea propone di semplificare diverse direttive come Csrd, Cs3d e Tassonomia verde. Di fatto rimangono pochi obblighi per poche grandi aziende, dalla applicazione ulteriormente differita. Salta completamente quello di vigilare sulla filiera di fornitura per quel che riguarda la Diligenza dovuta: basterà che il fornitore diretto sia in regola rispetto a verifiche quinquennali. Tutto, si dice, per aumentare la competitività delle imprese del Vecchio Continente

di Giampaolo Cerri

Piove a dirotto sulla sostenibilità europea: un’anticipazione dietro l’altra – leaks li chiamano nei giri di Bruxelles ma davvero qui non c’è da scomodare Julian Assange trattandosi di bozze da sottogoverno – la Commissione Ue ha sostanzialmente depotenziato ciò che Parlamento e Consiglio Europeo avevano creato solo pochi mesi fa. Col mandato di “semplificare” le direttive sulla sostenibilità col documento cosiddetto Omnibus uscito stamane, la Commissione ha proposto, ai due organismi, un consistente dietro front. Come temuto, dei provvedimenti cardine, quello sulla rendicontazione sociale, Csrd, e quello sulla Diligenza dovuta, Cs3d, resta poco aldilà dei nomi delle direttive: obblighi per pochissime grandi aziende, oltretutto rimandati di qualche anno.

La morte della filiera

Nella direttiva sulla Diligenza dovuta, scompare praticamente il concetto di filiera: le aziende che dovranno sottostare all’obbligo, dovranno preoccuparsi solo del fornitore diretto e non certo di quello che c’è a monte di quella produzione: e se si trattasse di lavoratori forzati, come gli uiguri cinesi costretti a fare batterie e pannelli solari, o bambini, pazienza. E le verifiche saranno quinquennali e non annuali, sapendo bene che un lustro, in questi nostri tempi, è praticamente un’era geologica.

La società civile se lo aspettava: il cammino dell’Omnibus era stato accompagnato da un rassegnato silenzio, se si eccettua, con un colpo di reni a salvare l’onore, il manipolo di coraggiose ong italiane radunate in Impresa 2030, di cui abbiamo scritto qui.

Che di amputazione e non semplificazione si tratti si capisce dal titolo stesso del comunicato: «La Commissione semplifica le norme sulla sostenibilità e sugli investimenti dell’Ue, erogando oltre 6 miliardi di euro di agevolazioni amministrative».

Von der Leyen, in versione gavianea

La nuova Ursula Von der Leyen si fa bella cioè con gli sgravi: 6,3 miliardi di euro. Come una democristiana vecchia maniera, una gavianea qualsiasi, lei teutonica alfiera della Cdu. Non è che siano sgravi: si tratta di quanto si stima potessero costare le obbligazioni generate dalle direttive nelle prime versioni.

Del resto, il lavoro fatto dagli sherpa dell’Ursula 2, la nuova commissione che non appare neppure lontana parente dell’Ursula 1, si vanta di aver sottratto «circa l’80% delle aziende dall’ambito della Csrd, concentrando gli obblighi di rendicontazione della sostenibilità sulle aziende più grandi che hanno maggiori probabilità di avere i maggiori impatti sulle persone e sull’ambiente; garantire che i requisiti di rendicontazione della sostenibilità per le grandi aziende non gravino sulle aziende più piccole nelle loro catene del valore».

Non solo, si comunica di essere riusciti a «posticipare di due anni (fino al 2028) i requisiti di rendicontazione per le aziende attualmente nell’ambito della Csrd e che sono tenute a rendicontare a partire dal 2026 o dal 2027», di aver ridotto «l’onere degli obblighi di rendicontazione della tassonomia Ue limitandolo alle aziende più grandi (corrispondenti all’ambito della Cs3d, ossia 5mila dipendenti e un fatturato 450 milioni, anziché 250 dipendenti e 50 milioni previsti inizialmente per la Csrd, ndr), mantenendo al contempo», e qui arriva la perla più lucente, «la possibilità di rendicontare volontariamente per le altre grandi aziende nell’ambito futuro della Csrd».

Insomma, se quelli a cui abbiamo tolto l’obbligo poi volessero farlo lo stesso, come esercizio di stile, nulla osta.  

Due diligence annacquata

Mazza ferrata anche sulla direttiva relativa, appunto, alla Due Diligence. Si è provveduto, comunica trionfalmente Bruxelles, a «semplificare i requisiti di due diligence sulla sostenibilità in modo che le aziende interessate evitino inutili complessità e costi, ad esempio concentrando i requisiti di due diligence sistematici sui partner commerciali diretti; e riducendo la frequenza delle valutazioni periodiche e del monitoraggio dei loro partner da annuale a 5 anni, con valutazioni ad hoc ove necessario».

Significativo, quanto a portata della controrivoluzione in atto, anche il passaggio che riguarda la Tassonomia verde europea: lo storico principio del non produrre danno, il famoso “Do not Significant harm“- Dnsh, è giudicato «complesso», e i criteri che vi si ispirano saranno quindi semplificati per quello che riguarda «la prevenzione e il controllo dell’inquinamento nonché l’uso e la presenza di sostanze chimiche».

Tutto, si dice, per garantire la competitività delle imprese europee. E infatti, la proposta è stata costruita dopo il Rapporto di Mario Draghi: Il futuro della competitività europea.

Lo sconcerto degli attivisti

Tacciono, per ora, le organizzazioni della società civile europea. Tra i commenti che affollano il profilo LinkedIn di Andreas Rasche, preside-aggiunto della Copenhagen Businnes School e uno dei gli studiosi più internazionalmente apprezzati su questi temi, prevale lo sconcerto: «Una direttiva è una direttiva e un regolamento è un regolamento», scrive un follower del professore, «come può la Commissione rivoluzionare il lavoro del Parlamento e del Consiglio dei ministri europei?».

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