La nuova Europa
Sostenibilità: abbiamo scherzato?
Cresce l’attesa per le semplificazioni promesse da Ursula von der Leyen. Germania e Spagna chiedono revisioni, non stravolgimenti. Emerge in modo ufficioso un clamoroso dietro front della Danimarca, finora paladina del green e del reporting. L’Italia è attesa al varco. Dialogo con Alessandro Asmundo del Forum per la finanza sostenibile

Il pacchetto Omnibus sulla semplificazione promesso da Ursula von der Leyen alla fine di febbraio sarà la scusa per annacquare gli obblighi di sostenibilità delle aziende europee? Tra una sferzata di Mario Draghi e l’altra, sono in molti a chiederselo, non solo a Bruxelles. Ci sono le aziende che hanno precorso i tempi, adattandosi alla normativa Csrd con anticipo. Ci sono le associazioni imprenditoriali che attendono silenziose o che apertamente invocano un rallentamento. Ci sono gli attori sociali, sempre più integrati nei processi che fanno capo alla sostenibilità. E poi ci sono gli stati, da cui il recepimento e l’applicazione delle normative europee di fatto dipende.
Partite a scacchi
Quale sarà dunque il futuro prossimo della Csrd, ossia della Corporate sustainability reporting directive? L’attesa scadenza del 26 febbraio per la pubblicazione di questo pacchetto – non l’unico in esame in questo momento – potrebbe slittare almeno di qualche giorno. Considerata la delicatezza della materia e l’eterogeneità delle posizioni, non sarebbe uno scandalo e forse potremmo parlare perfino di buon senso. Ad ogni modo, le nuove posizioni emerse in questi giorni un po’ febbrili non collimano del tutto con quelle dei mesi precedenti.
Il deal che manca
Con Alessandro Asmundo, senior policy officer del Forum per la finanza sostenibile, impegnato come non mai a riproporre il valore della finanza sostenibile al di là di qualsiasi coloritura ideologica, abbiamo fatto un viaggio tra le ultime notizie ufficiali e ufficiose di alcuni stati. A cominciare dal documento dell’Advisory board tedesco, organo consultivo istituito dal governo federale all’inizio della legislatura. Si dirà che la Germania tra pochi giorni non sarà più la stessa dopo il voto. Può essere, ma la posizione espressa ha un suo rilievo: «La posizione dell’Advisory board tedesco è diversa da quella trapelata in passato, soprattutto dalla lettera inviata a dicembre da vari ministri alla Commissione, che chiedeva di intervenire direttamente sulla Csrd riducendone perimetro e ambizione complessiva». Invece, la lettera del Board è più allineata al cammino svolto fino ad oggi: «Richiede di mantenere l’impegno sulla doppia materialità, che è la colonna portante della normativa», trasformandola anche in un benchmark globale su questi aspetti.
Semplificare
Il secondo fattore è la riduzione proporzionata dei “data point obbligatori”, ossia del numero dei fattori da considerare nel reporting. Questo non significa smobilitare il sistema ma adottare un approccio maturo alla semplificazione che si dovrebbe basare sulle prime esperienze di reporting effettuate. «Si tratterebbe di capire com’è andata effettivamente per le imprese e dove possa essere necessario intervenire», aggiunge Asmundo, «al di là di dichiarazioni sui numeri prefissati, quali il 25% o 35% degli oneri da ridurre, che non trovano una rispondenza specifica».
Standard da mantenere
Il terzo punto messo in campo dai tedeschi è quello di non rinviare l’arrivo degli standard di settore, i cosiddetti topical standard, previsto per il 2026, che alcuni Paesi sembrano intenzionati a chiedere: «Al contrario, i tedeschi chiedono di lavorare di più sulla parte di enforcement che non sulle misure meramente sanzionatorie, dare dunque piena flessibilità nell’applicazione sospendendo le sanzioni».

Come del resto è appena accaduto in Italia con il decreto legge sulla revisione legale dei report di sostenibilità, inserito nel decreto milleproroghe: «Un delle questioni affrontate in questo decreto riguarda proprio la sospensione temporanea delle sanzioni relative alle dichiarazioni non finanziarie in questo periodo di passaggio dalla Dnf – Dichiarazione non finanziaria al nuovo bilancio di sostenibilità». Siamo dunque di fronte ad un approccio prudente ma non remissivo.
Tutelare i pionieri
Il documento del board tedesco chiede inoltre espressamente di tutelare le aziende e gli investitori che hanno già iniziato il loro percorso di adattamento alle nuove norme sulla sostenibilità: «Cambiare le regole in corsa non fa bene a nessuno, perché danneggia chi ha già iniziato e blocca chi sta cominciando a muoversi».
News spagnole
I tedeschi non sono i soli ad aver fatto trapelare le proprie intenzioni in merito alla compliance in fatto di sostenibilità. Il governo spagnolo, attraverso i suoi ministeri della Transizione economica e dell’Ambiente, ha fatto sapere di voler proseguire sulla strada tracciata, supportando i principali capisaldi della Csrd. A partire dalla doppia materialità. Le modifiche da introdurre sarebbero degli aggiustamenti, ma non delle rivisitazioni che poi richiederebbero una nuova direttiva e un nuovo recepimento. Sarebbe, quest’ultimo, un metodo “elegante” per affossare tutto: «La Spagna chiede espressamente di intervenire unicamente sui secondi livelli che riguardano gli standard e la tassonomia senza rivedere l’architettura centrale della direttiva. Anche perché il grosso delle richieste che arrivavano dal mercato riguardano di fatto le parti applicative e di assessment».
La diligenza resta dovuta
Gli spagnoli chiedono inoltre di non intervenire sulla Csdd, ossia sulla direttiva che riguarda la diligenza dovuta dalle aziende lungo la catena di fornitura: «La richiesta appare molto sensata in quanto la normativa, che è stata approvata, entrerà in vigore, come è noto, tra due anni. Prima di modificare la due diligence, occorre almeno che qualcuno inizi prima a svolgerla effettivamente, supportando questo inizio con le opportune linee guida».
Aggiungiamo che aprire un iter di modifica adesso significherebbe probabilmente rinviarla sine die. Un’altra interessante richiesta spagnola chiama in causa le medie imprese, con la proposta di creare un segmento intermedio per riuscire a stratificare al meglio gli obblighi di reporting comportati dalla Csrd.
Danimarca ufficiosa
L’obiezione che non ti aspetti arriva invece dalla Danimarca. Il documento danese che è trapelato, sebbene non abbia ancora i canoni dell’ufficialità, va in controtendenza netta rispetto alla grande attenzione verso la sensibilità di questo Paese che si può considerare uno dei leader nel campo: «Se da un lato, a quanto sembra, la Danimarca chieda di non rinviare la Csddd, richiede però il rinvio della Csrd per tutti, con una riduzione degli standard di settore e del perimetro della normativa, con l’esclusione delle piccole e medie imprese. La richiesta di rinvio abbraccerebbe anche le imprese di grandi dimensioni chiamate a presentare il nuovo reporting quest’anno».
Il leak proveniente dalla Danimarca chiedere un’armonizzazione normativa tra tutte le disposizioni includendo non solo Csrd, tassonomia e Csddd ma anche la Mifid e la Crr – Capital requirements regulation.
Radar accesi
Le richieste danesi, nel loro insieme, ricordano i cambiamenti repentini in fatto di programmi di diversity equity and inclusion operati dai big della tecnologia in America nei giorni immediatamente successivi all’elezione di Trump alla Casa bianca. La sostanza di queste oscillazioni si scoprirà a breve. La domanda, a questo punto sorge spontanea: che cosa ne pensa l’Italia? Restate sintonizzati sui canali di VITA e in particolare sulla newsletter ProdurreBene.
Fato in apertura, dal sito Commissione Ue
Vuoi accedere all'archivio di VITA?
Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.