Non profit

Sostenibile. E per tutti. La road map verso le pari opportunità dell’energia. Con l’ambiente come bussola

di Maurizio Regosa

Sostenibile e accessibile a tutti: è l’auspicio che le Nazioni Unite hanno fatto proclamando il 2012 “Anno internazionale per l’energia sostenibile per tutti”. Una decisione importante che potrebbe produrre una svolta nelle politiche energetiche mondiali e cambiare la vita di miliardi di persone.
Sarebbe bello perché il pianeta è, anche sotto il profilo dell’accesso energetico, ricco di disuguaglianze. Per esemplificare, la sola New York consuma quanto l’intero continente africano. A fronte di un uso incondizionato dell’energia da parte del ricco Occidente (che consuma il 75% dell’energia totale), tutti gli altri hanno opportunità molto differenziate: un miliardo e 300 milioni di persone vive senza usufruire dell’energia (circa il 20% della popolazione mondiale); un miliardo ne usufruisce irregolarmente; altri 2 miliardi e 700 milioni, invece, per cucinare e scaldarsi possono contare su fonti tradizionali non costanti né ecologiche.
È una “linea rossa” che separa il Nord e il Sud, le città e le campagne, aree, quest’ultime, in cui vivono moltissime delle persone senza accesso: quasi 600 milioni in Africa, 289 in India, 379 in Asia, ma anche 30 milioni in America Latina, 21 nell’Europa dell’Est. In tutto, appunto 1,3 miliardi, esattamente quanti sono gli esseri umani che vivono sotto la linea della povertà e quasi quanti i malnutriti (circa un miliardo). Non saranno gli stessi, ma va da sé: non avere l’energia comporta un enorme gap in termini di benessere, di salute, di possibilità di studiare e per tutte quelle attività che generano reddito e quindi possono contribuire al sostentamento a lungo termine. «Questioni come la povertà energetica e la disparità dei consumi sono in larga misura riconducibili alle differenze di reddito all’interno e fra i Paesi», aggiunge Massimo Tavoni, senior researcher della Fondazione Eni Enrico Mattei. «I 3 miliardi di persone che ad oggi hanno consumi di energia molto bassi contribuiscono in minima parte alla domanda globale, mentre il miliardo circa di persone con consumi pari o sopra a quelli di un italiano medio sono responsabili per i tre quarti. Ad oggi la maggior parte delle persone con consumi “alti” vive nei Paesi occidentali, ma nel 2030 la metà verrà dai Paesi in via di sviluppo ad alta popolazione e crescita economica, come Cina, India, Brasile. I poveri, invece, vivranno più o meno nelle stesse parti del mondo, in primis l’Africa subsahariana».

Un futuro diverso
Gli stessi riflettori sotto i quali l’Onu ha deciso di mettere la disuguaglianza energetica spiegando, con la Risoluzione 65/151, che per “accesso universale” s’intende la possibilità di poter contare su servizi energetici che garantiscano i bisogni primari, che siano affidabili e sostenibili anche dal punto di vista economico. Obiettivi che potrebbero sembrare molto ambiziosi, ma non lo sono, come hanno convenuto i molti esperti internazionali confrontatisi a Venezia, nel corso di una due giorni sul tema dell’accesso all’energia per tutti organizzata da Eni e da Fondazione Eni Enrico Mattei. Giacché è vero che per programmare un futuro diverso sono necessarie risorse economiche da impegnare in modo mirato, ma non si tratta di cifre stellari: «Per garantire l’accesso universale», sottolinea Fatih Birol, capo economista dell’Agenzia internazionale dell’energia, «servono circa 50 miliardi di dollari l’anno, da qui al 2030. Una cifra che equivale allo 0,6% degli investimenti energetici complessivi». Accanto e forse più delle risorse, servono però nuovi strumenti e sinergie. Fondi d’investimento mirati, partnership fra i diversi livelli dell’amministrazione pubblica e soprattutto un rinnovato coinvolgimento del settore privato.

Il circolo vizioso della povertà
È plausibile, in altri termini, che il fabbisogno energetico mondiale, destinato inevitabilmente a salire oltre l’attuale livello, possa avere un impatto negativo sull’ambiente e che la titolarità del consumo tenda a spostarsi in relazione anche all’evoluzione economica di Paesi che un tempo definivamo «in via di sviluppo». La Cina, per dire, secondo l’Outlook 2011 dell’Agenzia internazionale dell’energia, nel 2035 avrà un fabbisogno energetico che supererà del 70% circa quello degli Stati Uniti. «India, Indonesia, Brasile e Medio Oriente sperimenteranno tassi di crescita della domanda d’energia ancora più sostenuti», prosegue l’Outlook. Sono variabili che vanno considerate se si vuole spezzare il circolo vizioso della povertà e impegnarsi davvero nel rendere universale l’accesso all’energia sostenibile. Che è quella, si legge nella Risoluzione Onu, «prodotta e utilizzata in modo tale da poter sostenere lo sviluppo umano a lungo termine in tutti suoi aspetti sociali, economici e ambientali».

Un accesso sostenibile
Sostenibilità ambientale dunque, non soltanto accesso. Un’esigenza sempre più sentita, specie perché si intende evitare che la crescita della domanda globale di energia significhi un incontrollato incremento anche delle emissioni di CO2. Occorre dunque puntare sull’incremento delle rinnovabili e l’utilizzo integrato di più soluzioni: il vento, il sole, ma anche il petrolio e il gas. Una miscela di strumenti per conseguire un duplice risultato: ampliare la platea degli utenti senza compromettere l’ambiente. Un compito delicatissimo. Tanto più che già oggi si registrano segnali incerti. «Per il secondo anno consecutivo», ammonisce Birol, «l’efficienza energetica nel mondo sta peggiorando, mentre la domanda continua a crescere». Una disattenzione cui forse ha contribuito la crisi economica che però non aiuta a immaginare un percorso lineare. Dunque un coordinamento è più che necessario. Giacché oltre alla determinazione dei governi e delle istituzioni sovranazionali, per il raggiungimento dell’accesso universale sono assolutamente determinanti i contributi dei privati: i big player industriali, gli istituti finanziari e tutti i soggetti della cooperazione allo sviluppo. Quegli stessi che si incontreranno in Brasile il prossimo giugno al Rio+20, per definire le tappe intermedie, le strategie e la roadmap che dovrà portare nel 2030 all’accesso universale. Un obiettivo fondamentale e necessario al quale tutti i protagonisti intendono dare il proprio contributo.

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