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Sostegno a distanza poco trasparente, subito una legge

Secondo il presidente di AiBi, nonostante i tentativi di regolamentazione, mancano regole certe che garantiscano trasparenza e chiarezza sui beneficiari dei progetti. Serve quindi una legge "per garantire ai donatori che siano abbinati a un singolo bambino, non a una comunità"

di Gabriella Meroni

Il sostegno a distanza è da cambiare. Servono regole certe che lo rendano efficace e trasparente, ed eliminino le residue aree opache. Alla XXII settimana di formazione e studi, in corso a Gabicce, Ai.Bi. scende in campo con un nuovo Manifesto e una nuova proposta di legge che verrà presentata a settembre. Ce ne parla il presidente, Marco Griffini.
Vita: Griffini, cosa c'è che non va nel sostegno a distanza?
Griffini: Diversi aspetti. Non fosse altro perché questo strumento coinvolge ogni anno un milione e mezzo di italiani, per un totale di 500 milioni di euro donati, serve come minimo chiarezza e trasparenza sulla destinazione delle risorse economiche. Bisogna evitare, per esempio, che un singolo bambino possa essere ‘spacciato’ a più famiglie. 
Vita: Si può spiegare meglio?
Griffini: Bisogna esplicitare chi sono i destinatari del Sad: un singolo bambino; una scuola; un progetto. Se non si fa così, si rischia che il sostenitore sia indotto a credere di essere in relazione con un singolo beneficiario, mentre invece quel bambino fa solo da "testimonial" a un progetto, prestando il proprio volto a più sostenitori. Non è insomma un sostegno personalizzato, ma comunitario. Se non si è trasparenti su questo, si alimenta una crescente sfiducia verso tutto il settore. 
Vita: In passato però non sono mancati i tentativi di regolamentazione. Tutti sbagliati?
Griffini: Che il settore abbia bisogno di regole lo si sente ripetere da anni. Peccato che l’unico tentativo di disciplinarlo si sia limitato a linee guida approvate quattro anni fa dalla defunta Agenzia per le Onlus: nel documento finale del 2009 si parlava di "regolamentazione soft", un modo elegante per auto-denunciare che esso era un annacquato compromesso tra le posizioni delle associazioni coinvolte. Tutte potevano riconoscersi in esso senza modificare di una virgola il proprio modus operandi. 
Vita: Si poteva fare di più?
Griffini: Le linee guida nacquero da un approccio metodologico sbagliato, perché viziato a monte. L’Agenzia non aveva il potere di imporre nulla a nessuno, e quindi è stata costretta a mediare fino a rendere quel documento un contenitore quasi vuoto. Se si vuole dare regole a chi opera nel settore, si devono creare organi terzi con un reale potere di valutazione e sanzioni per chi non rispetta le regole. Nonostante dunque il tentativo dell’agenzia di mettere ordine, il risultato delle Linee guida è stato dare una parvenza di garanzia a quello che ancora oggi è un ‘far west’ dove ogni organizzazione può ricorrere a qualsiasi espediente pur di accaparrarsi un sostegno in più.
Vita: Cosa servirebbe, secondo voi?
Griffini: Una legge che regolamenti seriamente il Sad. Qui a Gabicce oggi, nel corso della settimana  di formazione e studi AiBi, stiamo mettendo a punto il testo, che sarà all'insegna della trasparenza, e che presenteremo nei prossimi giorni. 

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