Inquinamento
Sos Pfas: la difficile strada della messa al bando
L'incubo dei distruttori endocrini in Veneto compie dieci anni e si allarga a tutta Europa. Le organizzazioni della società civile in difesa dell'ambiente e della salute chiedono l'eliminazione graduale di queste sostanze indistruttibili entro il 2025 e la completa cancellazione entro il 2030 in Ue. Anche la Regione Veneto, oggi, si è unita alla richiesta. Intanto, su pressione dell'industria chimica, l'Unione ha rinunciato alla "Strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili", un altro pezzo in meno nel Green deal
Si trovano ovunque, negli oggetti di uso quotidiano, dalle pentole ai tessuti, nell’acqua, nell’aria, nel sangue: i Pfas sono sostanze chimiche “per sempre”, indistruttibili. Dieci anni fa, quando in Italia non ne parlava nessuno, il circolo Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta, in provincia di Verona, ha avviato una campagna, che continua tuttora, per sensibilizzare la popolazione e le istituzioni sui rischi per la salute umana e per l’eliminazione di tutti i Pfas. Tutto è nato dalla scoperta dell’inquinamento provocato dagli scarichi della vicina fabbrica Miteni, chiusa nel 2018, che ha contaminato la falda con sostanze perfluoroalchiliche. Fino a 350mila persone, nelle province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo, sono state inconsapevolmente esposte per decenni, attraverso l’acqua potabile e il cibo prodotto localmente.
Lo scorso 12 marzo il Consiglio regionale del Veneto ha approvato all’unanimità una risoluzione con cui aderisce al manifesto con cui numerose realtà della società civile europea chiedono la messa al bando dei Pfas #BanPfas. L’assessore all’Ambiente Gianpaolo Bottacin commenta: «È dal 2015 che chiedo a Roma e a Bruxelles, ovvero a Stato ed Europa, di intervenire con limiti e messa al bando dei Pfas. Farlo non è competenza della Regione». Lo è, invece, garantire ai cittadini l’approvvigionamento di acqua pulita.
«All’inizio sono stati installati filtri a carbone attivo negli impianti di trattamento. Ma da subito era chiaro che non sarebbero bastati e bisognava captare altre fonti non contaminate. Sono stati fatti interventi negli acquedotti e, tra due, tre anni, si prevede la conclusione dei lavori. Hanno fatto il minimo indispensabile», commenta Piergiorgio Boscagin, presidente del circolo Legambiente Perla Blu. «Restano per lo più fuori controllo i pozzi privati, ma in questo caso spesso sono proprio i cittadini a non dichiarare la captazione. Anche il rischio legato alla possibile contaminazione degli alimenti di origine animale e agricola non è stato affrontato adeguatamente».
Inquinanti emergenti: un altro passo indietro nel Green deal Ue
Si continuano a scoprire, in Italia (tra l’altro in Piemonte) e in tutta Europa, nuovi siti contaminati da questi “inquinanti emergenti”. L’Istituto superiore della sanità raccomanda di non superare la concentrazione di 0,5 microgrammi di Pfas per litro. Da gennaio 2026 entreranno in vigore i limiti fissati dalla Direttiva Ue per le acque potabili: non si potranno superare 0,1 microgrammi per litro. Va ricordato che esistono migliaia di Pfas diversi e solo alcuni sono ricercati e considerati dalle normative. «Vengono continuamente sviluppate sostanze alternative. Bisognerebbe avere garanzie che non siano dannose per la salute», aggiunge Boscagin. «Inoltre, le aziende devono fornire gli standard analitici, per consentirne il monitoraggio»
Con il manifesto #BanPfas le organizzazioni della società civile europea chiedono «l’eliminazione graduale di tutti i Pfas utilizzati nei prodotti di consumo (ad esempio imballaggi alimentari, cosmetici, abbigliamento) nell’Ue entro il 2025 e la completa eliminazione entro il 2030». Inoltre esortano i governi dell’Ue a «sviluppare un piano rapido ed efficiente per la decontaminazione del suolo e dell’acqua potabile delle comunità colpite e a stanziare fondi sufficienti per tali progetti di bonifica». E ricordano che le fonti di inquinamento non sono solo le industrie chimiche che producono o utilizzano queste sostanze, ma anche aeroporti e basi militari, dove vengono utilizzate schiume antincendio che contengono Pfas, e fanghi sparsi sui terreni agricoli.
Nel 2020 la Commissione Ue ha adottato una Strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili, con l’obiettivo di azzerare l’inquinamento, come parte del Green deal. Tra le azioni previste, ci doveva essere l’eliminazione di tutti i Pfas il cui uso non è essenziale, attraverso la riforma del Regolamento per la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche – Reach, risalente al 2006. Ma la proposta, date le pressioni dell’industria chimica, è ancora bloccata.
Secondo i dati del Consiglio europeo delle industrie chimiche, l’Ue, con un fatturato di 760 miliardi di euro, è il secondo produttore mondiale di sostanze chimiche. Si tratta della quarta industria più grande dell’Unione, con 30.000 aziende che impiegano direttamente circa 1,2 milioni di persone e 3,6 milioni indirettamente. C’è anche chi, nel mondo imprenditoriale, cerca di abbandonare i Pfas: sono le aziende che hanno aderito al movimento Corporate Pfas di ChemSec, dimostrando la disponibilità di alternative e la possibilità di adattare i processi industriali.
Pfas nel sangue
I Pfas si accumulano nei fluidi del corpo umano. Gli endocrinologi li definiscono “distruttori endocrini”. Sono nel sangue, nelle urine, nella placenta, nel cordone ombelicale e nel latte materno. Il manifesto #BanPfas cita i risultati di un’iniziativa europea di biomonitoraggio realizzata nel 2022: oltre il 14% degli adolescenti analizzati aveva livelli di sostanze perfluoroalchiliche nel corpo superiori alle linee guida dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare. I Pfas sono stati collegati ad alcuni tipi di tumori, diabete, colesterolo, patologie cardiovascolari, infertilità, bassa risposta ai vaccini…
In Veneto, la Regione ha avviato un Piano di sorveglianza per la popolazione più esposta, residente nella zona rossa, dove la concentrazione di Pfas è maggiore, prendendo poi in carico le persone che riscontrassero problemi di salute. «Dallo screening risulta che, nel giro di cinque, sei anni, togliendo le fonti di inquinamento, la quantità di sostanze chimiche nel sangue viene dimezzato. Significa che l’organismo, lentamente, smaltisce i Pfas. Ovviamente è fondamentale evitare di assumerne ancora», sottolinea Boscagin.
Intanto la bonifica del sito inquinato non è stata ancora realizzata e il processo contro Miteni prosegue. Tra le parti civili, oltre a Legambiente e moltissime altre realtà colpite dall’inquinamento, si sono costituite oltre duecento mamme NoPfas, che lottano per la salute dei loro figli.
La foto in apertura, del canale Fratta Gorzone a Cologna Veneta, nella zona rossa, è di Elisa Cozzarini
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